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Bracciante lasciato morire dissanguato dal datore di lavoro: “Non so dove buttarlo”

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“È morto, non so dove buttarlo”: la frase choc che sarebbe uscita dalla bocca di Antonello Lovato, indagato per violazione delle leggi in materia di lavoro irregolare, ma soprattutto per omissione di soccorso e l’omicidio colposo di Satnam Singh, il bracciante morto lo scorso 17 giugno.

A parlare, nel corso di un’intervista rilasciata a Repubblica, è Tarnjit Singh, amico e collega di lavoro di Satnam. 

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“Gridava fortissimo, implorava il cielo di aiutarlo – ha spiegato Tarnjit – La moglie e la donna italiana sono corsi verso di lui, ho lasciato il coltello e sono corso anch’io, Satnam aveva il braccio destro staccato all’altezza del muscolo e mangiato in altri due punti. La moglie singhiozzava e diceva a Lovato: ‘ospedale, ospedale'”.

La parte seguente del racconto del bracciante è, se possibile, ancora più agghiacciante: “Mentre tutti urlavano, Lovato era nel panico: ‘Diceva: è morto’. Soni insisteva: ‘respira’. Satanam era travolto dalla paura, respirava male. Anch’io gli ho detto: ‘ambulance’. E lui (Lovato): ‘È morto, non so dove buttarlo’. Ha detto che l’ambulanza non può venire nella campagna. Ho chiamato al telefono mio cugino, parla meglio l’italiano. L’ho messo in viva voce. Ha ascoltato Lovato che parlava a bassa voce e poi gli ha detto: ‘Devi portare Satnam in ospedale’. Il padrone ha preso il corpo e l’ha portato verso il furgone urlando: ‘Aprite, aprite’. Nessuno lo faceva, io sono corso ad allargare il portellone posteriore. Credevo lo portasse in ospedale. Lovato aveva messo dentro Satnam ed era entrata anche Soni. Io sono rimasto giù. Non ho visto chi aveva preso il braccio. È partito veloce, poi ho saputo che aveva lasciato il corpo sotto l’appartamento di Satnam. Ci sono rimasto male”.

 

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Redazione Internapoli
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