Il lusso e l’azzardo, la bella vita e l’impresa. Un’esistenza sopra le righe, soldi facili e morale doppia, quella che gli fece intravedere – a lui, laborioso imprenditore del nord – i benefici della frequentazione stretta con Pasquale Zagaria, fratello di boss e lui stesso camorrista. Che fossero soldi sporchi quelli che prendeva per ripianare i debiti di gioco non aveva importanza alcuna, perché in fondo Pasquale era un uomo elegante e assai ricco, presentabile anche nei salotti buoni di Parma, Cremona, Milano. Una frequentazione durata quindici anni. Un rapporto d’affari che si è trasformato in parentela. Non è la figlia sua, quella che ha dato in moglie all’imprenditore-camorrista di Casapesenna, ma della sua compagna Annamaria Errante. Ai fini pratici, quelli della cassa e degli interessi di bottega, cambia poco. Nel febbraio del 2002 Aldo Bazzini diventa il suocero di Pasquale Zagaria. Tra i suoi affini c’è anche, quindi, il di lui fratello Michele: oggi è uno dei capi del cartello dei Casalesi, latitante ormai da oltre quattordici anni; alla fine degli anni Ottanta era già un personaggio di primo piano della camorra casertana e killer spietato. Di lì a qualche anno Bazzini sarà anche il primo costruttore non campano a essere condannato per associazione camorristica. Aspettando che la sentenza di primo grado, che porta la data del 30 novembre 2007, trovi conferma o smentita in appello, la sezione per le misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha, però, ipotecato quella parte delle sue proprietà che erano sfuggite al sequestro penale del gup di Napoli Eduardo De Gregorio. Facendo proprie le risultante investigative della Dia di Napoli, infatti, i giudici sammaritani hanno firmato due decreti di sequestro, relativi a immobili e società il cui valore è stimato in venti milioni di euro e che risultano intestati a Bazzini, ai due figli Andrea e Paolo, alla figlia della compagna, Francesca Linetti (moglie di Pasquale Zagaria). Tra i beni individuati nei due sequestri c’è, per esempio, la «Nuova Italcostruzioni Nord Srl», con sede a Parma, società proprietaria di due appartamenti e una villa a schiera con box per otto posti auto. Ancora a Parma sequestrato un altro appartamento, quote del fondo comune monetario Pioneer, obbligazioni «Bei traguardo», obbligazioni Unicredit, e varie polizze per un valore complessivo di oltre 700mila euro e Cct per 130 mila euro. Hanno sede a Parma, inoltre, anche la ditta individuale «Bazzini Aldo» e la «Maisonette immobiliare» (società che il giudice De Gregorio aveva restituito), il complesso Residence Magawly e il Residence Lisoni. A Massa Carrara, sigilli al complesso Antica Marina. Si tratta, come documentano le foto, di immobili di lusso localizzati in zone di grande turistico della Versilia o della campagna cremonese. Tra questi, una vecchia scuola trasformata in due lussuose abitazioni. Mutuando i risultati delle indagini della Dda di Napoli (una lunga e complessa inchiesta dei carabinieri del Ros, che era stata coordinata dall’allora pm antimafia Raffaele Cantone, oggi giudice in Cassazione), il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto che Bazzini «attraverso il proprio rilevante patrimonio (geneticamente connotato dal requisito della illigalità in quanto frutto del reinvestimento di cospicue risorse, di sicura provenienza illecita del clan Zagaria e pertanto nella piena disponibilità in particolare di Pasquale Zagaria), è senza dubbio il principale artefice del reinvestimento dei proventi dell’attività criminale dei fratelli Zagaria». Il riferimento, nella procedura di prevenzione, è alle attività comuni di Bazzini e Pasquale Zagaria: in Emilia Romagna e in Lombardia, ma anche in Campania, dove il costruttore di Parma ha potuto partecipare ai lavori per la costruzione della terza corsia autostradale, l’alta velocità Napoli-Roma, aeroporti e metropolitane.
Rosaria Capacchione
Il Mattino il 15/12/09
Pizzo di Natale, fermati fedelissimi di Sandokan
«Denunciate chi vi chiede il pizzo, nel giro di pochi giorni noi li arresteremo». È l’appello lanciato dai carabinieri del reparto territoriale di Aversa che ieri hanno fermato, su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Napoli, quattro persone, tutte di Trentola Ducenta, San Marcellino e Parete, accusate di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. A un anno esatto dall’attentato organizzato dal killer Giuseppe Setola ai danni di Salvatore Orabona, affiliato al clan dei Casalesi, i militari sono tornati in via Caravaggio a Trentola per arrestare il nipote di Orabona, Luigi Del Prete, 25 anni, accusato di aver chiesto il pizzo di Natale a un negoziante, gestore di una ferramenta. Tutto è iniziato con una lite, il 25 novembre scorso, all’interno di un bar. Era la terza volta che gli uomini del clan incontravano la vittima dell’estorsione che non voleva cedere alle richieste di denaro. La crisi, aveva spiegato l’imprenditore agli emissari dei Casalesi, ha fatto calare le entrate e il negozio era l’unica fonte di reddito della famiglia. Ma gli estorsori ritenevano che quei soldi l’imprenditore avrebbe dovuto sborsarli. Per forza. «Almeno 2 mila euro in assegni postdatati per pagare i carcerati, altrimenti sbagli», avevano spiegato. La minaccia aveva sortito solo un secondo rifiuto e per questo motivo erano volati calci, pugni e sedie del bar lanciate in aria. Il giovane negoziante era rimasto ferito alla fronte e alla mano. I due aggressori erano Del Prete e Carlo Tavoletta detto «o’ principe», 36 anni, fratello di un ergastolano. Frasi del tipo «Ti devo sparare in bocca, ti devo uccidere» erano state ascoltate da tutti, in pieno giorno, fino in strada. La sorte ha voluto che in quel posto si trovasse di passaggio una pattuglia dei carabinieri. I militari, identificati i due presunti estorsori, hanno inviato la segnalazione al reparto operativo dei carabinieri di Aversa. Venti giorni dopo sono scattate le manette per Del Prete, Tavoletta e due presunti fiancheggiatori del clan dei Casalesi, fazione Schiavone: Giuseppe D’Aniello, 40 anni, e Paolo Davide Affidani di 23. Ora le indagini proseguono per tentare di costruire una sorta di mappa delle estorsioni nell’agro aversano. Una zona in cui, ciclicamente, vecchi esattori del clan vengono sostituiti da nuovi senza che cambi la sostanza. Anche se la camorra si fa imprenditrice e condiziona appalti e servizi la bassa forza continua a pretendere soldi per una «protezione» secondo i canoni tradizionali della camorra.
Marilù Musto
Il Mattino il 15/12/09