NAPOLI. «Siamo stati i primi in Italia a governare con una larga coalizione dall’Udeur a Rifondazione e abbiamo dato un contributo importante perché si affermasse anche a livello nazionale l’unità di tutte le forze del centrosinistra. In questo senso la Campania è un laboratorio politico. Ma è stata anche un grande laboratorio di nuove politiche. Ci siamo sforzati di tenere uniti, percorsi politici e percorsi sociali». Così Antonio Bassolino, candidato alla presidenza della Regione Campania, parla della coalizione di centrosinistra che lo sostiene per le elezioni di aprile.
Presidente Bassolino, secondo il rapporto dell’Osservatorio economico regionale, l’economia campana è cresciuta in questi anni più della media nazionale e ha confermato la tendenza all’incremento del tasso di occupazione, mentre la disoccupazione è scesa. Nella capacità di spesa dei fondi europei la Regione ha fatto un balzo in avanti: dagli ultimi posti degli anni Novanta, oggi è tra le prime in Italia. Cosa vuol dire per le prospettive della Campania e dei campani?
Anche nel 2004 e nel 2005, secondo le autorevoli previsioni di Union Camere, la Campania cresce più del resto del Paese: 1,2 per cento nel 2004; più 2,1 per cento nel 2005, contro l’1 e l’1,9 per cento dell’Italia. La maggiore capacità di crescita della Campania è ormai un dato consolidato, reso ancora più significativo dall’incertezza e dalla difficoltà in cui versa l’economia del nostro Paese. Si tratta di una crescita con un buon profilo qualitativo, dovuta non all’incremento dei consumi, come avveniva nel passato, ma a quello degli investimenti. Particolarmente rilevante è la crescita dell’occupazione e il calo della disoccupazione. Un dato per nulla scontato per una realtà come la Campania, la più giovane d’Europa, dove il numero di giovani in cerca di prima occupazione è particolarmente elevato. La stessa Svimez, che ha collaborato alla ricerca, ha calcolato che almeno un terzo del Pil della Campania è il frutto degli investimenti operati dalla Regione in campi strategici. Nelle infrastrutture di trasporto abbiamo già investito 300 milioni di euro dei fondi europei; abbiamo avviato la realizzazione della metropolitana regionale, la più grande opera pubblica in corso oggi in Italia dopo l’Alta velocità-capacità ferroviaria; abbiamo aperto 200 cantieri per 6-7mila posti l’anno. Nella ricerca e nell’innovazione investiamo il 2,5 per cento del nostro Pil, il doppio della media nazionale e abbiamo dato vita, con un investimento di 200 milioni di euro dei fondi del Por (programmi operativi regionali, ndr) a dieci centri di competenza, importanti strutture di coordinamento delle conoscenze tra mondo universitario e sistema delle imprese. Con Aifa, l’accordo di inserimento formativo per l’assunzione a tempo indeterminato, abbiamo finanziato la formazione dei giovani per l’assunzione a tempo indeterminato. Su questa misura abbiamo concentrato oltre 120 milioni di euro e abbiamo creato 10 mila posti di lavoro a tempo indeterminato dando vita a diverse fabbriche di medie e grandi dimensioni. Risultati significativi raggiunti, soprattutto, grazie ad una nuova capacità di utilizzare i fondi europei. Un fatto di enorme portata: eravamo gli ultimi, oggi siamo i primi nell’uso di questi fondi. Adesso occorre andare avanti per costruire un new deal per la Campania e il Mezzogiorno, fatto di dieci anni di grandi investimenti nazionali per le infrastrutture, per le vie del mare con i paesi del Mediterraneo, per la ricerca, l’innovazione e il turismo. E dobbiamo spingere perché sul piano nazionale si cambi registro e ci si muova in una direzione opposta a quella di oggi. Perché il futuro del nostro Paese dipende soprattutto dalla capacità di crescita del Mezzogiorno. Il Mezzogiorno non rappresenta il problema del Paese ma costituisce la possibilità di una soluzione alla crisi italiana.
Nonostante questo, restano sul tappeto grandi emergenze. Una di queste è la questione ambientale: il piano rifiuti non è riuscito a decollare, la raccolta differenziata va a rilento, le discariche sono ancora aperte e alcuni territori si ritrovano spesso nella morsa dei rifiuti. Come pensa di affrontare questo nodo, rimasto irrisolto in questi anni?
Abbiamo costruito sette impianti per la produzione di combustibile derivato da rifiuti e quattro impianti di compostaggio. Quando siamo arrivati c’erano solo le discariche gestite dalla camorra. Le discariche ancora aperte, per la prima volta nella storia della Campania, sono controllate dallo Stato e non più dalla criminalità organizzata. Adesso bisogna chiudere il ciclo, costruendo i termovalorizzatori e potenziando la raccolta differenziata. Non ci sono alternative. Dire solo di no è ingiusto e allontana la soluzione dei problemi. Da sindaco di Napoli per tre anni ho consentito che nella discarica di Pianura finissero i rifiuti di gran parte della regione. È necessario il massimo di collaborazione tra le istituzioni e il commissario straordinario per l’emergenza rifiuti Corrado Catenacci per dare una risposta positiva a questo grande tema. Per avere un’idea dei passi in avanti che abbiamo compiuto anche nel campo dell’ambiente, vorrei ricordare che in questa legislatura abbiamo istituito otto parchi regionali, quattro riserve regionali, un parco metropolitano, due nuove aree protette. Si tratta di una delle più grandi operazioni ambientali realizzate in Europa. Oggi il 25 per cento del nostro territorio, 343 mila ettari, è protetto. Siamo, dopo l’Abruzzo, la regione italiana con la maggiore superficie di territorio protetto. Siamo stati la prima regione a scendere in campo contro il condono, una misura tanto più grave perché rischia di mortificare sia l’ambiente sia quel senso delle istituzioni, quel senso civico che è il bene più grande che il Mezzogiorno ha costruito in questi anni. Per questo continuiamo a batterci, con una nostra legge regionale, per evitare le conseguenze di una scelta che rischia di premiare i furbi a discapito degli onesti. La qualità dello sviluppo ha caratterizzato i grandi progetti di questi anni: la metropolitana regionale, il metrò del mare, la valorizzazione dei beni culturali, il turismo sostenibile, l’enogastronomia. Dobbiamo continuare su questa strada e, allo stesso tempo, compiere scelte innovative nei campi del risparmio energetico, dello sviluppo delle fonti rinnovabili, la riduzione delle fonti di inquinamento per avvicinarci il più possibili agli obiettivi di Kyoto e fare dell’ambiente il principale punto di riferimento della nostra azione.
Lei gira i territori più per raccogliere voci che per fare comizi. Napoli e la Campania sono un laboratorio di grande interesse per il centrosinistra nazionale: qui si vince ininterrottamente dal 1993 e spesso con candidati di sinistra. È l’ascolto, il segreto?
Siamo stati i primi in Italia a governare con una larga coalizione dall’Udeur a Rifondazione e abbiamo dato un contributo importante perché si affermasse anche a livello nazionale l’unità di tutte le forze del centrosinistra. In questo senso la Campania è un laboratorio politico. Ma è stata anche un grande laboratorio di nuove politiche. Ci siamo sforzati di tenere uniti, percorsi politici e percorsi sociali. Qui abbiamo inventato nuove forme di welfare municipale e territoriale. A Napoli molte donne dei Quartieri Spagnoli, dopo un corso di formazione, sono diventate maestre di asili nido e abbiamo concesso loro un reddito a condizione di fare studiare i loro figli. E ricordo i “nonni civici”, utilizzati in servizio di vigilanza fuori le scuole, e i maestri di strada. In Campania abbiamo approvato un’importante legge regionale sul reddito di cittadinanza: una legge di contrasto della povertà, fatta anche di servizi, di formazione, di diritto all’istruzione per le fasce più deboli. Un contributo importante perché l’Italia colmi un vuoto intollerabile. Oggi infatti, dopo l’abolizione del reddito d’inserimento, l’Italia è l’unico grande Paese che non ha alcuna misura di contrasto delle povertà. Oggi in campagna elettorale, gli incontri di ascolto, per me, sono ascolto vero. Praticare un po’ il silenzio per ascoltare. Senza arroganza istituzionale e politica. Per poi dare risposte di governo più rispondenti ai bisogni. Per questo, la parola d’ordine fondamentale della campagna elettorale è “una regione più vicina”. Una regione più vicina ai Comuni, alle istituzioni, ai cittadini: qui abbiamo triplicato i trasferimenti ai comuni e raddoppiati quelli alle Province. Una regione più vicina per accogliere la voglia di partecipare che in questi anni si è espressa in tanti modi, in primo luogo con il movimento pacifista, alle donne e alle nuove generazioni.
I sondaggi segnalano che gli elettori di centrosinistra vogliono unità e coesione. E in questo la destra sembra essere più brava. Come si fa a costruire un’alleanza unita, compatta, che non si perda in interminabili discussioni interne, di cui anche lei in Campania ha subito gli effetto negativo?
Non direi che il centrodestra sia meno diviso del centrosinistra, anzi. Magari è capace di evitare che le fratture emergano, anche perché si tratta di uno schieramento legato più al potere del leader che ad una reale condivisione di valori. Proprio perché qui a Napoli e in Campania siamo stati i primi a costruire l’esperienza di quella che oggi si chiama l’Unione, siamo i primi a vedere la necessità di avere, dentro la grande coalizione, un baricentro forte. È una condizione indispensabile se si vuole davvero governare e trasformare il Paese. La sfida dell’unità è stata già vinta nel corpo elettorale ed è stata già vinta nel governo delle istituzioni. È tra i partiti che quest’unità è più ardua. Per questo dobbiamo muoverci con il giusto equilibrio ma anche con determinazione, perché dentro l’Unione vi sia una forza di garanzia del cambiamento, della trasformazione del Paese. La federazione dell’Ulivo non può essere un semplice coordinamento dei partiti attuali ma un serio e forte soggetto politico, capace di parlare con una sola voce al Paese. È così che possiamo costruire la più ampia e più profonda unità della coalizione, immettendo anche le necessarie novità rispetto al ’96 e al 2001: senza accordi elettorali, senza desistenze ma con patti chiari tra tutti gli alleati e, al tempo stesso, costruendo una grande forza di cambiamento al servizio del Paese.
Le primarie, l’elezione diretta del presidente, i manifesti con il volto dei leader. Come si sente un uomo di sinistra, di cultura ingraiana, operaista, come lei in questa politica che tende al culto dell’immagine e del leaderismo?
Da sindaco prima e da presidente di regione dopo ho potuto misurare come l’elezione diretta e i nuovi poteri che caratterizzano questi ruoli si accompagnino, sempre, a grandi responsabilità, a impegni precisi che occorre portare avanti, a rapporti forti e veri con i cittadini. Poteri, responsabilità e legittimazione dei cittadini vanno di pari passo. Altra cosa è il tema del culto dell’immagine e di un leaderismo esasperato. Il nostro sistema politico nazionale vive, dal 1993, una sorta di transizione infinita, fatta di riforme sempre avviate e mai concluse. Un sistema politico più debole tende a gestire la politica come marketing, a usare la tv come l’arena privilegiata, in cui i sondaggi sostituiscono l’ascolta della società. E dunque l’immagine e il leaderismo coprono, in maniera sempre più stanca, questa debolezza. Abbiamo invece bisogno di meno immagine e di più sostanza, a partire da una seria riforma del nostro sistema politico e istituzionale. Dai miei maestri, da Ingrao e Berlinguer, ho imparato a guardare ai più deboli, ai ceti meno abbienti, alla politica come impegno per ampliare gli spazi di democrazia e di libertà. Questi insegnamenti e questi valori, in un mondo diverso e in un nuovo sistema politico, cerco di farli vivere, ogni giorno, nel mio lavoro istituzionale e nel mio impegno politico.
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