20.3 C
Napoli
sabato, Maggio 4, 2024
PUBBLICITÀ

Venti colpi tra la folla, ammazzato il padrino

PUBBLICITÀ

Traffico, passanti, via vai di clienti per gli ultimi acquisti al supermarket di via Borsellino: niente scoraggia il commando che deve compiere il mandato di morte, tra i più importanti perché diretto contro un capo storico della camorra. I killer sparano e uccidono Francesco Verde, «Negus», 58 anni, e feriscono il nipote Mario di 32: i due si trovavano su una Nissan Micra. Mario, che era alla guida, tenta di sfuggire al fuoco del commando, e continuando la corsa raggiunge l’ospedale di Aversa: lì Francesco Verde giunge già morto. I medici dispongono il ricovero per Mario Verde: le sue condizioni appaiono subito gravissime. Il boss ha appena lasciato il commissariato di Frattamaggiore dove si recava ogni giorno alle 18 per firmare il registro dei sorvegliati speciali. Ad attenderlo fuori il nipote, anche lui pregiudicato, che solitamente gli fa da guardaspalle. Evidentemente i killer sapevano bene come rintracciare l’obiettivo: lasciano quindi che i Verde siano abbastanza lontani dal posto di polizia ed entrano in azione. Secondo la ricostruzione dei carabinieri della compagnia di Casoria – diretta dal capitano Paolo Cambieri – ad agire sarebbe stato un commando composto da almeno sei elementi, due dei quali in moto, gli altri su due auto. Le vetture si dispongono in modo da rallentare la Micra costringendo il conducente a fermarsi nel tratto più affollato di via Borsellino, tra una pizzeria e un supermarket. Poi entrano in azione i motociclisti. E comincia l’inferno di fuoco: in tre sparano almeno una ventina di colpi da armi di calibri diversi. A questo punto Mario Verde, che è sempre alla guida, riparte – nonostante sia stato ferito in varie parti del torace e della testa – e si apre un varco tra i proiettili. La reazione sorprende i sicari che credevano di aver ucciso Francesco e Mario Verde. L’uomo riesce quindi a guidare fino all’ospedale di Aversa che si trova a sei chilometri dal luogo dell’agguato ma su una strada trafficatissima. Davanti al San Giuseppe Moscati, però, il trentaduenne crolla, lo zio è già morto. Sul posto dell’agguato, quando arrivano i carabinieri di Casoria e di Grumo Nevano, non c’è già più alcun testimone. Le uniche tracce della sparatoria sono alcuni bossoli e una macchia di sangue. Inutili i tentativi di farsi raccontare dai passanti quello che era accaduto neppure cinque minuti prima. Così, ancora una volta, risultano difficili le indagini. Ma i carabinieri riescono comunque a ricostruire la dinamica. Dall’ospedale intanto giunge la conferma dell’importanza della vittima (la centoundicesima dall’inizio dell’anno), di quest’ultimo agguato di camorra. Francesco Verde, infatti, è il boss incontrastato dell’area di Sant’Antimo, un grosso comune tra le province di Napoli e Caserta, lo stesso dove qualche mese fa fu ammazzato in un tentativo di rapina il tabaccaio Francesco Gaito. Le piste seguite dagli investigatori sono tre: una porta a una spaccatura nel clan sancita dopo l’arresto di un nipote, Antonio, che uccise un piccolo spacciatore e fu arrestato immediatamente dopo l’agguato; arresto che di fatto ha annullato il braccio armato del boss. La seconda ipotesi si muove nel campo della vendetta: Francesco Verde era stato coinvolto venti anni fa nelle indagini sulla strage della famiglia Di Matteo trucidata all’antagonista Puca proprio per aver dato ospitalità al «Negus»; l’ultima riguarderebbe i rapporti con la nuova criminalità gestita dagli scissionisti di Secondigliano che vorrebbero impadronirsi del territorio controllato dai Verde. Appena la notizia dell’omicidio è giunta a Sant’Antimo, roccaforte del clan che fa affari imponendo il pizzo a commercianti e imprenditori e investendo nel campo immobiliare insieme con i casalesi di Casal di Principe, le donne della famiglia hanno raggiunto l’ospedale di Aversa dove hanno urlato la rabbia per quella morte: «“Negus” ha fatto solo bene, ha fatto fare i miliardi a tanti che mo’ l’hanno tradito, abbandonato». Una specie di lamento funebre osservato a distanza dai carabinieri e dagli uomini della famiglia che sono rimasti in silenzio.


MARCO DI CATERINO



Volle chiamarsi «Negus» come l’imperatore d’Etiopia



Nel 1994 erano praticamente i padroni assoluti tra Sant’Antimo, Frattamaggiore e Grumo Nevano, spingendosi con i loro interessi fino nel casertano: tutto creato e guidato da Francesco Verde, il «Negus» perché lui – parole sue – come l’imperatore d’Etiopia, era il condottiero dei suoi uomini. In quegli anni riuscì ad avere il sopravvento sui nemici di sempre, i Puca di Giuseppe «’o Giappone» e i Ranucci di Geremia, con i quali aveva ingaggiato una guerra iniziata nel 1992 e che a quell’epoca contava non meno di 15 vittime, numero destinato a crescere. I capi dei clan nemici furono ammazzati quasi immediatamente: Giuseppe Puca a Sant’Antimo, in piazza della Repubblica, nel febbraio 1989. Poi toccò all’alleato di Puca, Geremia Ranucci, ucciso in un barbiere di Calabritto, nell’avellinese, dove era in soggiorno obbligato dopo che gli fu ucciso il guardaspalle, Vincenzo Strazzullo «’o straccione». Quando il suo diventò un gruppo criminale autonomo, Francesco Verde dovette decidere con chi schierarsi: era l’epoca delle due fazioni contrapposte, la Nco di Cutolo e la Nuova famiglia del cartello di clan confederati contro il «professore» di Ottaviano. Verde scelse i secondi e, più precisamente quell’Antonio Bardellino che gli aprì la strada verso il casertano ma, contemporaneamente, segnò la sua contrapposizione con i clan che già operavano nel santantimese. 2Primula rossa per anni, il suo ultimo arresto risale al 6 aprile 2007 quando, con altre 17 persone, fu accusato di associazione mafiosa. Tra loro anche due medici dell’ospedale di Frattamaggiore: tre anni di indagini, per ricostruire le attività, gli affiliati e i fiancheggiatori del clan Verde. I magistrati della procura antimafia scoprirono affari e legami eccellenti della cosca di Sant’Antimo: si individuò la rete di insospettabili che proteggeva il boss. Gli investigatori, sulle tracce del nipote del capo, Antonio Verde figlio di Domenico fratello del boss, fecero un controllo al «Negus»: era il 2 giugno 2002. Francesco Verde non fu trovato in casa. Il boss avvisò il medico di turno all’ospedale, attraverso un altro sanitario, perché gli stilasse un certificato medico per attestarne la presenza al pronto soccorso. E questo accadde anche in altre occasioni. Il terzo millennio non si rivela un buon periodo per il «Negus»: durante una missione di morte gli pizzicano i killer: è il 31 agosto di quest’anno. A terra c’è il corpo di Paolo Frasca, 33 anni. Una pattuglia di carabinieri si trova, a Sant’Antimo, in via Gianturco: le deflagrazioni li attirano in via Gigante. I due sicari sono intercettati mentre stanno per scappare: i carabinieri cercano di bloccarli, nasce un conflitto a fuoco. I due killer vengono feriti, e arrestati: sono Antonio Verde 33 anni, il nipote del «Negus», e Antimo Angelino, di 28 anni. E sempre in questi anni iniziano le stangate delle misure di prevenzione: un patrimonio di almeno 10 milioni di euro viene bloccato a prestanome del «Negus». È l’inizio del declino.

MAURIZIO CERINO

PUBBLICITÀ





Ucciso a Cesa, la pista porta ai Verde

La distanza che corre tra Casandrino e Cesa, tra Sant’Antimo e Aversa, è la stessa che separa un quartiere dall’altro della stessa città continua, di quell’unica megalopoli che forma le periferie di Napoli e Caserta. E poco conta il fatto che di differenti province si tratta, perché negli scenari di camorra i confini sono di tutt’altro genere. Capita, così, che il boss di Sant’Antimo possa comandare anche su una fetta dell’agro aversano, in quel patto di mutua assistenza che lo lega – anzi lo legava fino a ieri sera – a uno dei clan di Cesa o Gricignano. Ed è per questo che quando, la sera di Natale, la camorra ha rotto la tregua e ha sparato, ammazzando un imprenditore colpevole di essere figlio e fratello di fiancheggiatore del boss di Cesa, Nicola Caterino, c’è chi ha ipotizzato che non di faida locale si trattasse ma di vendetta arrivata dalla vicina Sant’Antimo, proprio dalla famiglia Verde. Chiacchiere di strada, che al momento non sembrano aver trovato riscontri investigativi, ma che pure sono tornate in evidenza ieri, quando qualcuno ha ammazzato il «Negus» di Sant’Antimo che è andato a morire proprio ad Aversa. In comune i due omicidi hanno la contiguità geografica ma anche la spietatezza nell’esecuzione – Cesario Ferriero, 26 anni appena, è stato ucciso sotto casa della fidanzata con quaranta proiettili – e la scelta dei killer di ignorare la tregua natalizia. Forse c’è anche di più. L’impresa edile della famiglia Ferriero operava anche a Sant’Antimo. Rapporti di affari e non solo. Ma non era con i Verde che gli imprenditori aversani avevano a che fare, anzi. Li separava una distanza insuperabile, l’alleanza tra Nicola Caterino (e quindi il padre e il fratello del morto, ai quali di recente era stato revocato il certificato antimafia) e il clan Puca. Un’amicizia antica, come radicata era l’antipatia tra Caterino, uomo dei Casalesi in permanente contrasto con il vecchio capozona di Cesa Amedeo Mazzara, e Francesco Verde, vecchio amico di Bardellino. Nello scacchiere di camorra, lì dove i confini non contano, i due omicidi commessi a distanza di appena tre giorni potrebbero avere, quindi, una lettura comune ed essere il segnale di un’alleanza nuova che si sta formando nell’hinterland casertano-napoletano. O di una modifica dei rapporti di forza che potrebbe, a breve, portare ad altri omicidi.


ROSARIA CAPACCHIONE



IL MATTINO 29 ICEMBRE 2007

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

Tentano il cavallo di ritorno, agenti fingono di essere le vittime e li arrestano

Gli hanno teso una vera e propria trappola fingendosi le vittime. E così sono riusciti ad intrappolarli. È questa...

Nella stessa categoria