PUBBLICITÀ
HomeRassegna StampaOperazione della Dda: 6 arresti. In cella anche il fratello del boss...

Operazione della Dda: 6 arresti. In cella anche il fratello del boss Bidognetti e un militare della Finanza

PUBBLICITÀ

Intimidazioni, estorsioni e minacce a imprenditori e commercianti dell’Agro aversano documentate fino allo scorso febbraio. Il clan Bidognetti – già colpito lo scorso ottobre da una retata che portò in carcere tredici persone – aveva così deciso di inasprire la morsa del racket, di battere cassa a Natale mettendo sotto torchio le stesse vittime: duemila, duemilacinquecento euro per alimentare le finanze dell’organizzazione nella zona di Parete. Ieri in carcere è finito anche Michele Bidognetti, 47 anni, fratello del capoclan Francesco che nei giorni scorsi attraverso una lettera letta durante l’Appello del processo Spartacus, ha lanciato intimidazioni nei confronti del magistrato Raffaele Cantone, dello scrittore Roberto Saviano e della giornalista del Mattino Rosaria Capacchione. Sono sette in tutto i decreti di fermo (sei eseguiti ieri dai carabinieri del gruppo di Aversa) emessi dai pm della Dda Catello Maresca e Giovanni Conzo nei confronti di altrettante persone fra le quali, oltre a Michele Bidognetti, anche Enrico Verso, 45 anni, cognato di Raffaele Bidognetti (attualmente detenuto, figlio del boss Francesco) ritenuto esponente di primo piano della cosca e «delegato» alle estorsioni. Le accuse contestate, a vario titolo, sono associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata e violenza privata. Gli altri destinatari del provvedimento restrittivo sono Giovanni Colavelli, Antonio Di Martino, Salvatore Tambaro (geometra, lsu in servizio all’Utc di Parete) e Tammaro Salviati, 38 anni, militare della Guardia di Finanza in servizio a Roma (per lui l’accusa è violenza privata in relazione a una vicenda riguardante un appartamento di proprietà della madre dato in affitto a una famiglia che sarebbe stata successivamente avvicinata da uomini del clan perché lasciasse subito la casa). Risulta al momento irreperibile Metello Di Bona, 38 anni, che secondo gli inquirenti il gruppo dei Casalesi avrebbe inviato direttamente da Casal di Principe per gestire alcuni traffici estorsivi. L’inchiesta (l’udienza di convalida è fissata domani) rappresenta il prosieguo di un’indagine avviata già nel 2006 che lo scorso autunno portò alla cattura di altre tredici persone tra le quali Luigi Chianese: un colpo che gli inquirenti hanno definito durissimo nei confronti del gruppo Bidognetti, tanto che la stessa organizzazione, a pochi mesi di distanza dal blitz, trovandosi in evidenti difficoltà economiche e organizzative, avrebbe esercitato un’azione ancora più coartante nei confronti di imprenditori e commercianti assediati dal racket. La conferma è nelle intercettazioni telefoniche e ambientali nonché nelle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Anna Carrino, per 25 anni compagna del boss Francesco Bidognetti (detto Cicciotto e’ mezzanotte), pentitasi lo scorso novembre. È la Carrino a chiamare in causa Michele Bidognetti (accusato di minacce aggravate dall’articolo 7, vale a dire dalla forza di intimidazione derivante dall’appartenenza a un sodalizio crimonoso): secondo il racconto della donna, Michele Bidognetti si sarebbe adoperato per spingere un commerciante di Parete a ritrattare le accuse contro Raffaele, figlio del boss. A eseguire materialmente l’operazione fu Verso su incarico di Michele Bidognetti. A detta degli investigatori, determinante è stato anche il ruolo delle vittime a ridimensionare il ruolo delle «schegge bidognettiane», rimaste senza guida nell’agro aversano ma ancora presenti sul litorale Domizio. Ora il capoclan e i due figli (Raffaele e Aniello) sono in carcere e la granitica struttura del gruppo comincia a essere minata dal «pentimento» di lady Bidognetti e di Domenico, cugino del boss.

LORENZO CALÒ
Il Mattino 18/03/08

PUBBLICITÀ

Per il coordinatore della Dda Franco Roberti «il clan dei Bidognetti a questo punto è molto debole: i capi sono stati quasi tutti arrestati»

È un colpo al cuore, quest’ultima operazione messa a segno dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che mette in ginocchio il clan dei Casalesi. Non bastavano le fibrillazioni che scuotono i fedelissimi di «Sandokan» alla vigilia di una sentenza d’appello del processo Spartacus, che per loro potrebbe concludersi nel peggiore dei modi e cioè con una messe di ergastoli; ora, con questi ultimi fermi eseguiti dai carabinieri, le cose per si complicano maledettamente. I segnali di ripresa civile accompagnano questo ulteriore passaggio giudiziario che porta in carcere sei persone (tra le quali c’è anche un appuntato della Guardia di Finanza in servizio a Roma). «Il clan dei Bidognetti – spiega Franco Roberti, procuratore aggiunto e coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli – a questo punto è molto debole: i capi sono stati quasi tutti arrestati». Una cosca allo sbando? «È così – conferma il pm Giovanni Conzo – A Parete, una delle roccaforti dei casalesi, oggi abbiamo fatto terra bruciata». «Siamo dovuti intervenire di nuovo – riprende il procuratore aggiunto Franco Roberti – proprio perché queste schegge bidognettiane, rimaste libere, proseguivano nelle attività criminali. Del resto, chi vive di questo non sa che altro fare, ed è ridotto a proseguire con le estorsioni. Questo dimostra, fra l’altro, che un territorio non va mai perso di vista. Anche dopo una operazione. Perché i fenomeni estorsivi possono comunque continuare». È un mercato che frutta centinaia di migliaia di euro ogni mese, quello del racket in Terra di Lavoro. «Gli imprenditori – è sempre Roberti a parlare – hanno ricominciato a collaborare, ed è evidente che denunciano il racket quando vedono che lo Stato reagisce alla criminalità organizzata». Prendere o lasciare: ma accade sempre che – di fronte alle minacce dei «signori del pizzo» – le vittime finiscano col cedere alle richieste estorsive. E, almeno fino a quando la camorra si sente forte e sa di poter contare sulla propria forza di intimidazione, anche chi aveva il coraggio di denunciare poteva correre seri rischi. Basta ricordare il caso di Francesco Emini, noto imprenditore di Parete e titolare di un’impresa edile che dà lavoro a centinaia di operai. Una vittima ideale, per la camorra di Terra di Lavoro Le sue attività economiche, particolarmente estese nella zona compresa tra Lusciano, Parete ed Aversa, facevano troppa gola alla criminalità organizzata. E infatti – l’estate scorsa – l’imprenditore finì di nuovo nel mirino del clan Gli sistemarono una bomba carta nei pressi del cantiere. Fortunatamente si trattava di un rodigno di piccolo potenziale – non fece danni particolari, ma contribuì a creare tra alcuni imprenditori meno coraggiosi quel clima di omertà e di silenzio che tanto interessa alla camorra. Oggi, dopo i fermi eseguiti dai carabinieri, a Parete si respira già un’aria nuova.

GIUSEPPE CRIMALDI
Il Mattino il 18/03/08


Appello al ministro Amato: proteggere la cronista

«Chiediamo al ministro dell’Interno di concedere adeguate misure di protezione alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione e a tutti coloro che in questo momento sono oggetto di minacce alla loro persona da parte del crimine organizzato». L’appello indirizzato al numero uno del Viminale porta le firme del viceresponsabile Informazione del Pd Roberto Cuillo, del portavoce di Articolo 21 Giuseppe Giulietti, e dei giornalisti Furio Colombo, Roberto Morrione, Sandro Ruotolo oltre che del presidente di Articolo 21 Federico Orlando. È la reazione a quanto accaduto nell’aula bunker del carcere di Poggioreale giovedì scorso, in occasione dell’istanza di rimessione presentata dall’avvocato Massimo Santonastaso per conto di due imputati, i boss del clan dei Casalesi Antonio Iovine e Francesco Bidognetti. «È un momento difficile per quei giornalisti che si battono contro l’illegalità – si legge ancora nel documento – Durante il processo Spartacus contro i Casalesi sono state lette in aula grave minacce contro giornalisti, scrittori e magistrati (oltre a Rosaria Capacchione i nomi citati erano quelli dell’ex pm antimafia di napoli, Raffaele Cantone, e dellos crittore Roberto Saviano, ndr). Nessuno può restare indifferente». Solidarietà alla nostra collega Rosaria Capacchione viene espressa anche da Gianni Giovanetti, portavoce di Piero Fassino, che esprime la propria «forte solidarietà e vicinanza per le minacce mafiose ricevute da Rosaria Capacchione. Il tono, le modalità, il luogo in cui quelle minacce sono state pronunciate, reclamano un’assunzione di responsabilità personale e collettiva contro chiunque pensa di ricattare con la violenza e l’intimidazione l’esercizio di una informazione libera e civile». Reazioni contro le minacce rivolte all’ex pubblico ministero della Dda di Napoli Raffaele Cantone e solidarietà alle persone citate nell’ormai famoso documento di 60 pagine giungono anche dall’Associazione nazionale magistrati. «L’Anm – scrivono Simone Luerti e Luca Palamara, presidente e segretario del sindacato delle toghe – respinge con forza il basso tentativo di intimidire i magistrati napoletani impegnati in importanti indagini e processi contro la criminalità organizzata». La solidarietà va, in particolare, «ai colleghi Franco Roberti e Raffaele Cantone, i quali con sacrifici personali e quotidiano lavoro si battono per l’affermazione della legalità e offrono un importante contributo per il miglioramento della convivenza civile in una zona segnata dalla pesante presenza della camorra». Concetti ribaditi dal presidente distrettuale dell’Anm, Sergio Amato, che pone l’accento sulla questione della sicurezza e delle scarse risorse destinate ai pm impegnati nella Dda. «A fronte di 25 pm – ricorda Amato – solo 10 possono usufruire delle auto blindate».

Il Mattino il 18/03/08

PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ