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sabato, Aprile 20, 2024
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PREVENZIONE E SALUTE, TRA PROMESSE E REALTA’
In primo piano l’ipertensione arteriosa e l’ictus cerebrale

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VILLARICCA. L’ultimo week end ha fornito non pochi spunti di riflessione su salute e prevenzione. Naturale, di conseguenza, l’esigenza di tracciare un bilancio o, quanto meno, fare il punto della situazione…
Il 15 maggio si è celebrata la “Giornata nazionale di lotta all’ictus cerebrale” e da più parti si è denunciata la scarsa copertura del territorio nazionale con le cosiddette “STROKE UNIT”, centri specializzati per la diagnosi e la cura dell’ictus cerebrale. Si tratta, in pratica, di unità di terapia intensiva dedicate a questa specifica patologia.
Si ripropone così una questione non recentissima, risorta dopo l’annuncio di sabato, in occasione della Giornata mondiale della Prevenzione, dei dati sulla prevalenza e sulla mortalità dell’ipertensione arteriosa, il principale fattore causale dell’ictus. Sono infatti 12 milioni i soggetti affetti da tale patologia, in Italia. Un fenomeno dalle dimensioini pandemiche, considerato che causa circa 240.000 morti all’anno.
Già qualche anno fa, cominciava a prendere corpo in Italia, sulla scia di quanto avveniva nei sistemi sanitari del mondo occidentale, la rete delle “STROKE UNIT”. Purtroppo, però, agli iniziali entusiasmi non fecero seguito i risultati attesi al punto che, in alcuni centri anche universitari, la nascenti Unità per la diagnosi e la cura delle malattie cerebrovascolari venivano riconvertite – a buon ragione, secondo chi scrive – ad altri scopi. Non si trattò di una “sconfitta” soltanto italiana, piuttosto fu il risultato di un errore di valutazione poiché, eccetto rari casi, le “STROKE UNIT” fallirono nel migliorare la prognosi dei pazienti colpiti da ictus. I motivi di tale infausta sorpresa vennero identificati in vari fattori. Innanzitutto la natura stessa della patologia, rende difficile l’approccio tempestivo. Secondariamente, i ritardi accumulati nel trasporto del paziente alla struttura specializzata e le difficoltà diagnostiche incontrate, specie nelle primissime ore, hanno di certo influito non poco.
Non è da escludere che il miglioramento dell’organizzazione logistica dell’assistenza sanitaria, almeno in alcune regioni d’Italia, ed il notevole avanzamento tecnologico delle tecniche diagnostiche e terapeutiche possano fungere da volano per il rilancio di tale tipologia assistenziale. Tuttavia, un approccio alternativo dovrebbe rappresentare la priorità. Non si può pensare di spendere ingenti risorse per l’assistenza in urgenza, situazione in cui l’impatto sulla prognosi (in termini di quantità di vite salvate) è – tutto sommato – modesto, per poi tralasciare l’arma potenzialmente più produttiva e meno costosa, quale la prevenzione.
È indubbio che la “STROKE UNIT”, soprattutto se si utilizza il termine anglosassone, faccia più notizia, oltre a suscitare maggiore, e legittima, curiosità scientifica. È tuttavia preciso dovere intelletuale – non solo della comunità scientifica e di chi si occupa di sanità, ma soprattutto dei professionisti dell’informazione – rendere onore ad una grande verità scientifica: la prevenzione, a fronte di uno sforzo minore, produce risultati di gran lunga minori, non solo sulla “sopravvivenza”, ma soprattutto in termini di qualità della vità. Non solo “vivere più a lungo”, ma anche “vivere meglio” dovrebbe essere l’obiettivo della moderna assistenza sanitaria; obiettivo riassumibile nella definizione di SALUTE dell’OMS, come “stato di completo benessere fisico, mentale, sociale e non semplicemente assenza dello stato di malattia o di infermità”.

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