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mercoledì, Aprile 24, 2024
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Morta Lucy Salani, era l’unica trans italiana sopravvissuta ai lager nazisti

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«Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso». Addio a Lucy Salani, l’unica trans sopravvissuta ai campi di concentramento. Aveva 98 anni, era antifascista e aveva disertato sia l’esercito italiano che quello tedesco. Venne deportata a Dachau.

Lucy Salani simbolo di resistenza

Lucy Salani, l’unica persona trans ad essere sopravvissuta, in Italia, alle persecuzioni nazi-fasciste e ai campi di concentramento, è morta. Lo ha annunciato il fondatore dei Sentinelli e consigliere regionale lombardo Luca Paladini.  Nata a Fossano, in provincia di Cuneo, faceva parte di una famiglia antifascista di origine emiliana, con cui si è trasferita a Bologna.

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Sono stato bambino, figlio e figlia, soldato, disertore e prigioniero, madre, prostituta e amante. Ma qualsiasi persona sia stata, posso dire con convinzione di essere stata sempre me stessa”.

Il documentario sulla sua vita

Il padre e i fratelli, però, la rifiutavano, percependo la sua “diversità“.  «Mia madre era disperata», raccontava Lucy nel documentario sulla sua vita, «C’è un soffio di vita soltanto», di Matteo Bortugno e Daniele Coluccini. «Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole. Mio padre e i miei fratelli non mi accettarono. Negli anni trenta i miei genitori si trasferirono nel bolognese e fu così che in città allacciai amicizie con diversi omosessuali. Che colpa ne ho io, se la natura mi ha fatto così? Me lo sono sempre chiesta e ho cercato di farlo capire».

La vita durante la guerra

Richiamata in servizio dall’esercito italiano nell’agosto del 1943, Lucy Salani si dichiarò omosessuale, ma venne inviata a Cormons, in artiglieria. Disertò dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, tornando a Bologna e ritrovando i propri genitori sfollati. Temendo di averli messi in pericolo con la diserzione, abbandonò la clandestinità e, costretta a unirsi ai fascisti o ai tedeschi, si unì all’esercito nazista a Suviana, ma disertò anche quello, buttandosi nell’acqua gelida e scappando dall’ospedale di Bologna in cui era stata ricoverata per la polmonite che l’aveva colpita. Visse a Bologna facendo la prostituta, ma venne fermata per la sua diserzione e rinchiusa in un casolare, da cui scappò, e poi in carcere. Processata, fu condannata a morte, ma riuscì a ottenere la grazia e la condanna si tramutò in lavori forzati in un campo di lavoro a Bernau, nella Germania meridionale.

Lucy scappò anche da lì, ma successivamente fu deportata a Dachau. Sopravvisse per sei mesi nel campo di concentramento, fino alla liberazione da parte delle truppe americane nell’aprile del 1945, quando aveva vent’anni. Il suo compito nel campo era portare i cadaveri alla cremazione. Era stata picchiata, rasata, imbrattata di catrame e umiliata in tantissimi modi. «Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso», ha raccontato al Corriere. «Bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo e si muoveva tra le fiamme. Terribile. La mattina quando guardavi la recinzione elettrificata trovavi un mucchio di ragazzi attaccati con le fiammelle che uscivano dal corpo».

Non ha mai cambiato il suo nome: Luciano

Dopo la liberazione, Lucy Salani cominciò a lavorare come tappezziera, vivendo tra Roma e Torino (dove adottò una bambina, Patrizia). Nella metà degli anni 80 si sottopose all’operazione di riattribuzione del sesso, ma si rifiutò di cambiare il nome con cui era stata registrata alla nascita, Luciano: «Il nome è sacro, me l’hanno dato i miei genitori», diceva. Tornata a Bologna, si occupò dei suoi genitori fino alla loro morte. Negli ultimi anni viveva isolata, ricevendo cure e visite dai volontari del Movimento Identità Trans, che erano diventati suoi amici. «Io ne ho viste e passate troppe», diceva. «Comincio davvero ad avere voglia di cercare vite su altri pianeti».

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