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sabato, Aprile 27, 2024
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L’amore in ‘Mare fuori’, Antonio Orefice e Maria Esposito “Se sono rose fioriranno…”

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Antonio Orefice, classe 1997, nato a Napoli, è un attore conosciuto per aver recitato in Gomorra e Mare fuori. E’ salito su un palcoscenico per la prima volta a sette anni al Teatro Bellini a Napoli. Per lui recitare era solo un passatempo e non avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato il suo lavoro.

Il rapporto con l’attrice Maria Esposito 

«Io sono a disposizione delle persone. Questo è il senso del successo». Afferma “Totò”.

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Sul set Antonio Orefice ha conosciuto Maria Esposito, la giovanissima attrice che interpreta il ruolo di Rosa Ricci. Tra i due è nato un rapporto speciale, ma quando gli si chiede di raccontare come è nato questo sentimento, l’attore dichiara: “Guardi, non lo confermo. Questa cosa, che è privata, non è mai uscita dalla nostra bocca. Si sarà notata una certa simpatia. Se sono rose fioriranno, con tutta la tranquillità del mondo. Sono sincero”.

L’intervista a Vanity Fair

Come è entrato Mare Fuori nella sua vita?

«Mi sono presentato per fare Cardiotrap, e il buon Domenico Cuomo per Totò. Solo alla fine abbiamo scoperto che avremmo recitato a parti invertite». 

Quanti provini ci sono voluti?
«Cinque in tre mesi. Una mattina mi sono svegliato e avevo una ventina di chiamate perse della mia agente. Primo pensiero: ho fatto qualcosa che non dovevo».

Invece?
«Mi ha detto, testuali parole: “Tesoro, sono orgogliosa di te! Sei Totò di Mare Fuori!”». 

Reazione?
«Sono sincero, ho lanciato il telefonino. Poi mi sono infilato una tuta e ho raggiunto mia mamma alla sua scuola di ballo: non potevo non condividerlo subito con lei». 

Come si è preparato per interpretare Totò?
«Ovviamente mi sono documentato: insieme agli altri sono andato a vedere le carceri minorili, ho incontrato i detenuti di un IPM, e in quelle occasioni ho cercato di “rubare” emozioni, espressioni, sfaccettature da mescolare alla mia personalità. Ho una regola: non sono io che mi adatto al personaggio, è il contrario, è lui che si adatta al sottoscritto. Gli parlo proprio e gli dico: “Adesso tu devi ascoltarmi e stare con me”».

Mare Fuori le ha portato anche l’amore di Maria Esposito.
«Guardi, non lo confermo. Questa cosa, che è privata, non è mai uscita dalla nostra bocca. Si sarà notata una certa simpatia. Se sono rose fioriranno, con tutta la tranquillità del mondo. Sono sincero».

Si è mai chiesto dove sarebbe se la serie non fosse arrivata?
«Comunque qui: forse non adesso, ma tra qualche mese o qualche anno di sicuro. Credo troppo in me stesso». 

A che cosa deve questa fiducia?
«Mia mamma è una ballerina e una coreografa, alla fine di ogni anno nella sua scuola lei organizza un saggio, in genere un musical, da portare al Teatro Bellini. Fin da quando sono piccolo cerca di coinvolgermi. Deve però subito accantonare l’ipotesi di lasciarmi danzare: sono inguardabile, una cozza, non le sto a dire. Allora mi fa recitare. La prima volta sul palco: a sei anni. Si racconta che poco prima di andare in scena io pronunci queste parole: “Ho sempre desiderato stare sotto quella luce gialla e parlare di fronte alle persone che mi guardano tutte”. Si racconta anche di una standing ovation al termine dello spettacolo. Leggende metropolitane oppure no, l’allora proprietario e direttore artistico del Bellini, Tato Russo, mi propone il mitico Masaniello: 140 repliche. Mi pesano un po’, di anni intanto ne ho otto, ho voglia di giocare; ma nel momento esatto in cui metto piede sul tavolato non esiste più il tempo, solo la magia. Chi mi è vicino lo capisce e mi supporta: dagli insegnanti delle elementari, che mi vengono incontro il più possibile, ai miei genitori». 

Non avrebbe preferito per lei un destino diverso?
«Per carità! Perdevo i provini e mio padre: “Non è niente, riprova!”. Mi sono iscritto all’Accademia di cinema di Napoli e lui: “Ci penso io alla spese”. Però non si arriva lontano senza rimboccarsi le maniche e, a un certo punto, non me la sono più sentita di pesare economicamente sulla famiglia: e gli studi, e i treni e gli alberghi per i provini, tanta roba… Che ho fatto?».

Che ha fatto?
«Sono sceso al supermercato Sigma, a cinque metri da casa mia, e ho chiesto ai titolari un lavoro. Assunto come garzone in tempo zero. Per conciliare le consegne a domicilio con l’Accademia e i casting mi inventavo escamotage da scugnizzo con la complicità della cassiera. Era tutto una commedia».

Com’è crescere in un quartiere come Secondigliano, considerato difficile?
«Ovunque vivi puoi scegliere da che parte stare. Dalla mia, di parte, ci sono soltanto bei ricordi. Sono sincero: ho attraversato dei momenti in cui la fiducia in me stesso ha un po’ vacillato, ma è proprio grazie agli abitanti di Secondigliano se non ho rinunciato al mio desiderio più grande. Mi incitavano: “Antonio, tu ce fai! Antonio, sei nato per questo!”. Una cliente del supermercato, che un tumore si è portata via e terrò sempre nel mio cuore, mi diceva: “Anto, ti terrei qui per ore e ore, quando mi parli mi si levano i pensieri nella capa”. A Secondigliano, come in altri posti periferici, si sogna forte».

Il suo futuro è qui?
«Sì, perché mi motiva ogni istante. Sono napoletano, i miei pensieri sono napoletani. Non riuscirei a vivere in un contesto diverso»

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