Il clan Sarno ha cambiato pelle dopo aver lasciato la periferia di Napoli. Alcuni affiliati si sono ben adeguati al contesto socio-economico toscano, inserendosi nella commissione di frodi fiscali e, più in generale, di reati economico-fìnanziari.
Con riferimento a quest’ultimo aspetto, i Sarno si sono accreditati come interlocutori/intermediari di imprenditori alla ricerca di fatture false per evadere le imposte e monetizzare i proventi illeciti. Così come di imprenditori cinesi necessitanti manodopera clandestina, di origine pakistana, da impiegare nel comparto tessile del pratese. Nell’ultima indagine sono finiti il boss-pentito Vincenzo Sarno e, secondo la Dda di Firenze è stato aiutato dai fratelli Ciro e Pasquale, il cugino Giuseppe e i figli.
Minacce agli imprenditori campani in Toscana
Il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia ha assicurato il necessario raccordo e scambio informativo con le altre Procure distrettuali antimafia interessate. Le indagini hanno consentito, allo stato, di disvelare, da un lato, alcune forme tipiche di
manifestazione dei reati di criminalità organizzata (estorsioni e minacce), facendo leva sul noto prestigio della consorteria e sulla sua conseguente forza di intimidazione, esercitata nei confronti di imprenditori campani radicati in Toscana, attivi nel settore dello smaltimento dei rifiuti tessili.
L’indagine della Dda contro il clan Sardo
La Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, avvalendosi dei militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Firenze, sta dando esecuzione, tra le Regioni Toscana, Liguria, Campania e Friuli Venezia-Giulia, ad un’ordinanza del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale del capoluogo toscano che ha disposto l’applicazione di misure cautelari personali nei confronti di 12 indagati (5 custodie cautelari in carcere, 5 agli arresti domiciliari e 2 interdizioni con divieto di ricoprire uffici direttivi di persone giuridiche e imprese) e sequestri preventivi, anche per equivalente, ai fini della confisca, di beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie fino all’ammontare di circa 1 milione di euro.
Le imputazioni contro l’organizzazione
Le imputazioni provvisorie poste a base del provvedimento cautelare in esecuzione concernono. Il reato di associazione per delinquere, contestata a cinque indagati, finalizzata alla commissione di reati fiscali per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed auto-riciclaggio reato contestato nella forma aggravata ex art. 416-bis lco. c.p. per la finalità di agevolare un’associazione camorristica in vista della sua riorganizzazione sul territorio toscano.
Anche il reato di estorsione, aggravato dal metodo mafioso a causa del metodo adoperato nei confronti delle vittime. Reati fiscali per emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti ed auto-riciclaggio , aggravati ex art. 416 bis 1 c.p. stante la finalità di agevolare una associazione camorristica. Infine violazioni delle disposizioni del Testo Unico in materia di immigrazione .
Il doppio gioco del pentito
In particolare, investigando sul soggetto ritenuto attuale capo del clan e su tutti gli altri componenti della famiglia, è emerso che la collaborazione con la giustizia non ha avuto quale effetto il naturale e definitivo discioglimento dell’organizzazione, ma è stata utilizzata per poter ricostituire in una nuova area geografica alcune delle pre-esistenti dinamiche tipiche delle associazioni camorristica, grazie ai legami con i territori di origine e all’influenza derivante dalla propria storia criminale.