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L’ULTIMO SALUTO A RAFFAELE. «GIOVANI, USATE IL CASCO»
Duemila alle esequie del 19enne morto in moto

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QUALIANO. Sulla bara bianca c’è un fascio di fiori che accompagna l’ultimo viaggio di Raffaele Granata. Accanto, la disperazione di mamma Maria e papà Pasquale e l’angoscia di chi quel ragazzo lo conosceva da bambino. Sono centinaia gli amici giunti nella chiesa di Santo Stefano, a Qualiano, per i funerali del 19enne morto in seguito ad un terribile schianto in moto. «Il casco lo avrebbe salvato», dice don Salvatore Verde, viceparroco della comunità. Il giovane sacerdote officia la cerimonia funebre senza cedere alla retorica. «Sono stanco di celebrare messe per giovani morti in scooter. Basta con questa strage. Il casco – ammonisce – è un mezzo di salvezza, non di fastidio. Indossatelo, ragazzi. Fatelo per Raffaele». Don Salvatore ripete la parola «casco» per tre volte, scandendo chiaramente le lettere. «Di questa assurda morte siamo tutti responsabili: famiglie, istituzioni, chiesa, scuola. La legge – continua – è nata per regolare la nostra vita civile e non per limitare la libertà. Eppure si continua a violarla, in strada ma non solo».

Nella chiesa risuonano i canti religiosi, piangono gli amici che hanno accompagnato la bara in spalle da casa fin sotto l’altare e l’hanno ricoperta di messaggi. «Ovunque tu sia, sei sempre nei nostri cuori». «Non ti dimenticheremo mai». E ancora: «Brilla su di noi nel cielo di Napoli».

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In un paese interamente chiuso per lutto, in tantissimi non trovano posto in chiesa ed aspettano l’uscita della bara nel piazzale antistante. «Lo chiamavano Pippetta perché era bassino– racconta un amico – a Qualiano lo conoscevano tutti così». Il soprannome compare anche sui manifesti a lutto di associazioni, commercianti, gruppi di amici.

La folla che partecipa alle esequie è composta soprattutto da giovani. Molti arrivano in scooter ma nessuno indossa il casco, perché il casco, come la legge, qui è quasi un fastidio. Fa bene, allora, don Salvatore a invocare la resurrezione della «periferia malata», a chiedere che il «sacrificio di Raffaele non sia vano» e che «ognuno faccia crescere il senso di legalità, a cominciare dalle famiglie e dalle istituzioni».

E’ quasi mezzogiorno quando la bara esce dalla chiesa. La portano in spalla gli amici più intimi del 19enne, dandosi il cambio ogni dieci minuti. Il corteo attraversa tutto il paese. Duemila persone in marcia, un fiume di lacrime sincere. Uno striscione gigante accoglie la salma nel viale alberato del cimitero. «Lavorava come imbianchino – dice Maria Maro, una vicina di casa – ma la sua passione era il pallone. Avrebbe voluto riprendere a giocare nella squadra del paese». E ci sarebbe riuscito se sabato notte avesse indossato il casco.



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