“Il giorno in cui ho ucciso mia moglie, mi resi conto subito conto di avere commesso una cosa ignobile”. A parlare è Salvatore Tamburrino, pentito del clan Di Lauro e killer reo confesso dell’omicidio di sua moglie Norina Matuozzo. Delitto per cui è stato condannato alla pena di 30 anni di reclusione. Tamburrino raccontò perché fece il nome di Marco di Lauro, di cui lui curava da anni la latinanza: “E’ stata la polizia di Corso Secondigliano a prendermi in carico ed anche a prendere in custodia la mia pistola e a portarmi in Questura a via Medina. Nell’ascensore, ad alcuni poliziotti, confidai loro il luogo dove si trovava Di Lauro Marco. Volevo, grazie a questa informazione, ottenere la disponibilità per potere riabbracciare un’ultima volta i miei figli. E’ stata quindi un moto immediato e spontaneo. Già in quella giornata volevo iniziare la collaborazione con la giustizia….Poi, atteso che non mi era stato possibile vedere i miei figli, mi ritrassi nel proposito di collaborare. La mia famiglia è un po’ maltrattata dagli affiliati, nel senso che la ingiuriano. I Di Lauro volevano casa mia, ci furono atti di sciacallaggio a casa mia; la casa di mia mamma se l’è presa…”.
Il retroscena sull’arresto di Marco di Lauro: “Confidai in ascensore ad un poliziotto dove si trovava”
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