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martedì, Giugno 25, 2024
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NELLA CASA DI RICCARDO, ASPETTANDO LA VERITA’

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Parlano i familiari del giovane Riccardo Brando, il 18enne di Giugliano travolto dall’Eurostar Roma-Taranto il 26 settembre scorso. Tornava da scuola. Il padre distrutto dal dolore: “La stazione era incustodita, qualcuno deve pagare”.




dall’inviato a GIUGLIANO




È rimasto tutto come quel disgraziato pomeriggio. I dischi in vinile di Pino Daniele allineati sullo scaffale, accanto ai testi di scuola. I libri, i “Canti” di Giacomo Leopardi, le foto del Napoli. La sveglia con la suoneria ancora impostata, la scrivania, la sedia, il guardaroba, il fax, la vecchia macchina da scrivere, la tenda bianca.
Sono trascorsi 22 giorni. Ma è come se Riccardo Brando fosse appena uscito dalla sua camera in quella casa modesta ma dignitosa del parco “Albatros” che s’affaccia su via Pozzolaniello. Siamo al Rione Principe, quartiere che ha dilatato un po’ disordinatamente la periferia di Giugliano, lungo la strada che conduce direttamente a Qualiano. Viveva lì insieme ai genitori e ai fratelli, in quell’appartamento al quarto piano del fabbricato F, il giovane studente travolto dall’Eurostar Roma-Taranto. Erano le 17.20 del 26 settembre scorso. Riccardo è morto mentre attraversava i binari della stazione ferroviaria di Ponte Riccio, nella zona industriale di Giugliano. Diciotto anni compiuti il primo agosto, tanti sogni nel cassetto e tutta una vita per realizzarli. Frequentava il terzo anno dell’Alberghiero “Rossini” di Bagnoli, tifava Napoli e adorava le poesie.
Subito si parlò di disgrazia. Di fatale disattenzione. Poi, però, la tragedia ha riacceso le polemiche sullo stato di abbandono di quella stazione ferroviaria. “C’è stata una evidente sbadataggine di Riccardo – spiega Luigi Brando, padre del 18enne – ciò non esclude, però, responsabilità di chi non ha mai effettuato alcuna custodia per quella stazione, prigioniera del degrado più assoluto”.
Il dolore ha lasciato spazio ad inquietanti retroscena. “I sottopassaggi ci sono ma nessuno li usa perché sono fetidi ed infestati da topi ed altri animali– denunciano i residenti di Ponte Riccio- . Ogni giorno gli studenti e gli altri pendolari che utilizzano quello scalo attraversano i binari allo stesso modo di quel ragazzo. Prima o poi doveva succedere”. Non basta però quella denuncia. E’ ancora poco, troppo poco. In casa Brando stanno ancora aspettando. Non quel figlio che è uscito di casa quella mattina di fine settembre e non è più ritornato. No, due poveri genitori, con il cuore spezzato attendono un briciolo di verità. E di giustizia. “Quella stazione è fatiscente, lo ammettano le Ferrovie dello Stato. Nostro figlio è morto, nessuno ce lo ridarà indietro: altre tragedie come questa non devono, però, verificarsi di nuovo. Intervenga chi può. Al più presto”. Luigi Brando, 57 anni, disoccupato, ricorda tutti i momenti di quel 26 settembre 2003. “Ogni volta che se ne parla rivivo quella tragedia e il dolore si riaccende”. Ma il desiderio di sapere è forte. “Non vogliamo vendetta, ci basta sapere cosa è capitato a Riccardo. Vogliamo sapere perché non c’era nessuno a custodire i binari, dov’era il capostazione, perché la campanella dell’Eurostar non è suonata, come mai il sottopassaggio era inagibile. Vogliamo sapere per quale ragione nessuno ci ha informati della disgrazia, come mai né un medico né un magistrato ha esaminato il corpo di nostro figlio sul posto, perché il cadavere è restato a terra quattro ore, per quale motivo non ce lo hanno fatto vedere. Vogliamo la verità, nient’altro”. La giornata è cupa, la pioggia cade a tratti dal cielo grigio. È lo specchio del cuore di un padre disperato. “Papà ha saputo della tragedia al telegiornale – spiega Roberto, 16 anni, fratello di Riccardo, con il quale condivideva la stanza -. Io ero con mia madre alla stazione: Riccardo era in ritardo, siamo andati a prenderlo. C’era tanta gente, pensavo ad uno sciopero. Poi la notizia…”. Angela Di Fuzio, la mamma, 48 anni ancora da compiere, è andata al cimitero. Il giovane riposa dietro una lapide di marmo bianco del camposanto di Fuorigrotta. “Era il terzo giorno che prendeva la metropolitana – aggiunge Renato, 32 anni, il più grande dei figli Brando- . E’ assurdo quello che è successo. Mio fratello non era uno sprovveduto. Qualcuno deve rispondere di questa disgrazia”.
Il vecchio padre scuote la testa. “Quella stazione va messa in sicurezza, non deve accadere più quello che è accaduto a mio figlio”. Ma la sua non è rassegnazione. “Ho consultato gli avvocati, faremo causa alle Ferrovie. Ci sono diversi testimoni”. Nasce così la determinazione di continuare a combattere. “Per dare un po’ di pace alla sua anima – dice -. Perché fino a quando non si saprà quello che è successo non penso che Riccardo potrà riposare tranquillo. Non importa se ad ogni tappa di questo calvario senza fine il cuore sembra spezzarsi”.

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