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sabato, Maggio 11, 2024
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«COSI’ LA MORTE CI VIAGGIA ACCANTO»
Reportage dai quartieri in guerra. E a Casavatore un altro morto

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CASAVATORE. I sicari della Camorra non si fermano nemmeno a Natale: Giuseppe Pezzella, di 35 anni, è stato freddato a Casavatore, alle porte di Napoli. Pezzella, noto alle forze dell’ordine solo per un precedente reato di inquinamento di acque, era ritenuto vicino agli scissionisti, il gruppo che si oppone al boss Paolo Di Lauro per il controllo dello spaccio di droga a Secondigliano. La vittima è stata uccisa poco dopo aver parcheggiato vicino a un bar.

Pezzella, a bordo della sua Alfa 33, aveva appena parcheggiato nei pressi di un bar in Via Morelli, quando è stato avvicinato da due killer giunti sul posto a bordo di una motocicletta. I sicari gli hanno sparato contro numerosi colpi di pistola, mentre Pezzella tentava di entrare nel bar per trovare un riparo. L’uomo è morto all istante, mentre gli assassini sono fuggiti. Sul posto sono poi giunti i carabinieri, avvertiti dal centro operativo del 118, il cui intervento era stato richiesto con una telefonata anonima. Ma i sanitari non hanno potuto soccorrere Pezzella che, al loro arrivo, era gia’ morto.

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«COSI’ LA MORTE CI VIAGGIA ACCANTO»
Reportage dai quartieri in guerra. Aspettando Natale



NAPOLI. “Mai viste tante facce nuove da queste parti”, dice Clementina, 22 anni, volontaria di un centro Caritas nel cuore di Secondigliano. “C’è chi si addentra nei vicoli e racconta la Napoli di camorra e chi va dai volontari e racconta la Napoli che resiste. In un modo o nell’altro, vengono a cucirci addosso un abito”. Clementina ha un profilo esile e un volto duro: ti pianta addosso la sua stanchezza e non sai che rispondere. Sì, è vero. Un viaggio nella Napoli di camorra e un giro nella Napoli che tiene duro: due facce del folclore. Ma come raccontare altro? Come far capire, a chi di certi odori ha un’idea lontana, che su queste strade tutto si mescola, che riconoscere le differenze, giorno per giorno, è sempre più difficile? Che il tuo vicino di casa, che è anche il tuo migliore amico, ha un fratello camorrista e se ne sta barricato in camera, spaventato e impotente di fronte a questa faida; e tu stesso, di riflesso, senti un brivido di paura?

Tutto si mescola e tutto si confonde.
“E’ difficile far capire a chi non vive qui – conferma Clementina – che non c’è un muro tra la Napoli dei buoni e quella dei cattivi; non ci sono barriere a proteggere gli uni e a chiudere fuori gli altri. Si respira tutti la stessa aria”. Con Clementina, facciamo un giro nei luoghi di questa nuova, sanguinosa, guerra di camorra, e troviamo perfino il coraggio di ridere (amaro) sulla strana abitudine, in questa zona, di dare alle donne nomi lievi come diminutivi: Clementina, Mariolina, Gelsomina. Gelsomina, come la ragazza di 20 anni, torturata, uccisa con un colpo alla nuca, consegnata alle fiamme qualche settimana fa da un gruppo di killer, uno dei quali, nel dare fuoco al cadavere, si è bruciato capelli e sopracciglia e dal giorno dopo girava pelato e ustionato, e tutti intuivano, vedendolo passare, perché qui nessuno sa nulla di preciso ma tutti percepiscono, sentono, di pancia più che testa. Gelsomina frequentava quelle che altrove si direbbero “cattive” amicizie: si è ritrovata nel cuore della faida tra un ragazzo del cosiddetto clan degli Spagnoli (gli scissionisti) e un altro dei Di Lauro. L’hanno sequestrata per estorcerle delle informazioni. Poi l’hanno uccisa. Una delle decine di vittime di questa guerra di camorra tra un clan storico (quello di Paolo Di Lauro) e una serie di ex affiliati che hanno provato a marciare in proprio. Omicidi da una parte e dall’altra: il conto delle vittime, col pallottoliere. Questo in quota Di Lauro, questo in quota scissionisti. Vittime uccise a colpi di pistola in strada, davanti alla metropolitana, all’uscita dai negozi, in pizzeria. E tra loro Gelsomina, che nel pallottoliere è finita negli scissionisti. Lei. Una ragazza come tante, nel luogo che tutto mescola.
Cominciamo questo viaggio da un posto insolito: il campo rom di Piscinola. Una decina di baracche, il solito scenario desolante: immondizia e lamiere, bambini e biciclette rotte. Omar, 38 anni, fabbro, padre di cinque figli, si lamenta: “Da quando la camorra ha ripreso a sparare, qui vengono continuamente: viene la polizia a perquisire, vengono i camorristi a verificare se nascondiamo armi a qualcuno. Lì fuori fanno la guerra e noi ci andiamo di mezzo”. Le forze dell’ordine, nei loro sempre più frequenti controlli all’accampamento, hanno consegnato una decina di fogli di via. “Eppure – aggiunge Clementina – questi rom non fanno male a nessuno. Tutti li sospettano di ogni cosa ma loro se ne stanno tranquilli. Ecco perché ho voluto che questo viaggio cominciasse da qui. Questi rom mi sembrano, paradossalmente, il simbolo più efficace dell’aria che si respira dalle nostre parti in questo periodo”.
La faida, che ha riacceso i riflettori su Napoli e la camorra, si sta sviluppando tutta in una fetta di pochi chilometri quadrati: Scampia, Piscinola, Secondigliano, San Pietro a Patierno. Duecentomila persone “sigillate” in case popolari, rioni che come alveari fanno intuire vite e facce dietro finestre piccolissime e rigorosamente chiuse da inferriate. In questa zona, i traffici della camorra si chiamano droga e racket. Più droga che racket visto che di “taglieggiabile” c’è ben poco. Droga, tantissima droga. Hashish, cocaina, eroina, il devastante kobret, l’ectasy per i ragazzi delle discoteche e la mariujana per lo sballo casalingo del sabato sera. Nel triangolo della faida, c’è un market a cielo aperto. Lo sanno tutti. Da sempre. Scendono da tutta Napoli. Dal Vomero, dall’Arenella, da Posillipo. Vengono tutti nel famigerato “terzo mondo”, un caseggiato tra Piscinola e Secondigliano, col viale di ingresso che si apre proprio davanti alla sede del Battaglione dei Carabinieri. Il “terzo mondo”, a Napoli, è un centro commerciale della droga. Agli angoli del rione ci sono le sentinelle (40 euro al giorno) che avvertono se vedono in giro gente sospetta o sconosciuta. Lungo le strade girano le ronde (100 euro al giorno) che, talvolta armati, avvicinano le auto sospette per capire chi sono e cosa vogliono. Le ronde seguono le macchine per un po’, guardano dentro con discrezione, osservano e provano a capire. Tre settimane fa, una macchina con quattro carabinieri in borghese, di ritorno da una pizzeria, capitò nel quartiere. Lo attraversò tutto, una ronda si avvicinò e scorse da sotto la giacca di uno dei quattro la canna di una pistola. Partì l’allarme, arrivò una ronda armata di mitraglietta e aprì il fuoco. I quattro carabinieri in borghese se la sono cavata con qualche giorno di prognosi e un grande spavento. Ma questa è l’aria che tira nell’ipermercato della droga. Gli stupefacenti sono venduti nei palazzi. Funziona così: chi vuole droga si avvicina a un ragazzo, che staziona sul marciapiede di fronte a uno dei palazzi dello smercio. Il ragazzo prende l’ordinazione, va nel portone: qui, da dietro un cancello chiuso, un altro spacciatore consegna la droga. Il ragazzo la porta al cliente e intasca i soldi per poi consegnarli a quell’altro dietro la cancellata. Chi sa, racconta che dietro quei cancelli, nel sottoscala dei palazzi, c’è un lungo dedalo di percorsi sotterranei che, in caso di blitz della polizia, sono in grado di portare gli spacciatori (e la roba, e i soldi) fino al mare. Inutile dire che in quei palazzi ci vive gente, e che questa gente, per non ostacolare lo smercio della droga, deve rincasare prima delle ventitre, altrimenti il cancello è chiuso e non si può aprire. Due settimane fa, una anziana signora, vedova e senza figli, stanca di questa sopraffazione, chiamò la polizia. Tre giorni dopo le hanno dato fuoco alla casa. Colpirne uno per educarne cento.

“La percezione della gente – spiega Tonina Perna, ex consigliere circoscrizionale e presidente di un’associazione culturale – è che la camorra è più forte e se sgarri ti viene a prendere e ti rovina. Lo Stato non dà la stessa percezione e dunque la gente sta zitta e tira dritto. Con pazienza”.
Il traffico di droga frutta alla camorra, su questi territorio, circa 500mila euro al giorno. Il controllo, nel “terzo mondo” è tutto di Paolo Di Lauro, latitante da 14 anni e chiamato dai suoi uomini “il Papa”. Di Lauro, da tempo, sarebbe rifugiato in Spagna, a Malaga. Il dominio è rimasto nella mani dei figli: uno in particolare, Cosimo, il quale però avrebbe gestito con meno autorevolezza e più difficoltà il clan. Ne è nata una scissione: un gruppo di ex fedelissimi avrebbe tentato di mettersi in proprio. La faida. È il 29 ottobre quando i carabinieri del Reparto operativo di Napoli intercettano una conversazione tra due fedelissimi del clan Di Lauro: «Questo ha detto Cosimino – dice uno degli interlocutori – : Ora li mando a prendere uno per uno, anche con le bombe. Li voglio vedere distrutti». «Una guerra deve essere – dice un altro intercettato – E se non colpiamo per primi, rischiamo di essere annientati noi…».

Una guerra doveva essere e una guerra è stata.


Da quel momento sono morte sotto il fuoco dei killer ventisei persone. Uccisi fuori dei negozi, della metropolitana, dati alle fiamme nelle loro auto. Una media di un omicidio ogni due giorni. “Inutile dire – aggiunge Clementina – che ci vanno di mezzo anche gli innocenti, anche perché non esistono innocenti e colpevoli. Quando si ammazza, si ammazza. E qui, la morte ci viaggia accanto”. Le forze dell’ordine hanno provato a fare sentire il loro peso. La polizia, con un blitz improvviso, ha arrestato sette latitanti del gruppo degli scissionisti, tra cui i due capi riconosciuti. Un gruppo interforze con carabinieri, polizia, finanza e pompieri hanno stretto d’assedio la zona e hanno arrestato cinquantuno persone, tra cui uno dei figli del boss Di Lauro. Altro duro colpo, portato a termine tra le proteste di decine di persone, che hanno tentato di bloccare gli agenti. Nonostante i blitz gli omicidi non si sono fermati. La guerra è continuata. Benchè le forze dell’ordine abbiano blindato le strade, i killer colpiscono e spariscono. Com’è possibile? «Basta guardarsi in giro – dice il questore di Napoli Franco Malvano -. Scampia è lo specchio del degrado. Palazzoni che offrono mille nascondigli, vicoli angusti che proiettano ombra sulle attività di malavita». Insomma, i clan si muovono sul loro terreno. E hanno vita facile. “Colpa di quella che gli esperti chiamano area grigia – spiega Giovanni Paladino, sociologo dell’Università di Napoli -: su questi territori ci sono i camorristi, gli onesti intransigenti e poi c’è un’area mediana, che non sta con la camorra ma non sta nemmeno con le istituzioni, che magari ammicca e si gloria del caffè col camorrista e che se, all’occorrenza, gli deve dare una mano, gliela dà. E’ gente comune, che per vivere lavora e che non fa traffici, ma che, per cultura, per un senso popolare di rispetto verso ‘chi ci sa fare’, ha una sottile ammirazione per i boss e ne copre le gesta. E’ proprio questo il brodo di coltura della criminalità organizzata; se non si agisce su questo livello, con un lavoro sulle nuove generazioni, il problema non si risolve. Non bastano né dieci né cinquanta arresti, tanto fatto fuori un capo ne arriva un altro. Bisogna smuovere il terreno dove questi fenomeni vengono coltivati, cioè quello della connivenza popolare”.

La complicità della gente comune: un nervo scoperto. Guai a toccare questo tasto con chi nel quartiere ci vive. “E che dovremmo fare? – dice un negoziante che, manco a dirlo, vuole rimanere anonimo – denunciare e farci ammazzare? Qui comandano loro e noi obbediamo”. Nel cuore di Miano, a pochi passi dal “terzo mondo”, c’è l’Opera Don Guanella. Qui, Clementina illustra tutte le attività che vengono svolte in favore dei minori a rischio: ci sono impianti sportivi, teatro e uno stuolo di educatori. “Partiamo dai bambini – dicono i responsabili della struttura – perché sono gli adulti di domani e, magari, diventano qualcosa di differente dai loro padri”. “Intanto – aggiunge beffardamente Clementina – alcuni dei morti ammazzati di questi giorni, hanno passato l’infanzia qua, in mezzo a questi educatori”. La parola ricorrente nei dialoghi con la gente comune di questo quartiere è speranza. “Guai a perdere la speranza”, dicono tutti. Intanto, però, le cose restano sempre uguali.

“Scampia e Secondigliano bruciano – dice Armando Corona, criminologo – e oggi questo fa notizia. Ma la camorra non esiste solo quando uccide; anzi. La camorra c’è ed è forte soprattutto quando non spara. C’è a Scampia ma c’è anche nel resto della città”. Napoli, in effetti, nella mappa criminale è divisa in diciotto zone per altrettanti clan: tutti in pace tra loro. Territori spartiti, regia condivisa (i reggenti sarebbero tre: Misso, Contini e Mazzarella), rapporti con la mafia. Una vera e propria holding che vede di pessimo occhio questa guerra di Seconsigliano. Troppa attenzione mediatica, troppa polizia. “Da quando è successo questo casino – dice, intercettata dalla polizia, una donna del clan in una telefonata con un’altra donna – non si guadagna più di 10mila euro al giorno; prima arrivavamo a 500mila. Qua la situazione va in crisi”. Se la faida finirà, quindi, alla fine sarà perché la camorra deve autotutelarsi. E cosa meglio del silenzio per far scendere l’attenzione?. “Prima o poi – conclude Clementina – smetteranno di sparare. I giornalisti torneranno nei loro uffici, la polizia pure. E noi, invece, resteremo qui. Come prima”.





da “Avvenimenti”

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