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giovedì, Aprile 25, 2024
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Vittima innocente della camorra, parlano le figlie di Pagano: “Abbandonate dallo Stato”

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«Ci sentiamo orfane, abbandonate e ora anche ingiuriate da uno Stato che invece di sostenerci ci abbandona». Così scrivono in una lettera inviata al Ministero dell’Interno la moglie e le due figlie di Pasquale Pagano, vittima innocente di camorra, ucciso dai killer del clan dei Casalesi il 26 febbraio del 1992 insieme a Paolo Coviello per un errore di persona. Filomena Pagano e le figlie Romilda e Rosa avevano chiesto al Viminale di accedere al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso al fine di ottenere il pagamento della provvisionale da 60mila euro riconosciuta dalla sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Napoli emessa nel 2017.

Qualche giorno fa hanno però ricevuto un preavviso di rigetto dal Viminale perché il proprio caro ucciso, pur ritenuto vittima innocente dalla sentenza giudiziaria e pur non avendo mai fatto parte del clan, non sarebbe del tutto estraneo agli ambienti delinquenziali, avendo un fratello con problemi penali; Armando Pagano, fratello di Pasquale, ha infatti commesso dei reati non di camorra, ma relativi allo spaccio di droga; fatti avvenuti peraltro quasi tutti dopo la morte di Pasquale Pagano. Stesso esito anche per i familiari di Coviello, per i quali il «no» del Viminale è stato giustificato dalla presenza di parenti entro il quarto grado vicini al clan. La norma applicata dal Ministero non ha permesso ai familiari di molte vittime innocenti, per via di parentele compromettenti, di avere il beneficio; tra i casi più noti quello concernente Marisa Garofalo, sorella di Lea Garofalo, vittima dell’ndrangheta – fu uccisa e il corpo bruciato – dopo aver testimoniato contro il marito e il cognato affiliati.

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Preso atto del «no», seppur ancora parziale, del Viminale, i familiari di Pagano (assistiti da Giovanni Zara), hanno così scritto una lettera al Ministero. «Aver perso nostro padre – scrivono – quando eravamo troppo piccole per comprendere ed elaborare un lutto così violento, ci ha provocato una profonda chiusura d’animo. Siamo cresciute con difficoltà, in tutti i sensi immaginabili, mai libere di sorridere perché mai spensierate e sempre attente ad ogni amicizia, conoscenza, comportamento. Quando hanno trovato gli assassini di papà e quando il motivo dell’uccisione è stato chiaro, abbiamo creduto che l’incubo durato 23 anni fosse finalmente finito. Ed invece no, perché in quell’incubo voi volete ricacciarci. Volete per noi una nuova enorme ingiustizia, dicendo che mio padre, noi tre ‘non siamo estranee ad ambienti delinquenziali’, perché abbiamo la sventura di avere come zio un delinquente. La nostra pubblica abiura contro il fratello di nostro padre è partita molto tempo prima di questo procedimento. Armando Pagano non solo ha sbagliato contro la giustizia, ma con la sua condotta ha imbrattato la memoria di papà. L’ingiuria di non essere estranei ad ambienti delinquenziali non è sostenibile», concludono.

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