13.8 C
Napoli
venerdì, Aprile 26, 2024
PUBBLICITÀ

INFERNO NAPOLETANO

PUBBLICITÀ

Era uno degli ultimi a essere sfuggito. Ne restavano soltanto due. Il penultimo era lui, Modestino Bosco, 35 anni, e l’hanno massacrato in un garage sabato 2 settembre. Il clan Licciardi l’aveva condannato a morte molto tempo fa. L’aveva inserito nella famosa ‘lista della Resurrezione’. Una lista di nomi scritta e affissa fuori la chiesa della Resurrezione a Secondigliano. I nomi erano dei presunti responsabili – secondo il clan – della morte del nipote di Gennaro Licciardi ‘a’scigna’, Vincenzo Esposito ucciso nel 1997 a 21 anni al rione Monterosa. Esposito lo chiamavano ‘il principino’ per il suo essere nipote dei sovrani di Secondigliano. Era andato in moto a chiedere spiegazione di una violenza subìta da alcuni suoi amici. Indossava il casco e venne scambiato per un killer. Quando se ne accorsero gli esecutori avrebbero voluto uccidersi con le loro mani, siccome intuirono che sarebbe stata cosa migliore che aspettare la ferocia dei Licciardi. E i Licciardi fecero partire una mattanza che in pochi giorni uccise 14 persone, a vario titolo coinvolte nell’omicidio del loro giovane erede. Fu così che nacque l’idea di affiggere una lista fuori la chiesa, una lista che il parroco subito strappò, ma non così in fretta da non far leggere i nomi a tutti. Un modo per marchiare a fuoco i responsabili, per velocizzare l’eliminazione senza dover iniziare la strategia delle mattanze trasversali, un invito a consegnarsi per salvare i familiari, un invito ai familiari a consegnare il loro ‘morto vivente’. E dopo lunghi anni, la memoria dei clan è ferrea e infallibile, Modestino Bosco ha pagato la sua condanna. Non è stato uno degli ultimi a morire. Infatti pochi giorni dopo è stato ucciso Bruno Mancini, pregiudicato vicino al clan Di Lauro, crivellato di colpi di 9×21, la pistola il cui calcio da queste parti si abbina con il colore della cintura. Poche ore dopo, un altro agguato: Alfonso Pezzella, 56 anni, è stato assassinato nella sezione dei Comunisti italiani di Casandrino, intitolata ad Antonio Gramsci. Pezzella era un falegname, le indagini mostrano che aveva deciso di interrompere il pagamento dei debiti d’usura. E poi l’ennesimo innocente ammazzato per una rapina: un edicolante Salvatore Buglione 51 anni, la prima sera che non si era fatto assistere dai suoi parenti durante la chiusura del chiosco è stato assalito. Lo volevano rapinare dell’incasso del giorno, l’hanno accoltellato al petto, vicino al cuore. Tre vittime soltanto in un giorno.



Eppure fino a martedì l’estate era stata fatta di scippi, condotti con violenza e tecnica creativa. Il filo di banca è la più sofisticata: si aggancia la persona allo sportello, quella che ha prelevato più soldi, si lancia l’allarme con il telefonino ai complici e la vittima viene pedinata fino a una strada tranquilla. A quel punto non servono neanche le armi: quasi sempre basta la minaccia per farsi consegnare i soldi. C’è poi il metodo del panino, le forche caudine urbane: si sfrutta la strettoia per scippare. Infine il colpo al Rolex, aggiornato nell’era di Internet: si studiano su Ebay le quotazioni degli orologi, memorizzando i più richiesti. Poi si ‘squadra la situazione’, cercando al polso della vittima il pezzo più pregiato. L’agguato scatta nella zona degli alberghi sul lungomare e per il Rolex si è pronti a tutto, anche a sparare. E così in un territorio che va da via Chiaia a piazza Garibaldi passando per via Caracciolo e i Decumani solo nei mesi di luglio e agosto sono stati denunciati 756 scippi e rapine: più di 12 al giorno.



Quello che sembra essere una costante di Napoli e delle letture che si fanno del territorio partenopeo è che il male è tutto il male possibile ed il bene è tutto il bene possibile. È complesso riuscire a isolare i vettori delle contraddizioni, riuscire a comprendere sino in fondo le dinamiche, capirne i perimetri, valutare le tragedie. Napoli sembra sprofondare ed ogni qual volta si è certi di aver raggiunto una sorta di abisso che non può celare sotto che altro abisso, si continua invece a scendere. Come se il limite non si raggiungesse mai. Le estati sono momenti di impennata: turisti, vacanzieri, la vita per strada, divengono portatori di oggetti e danari troppo succulenti per non essere considerati come capitale mobile, danaro frusciante che ti passa sotto il naso, come se avessero sotto le t-shirt e i top il colore verde del dollaro o dei 500 euro. Poi, dopo, si alternano mazzi di fiori inviati ai turisti pestati, inviti a rimanere nelle splendide terre della Magna Grecia e poi lettere ai giornali di chi abbandona Napoli perché esausto. E di chi resiste. E turisti che dicono di non aver mai avuto tanta paura come in questa città, come l’americano Thomas Matthew Godfrey che ha reagito a uno scippo in vico dei Maiorani qualche settimana fa e si è trovato addosso una carica di persone, corse a sostenere i criminali che lui era riuscito a bloccare.


PUBBLICITÀ

Il percorso non sembra essere mutato dal 1996 quando il leggendario ‘Pippotto’, ragazzino di Secondigliano chiamato da tutti ”o terrore’, appena quattordicenne riusciva a fare decine di rapine in un’ora e cercava di migliorare le sue capacità tirando coca. La coca che a Napoli ha raggiunto prezzi bassissimi, arriva anche a 10 euro a dose al Rione dei Fiori nell’area nord della città, è il carburante migliore per mantenere un elevato grado di efficienza al furto, in grado di non farti sentire la stanchezza, di fare su e giù per le strade e di non perdere l’attenzione per ‘squadrarsi la situazione’. Qualche giorno fa un ragazzo di vent’anni in un’ora ha scippato quattro donne, tra cui una disabile. La sua giornata è iniziata alle otto di mattina sul lungomare poi Porta Capuana e il Centro direzionale. Lo scippatore – incensurato, padre operaio in una delle tante fabbriche di scarpe nei sottoscala di via Foria – lavorava come garzone di barbiere: arrestarlo è stato facile, perché per i suoi colpi usava l’automobile. Il segno di un’inventiva criminale che studia sempre nuove tecniche: le armi, per esempio, non si usano più. Per rapinare bastano schiaffi e pugni. I Rolex sono il pezzo più ghiotto in assoluto: non ci sono statistiche, ma a leggere solo le denunce fatte in Questura a Napoli ne sono stati rubati negli ultimi anni più di 50 mila, e la cifra dicono gli inquirenti è sicuramente per difetto. Non solo a Napoli, ma furti di Rolex gestiti da napoletani sono stati segnalati nel 2006 a Genova, Riccione, Roma. Ovunque il mercato dei Rolex è gestito da qui siccome – come ha dimostrato l’inchiesta del 2006 al Monte di Pietà – i clan napoletani, soprattutto quelli del centro storico riescono a immettere i Rolex nuovamente nel circuito nazionale e internazionale di vendita. Un orologio rubato dopo una settimana ha una garanzia nuova, un codice nuovo ed è già su un polso nuovo.



Alla camorra non interessa mettere a stipendio l’intera massa che preme per entrare nel mercato imprenditorial-criminale. Quello che era stato il progetto degli anni ’80 della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo di creare una sorta di ‘Fiat della malavita’, farebbe ridere i boss dei clan di oggi. Nonostante ciò, la camorra continua ad essere per numero di affiliati l’organizzazione criminale più corposa d’Europa, a leggere i dati forniti dalla Procura antimafia di Napoli. Per ogni affiliato siciliano ce ne sono cinque campani, per ogni ‘sacrista’ pugliese quattro, per ogni ‘ndranghetista addirittura otto. In Campania c’è anche il territorio con il più alto tasso di camorristi rispetto alla densità abitativa, tra Casal di Principe, Casapesenna e San Cipriano d’Aversa, comuni del Casertano con meno di 100 mila abitanti, ci sono 1.200 condannati per 416 bis e un numero esponenziale di indagati per concorso esterno in associazione mafiosa. I rapper cantano ‘Napoli è cocente di 416 bis’ e il reato di associazione mafiosa diventa un inno, un’aspirazione. Perché l’aumento della pressione microcriminale sulla città trova ragione innanzitutto dal calo dei criminali ‘a libro paga’ e dalla progressiva ristrutturazione dei cartelli. Che è come se avessero svincolato gli uomini, autorizzandoli di conseguenza a scippare e razziare in ogni zona di Napoli. Spingendoli a osare di più, perché entrare a pieno titolo in un clan è spesso complicatissimo. E tentare di crearne uno è una prova cui molti vogliono sottoporsi.

La flessibilità della camorra è la risposta alla necessità delle imprese di far muovere capitale, di fondare e disfare società, di far circolare danaro e di investire con agilità in immobili senza l’eccessivo peso della scelta territoriale o della mediazione politica. Ora i clan non hanno necessità di costituirsi in macrocorpi, un gruppo di persone quindi può decidere di unirsi in banda, rapinare, sfondare vetrine con gli arieti, rubare beni e rimetterli nel mercato, senza subire come in passato o il massacro o l’inglobamento nel clan. Le bande che scorrazzano per Napoli non sono composte esclusivamente da individui che fanno crimine per aumentare il volume della propria tasca, per arrivare a comprare l’auto di lusso o riuscire a vivere comodamente. Gli individui che scelgono di far rapine, aggressioni, furti, sono spesso coscienti che aumentando le proprie azioni, riunendosi, possono migliorare la propria capacità economica, divenendo interlocutori dei clan o loro indotti. La rapina, l’aggressione, il furto, sono i primi scalini che servono per diventare imprenditore. Iniziare a mettere su un capitale è un percorso di crescita, non un gesto disperato. A Napoli la ferocia è un valore aggiunto. Già qualcuno, molti anni fa, disse che in una città dove il valore della vita è pari a zero chiunque una mattina può svegliarsi e decidere di mettere su un gruppo che se gli va bene potrà diventare clan, se gli va male finirà nella disperazione delle rapine. Il tessuto della città si slabbra, sino a spaccarsi tra due diverse tendenze gli individui, le bande, che come parassiti si nutrono di questa violenza allargata dove ogni essere vivente è territorio da saccheggiare, e di clan che invece come avanguardie velocissime spingono il proprio business verso il massimo grado di sviluppo e commercio, tra queste due cinetiche la città si sta dilaniando.




La mattanza di Scampia ha generato un’attenzione che mancava dalle dinamiche di camorra da più di dieci anni. Si torna a parlare del vecchio modello delle due Napoli. Una marcia, putrida e criminale; l’altra dotta, saggia, colta e visibilmente oscurata dalla mala-Napoli. Le due Napoli tornano visibili. La Napoli borghese, che non disdegna di parlare il dialetto con sonorità antiche, la Napoli che si considera capitale di bellezza e capacità di vita, e dall’altra la Napoli dei neomelodici, di Tommy Riccio e delle radio che trasmettono i messaggi di auguri ai carcerati di Poggioreale. La Napoli alta vede il crimine, la feccia del narcotraffico, l’arroganza del pizzo come degenerazioni della Napoli bassa, come un sacco velenoso che essa è costretta ingiustamente a trascinare.

Ma questi poli opposti, queste radicalità hanno perimetri ambigui. In realtà ben più di un nodo lega quest’apparente distanza. Il fulcro dell’economia della camorra è la sua forza imprenditoriale, una forza che si innesta anche nell’economia del nord Italia, irradiandosi in Asia, America e tutta Europa. Si combatte nelle strade di periferia e i soldati, come in ogni guerra, sono i disperati che ammazzano con un indennizzo di 2.500 euro a omicidio, che prendono salari di 700 euro mensili e che sperano di arrivare agli stipendi dei ‘dirigenti militari’, quelli che possono intascarsi anche 20 mila euro a settimana. Le economie in palio sono astronomiche: quella dei Di Lauro supera i 500 mila euro al giorno e, secondo quanto dichiarato nel settembre scorso nella commissione parlamentare Antimafia, il clan dei Casalesi gestirebbe un patrimonio di 30 miliardi, inclusi i beni posti sotto sequestro ma ancora nelle loro disponibilità. E le loro economie possiedono i perimetri dei continenti, si muovono con i money transfer in Canada, Australia, Gran Bretagna, Svizzera, investendo in aziende, negozi, ristoranti, alberghi. I dirigenti di queste economie hanno i profili dei finanzieri, degli imprenditori internazionali, non hanno la foggia dei criminali di periferia, risiedono nelle città europee, a Tenerife, Monaco, Varsavia, viaggiano da Pechino a Bogotà e investono negli Usa, Germania, Francia. Sono uomini di mondo, che con i soldi di camorra conquistano il mondo.



Sanno di correre dei rischi. Ma sanno anche fiutare le scorciatoie. L’indulto è venuto in soccorso delle disperate condizioni di vita a Poggioreale: un carcere d’inferno, il più sovraffollato d’Europa, dove d’estate nelle celle si arriva a 45 gradi e vivono in 2.300 nello spazio che dovrebbe contenere al massimo 1.100 persone. Ma non ha avuto solo questo compito. L’indulto sembrava avere una sola certezza: nessuna concessione per chi stava scontando pena per mafia. Eppure anche il 416bis è stato risolvibile a Napoli. E il meccanismo è semplice. Un meccanismo salva-padrini. Così è accaduto a Giovanni Aprea, boss di San Giovanni a Teduccio, uno dei territori con maggiore presenza camorristica, ma contrastata da molti cittadini di quest’area a forte tradizione operaia.



I legali di Aprea hanno smontato la condanna: prima hanno proceduto con lo scorporo delle due pene che il boss stava scontando: associazione mafiosa e possesso illegale d’arma da fuoco. Poi è arrivata la richiesta di far scattare l’indulto per la pena relativa al possesso d’arma da fuoco. Una volta accettata questa richiesta, il suo avvocato ha chiesto l’applicazione della fungibilità, ossia di scalare dal periodo trascorso in prigione che era stato condonato la condanna relativa all’associazione di stampo mafioso. Come dire si è usato l’indulto sul reato dove era possibile applicarlo per arrivare a ottenere l’indulto anche sul reato che era escluso dalla clemenza. E il boss Giovanni Aprea, soprannominato ‘Punt’ e curtiell’ non per qualche sua abilità con le lame, ma perché suo nonno interpretò la figura del maestro di serramanico nel film di Squitieri ‘I Guappi’, torna libero. Libero di seguire i suoi affari in un territorio dove la crescita edilizia ha il profilo delle ditte dei clan.



Già prima dell’indulto i boss sono riusciti a risolvere i loro problemi con la giustizia. Pure i protagonisti della guerra di Scampia ce l’hanno fatta: è bastato cancellare 15 righe per fare svanire 80 morti, 80 cadaveri crivellati che hanno fatto inorridire il capo dello Stato e il papa. Vincenzo Di Lauro, figlio del re di Scampia Paolo, arrestato nell’aprile 2004 a Chivasso dopo anni di ricerche, è tornato libero nel giugno scorso per 15 righe e 30 minuti. Quindici righe mancanti nell’ordinanza di custodia cautelare, 30 minuti di ritardo nell’intervento dei carabinieri. Una svista, dicono. Proprio quelle 15 righe sui “gravi indizi di colpevolezza” che servono a tracciare il ritratto criminale di una persona che finisce in manette. Tanto è bastato. E i suoi uomini sapevano, sapevano prima dello Stato della sua uscita. Per avvertirlo e festeggiarlo gli avevano inviato un paio di scarpe, quelle della marca che ha un coltello come simbolo. Vincenzo è sparito in 30 minuti, il tempo necessario ai carabinieri per circondare il carcere e far partire il pedinamento. Prima del giovane Di Lauro era tornato libero Raffaele Amato, boss dei cosiddetti spagnoli, ossia gli scissionisti che a Barcellona hanno creato un secondo impero, rilasciato per decorrenza termini. E Giacomo Migliaccio era stato scarcerato per motivi di salute. Sono considerati due pesi massimi del narcotraffico europeo. Amato è già entrato nella leggenda nera, perché si è arricchito unendo ‘munnezza’ e droga: trasportava i carichi di cocaina nascosti dentro i camion della spazzatura, lì dove nessun doganiere avrebbe messo le mani. Queste scarcerazioni sono dati fondamentali anche per i ragazzi di camorra: i nuovi affiliati, tutti sotto i 16 anni, vedono che in fondo i capi più scaltri ce la fanno. Comprendono che innescare una guerra di camorra con più di 80 morti, che trasformare la più grande periferia del Mediterraneo, com’è Secondigliano, nella piazza di spaccio più importante d’Europa, tutto sommato ti permette di raggiungere un potere in grado di difenderti persino dal carcere. E di fare tanti soldi.



Quei capitali vanno da Napoli al Nord e poi nel resto del mondo, mentre la spazzatura segue la direttrice opposta. È per questo che il problema rifiuti non è un problema campano e meridionale. Le inchieste provano che in oltre trent’anni centinaia di imprese settentrionali hanno sversato le loro morchie, le parti non metalliche delle auto, i toner delle stampanti, migliaia di altri veleni, avvalendosi delle imprese della camorra e risparmiando in maniera esponenziale sui costi di smaltimento legale. Intere colline sono spuntate dove c’erano pianure e sopra le colline si è pure cominciato a costruire case e villette.



Dopo dieci anni di incapacità a gestire la questione rifiuti, dopo il commissariamento che quotidianamente ricorda l’incapacità campana di esprimere un politico, un dirigente, in grado di coordinare la questioni rifiuti senza essere condizionati dalla camorra. Dopo tutto questo, sembra incredibile ancora raccontarsi l’ingenua fiaba che vede la ‘munnezza’ un problema napoletano di disorganizzazione e burocrazia marcia. Attraverso il gioco dei rifiuti si è foggiata una classe imprenditoriale fiorente che ha innestato rapporti con la grande industria nazionale e ora è proprio questa forza economica che dopo aver fatto marcire la terra, l’aria, e molti esseri umani di queste zone, impedisce una reale soluzione. Poiché fin quando la situazione rimarrà così insolvibile ed incomprensibile la camorra potrà continuare a intombare i rifiuti d’ogni parte d’Italia in Campania, e continuerà a mischiare i ‘propri’ rifiuti con l’incredibile silenzio della politica, silenzio che ha il sapore sempre più del consenso.



Le leggi speciali chieste per Napoli sembrano essere quasi un palliativo. La situazione è speciale perché Napoli è una ferita che non riguarda solo Napoli. Nessuno può più affermare: ‘Non mi riguarda’. Da qui si innescano economie e contraddizioni che irrorano il resto del paese: dai capitali criminali che altrove diventano legali, sino ai rifiuti che le imprese del Nord hanno sepolto nelle terre campane. Queste guerre di camorra, questa peste dei rifiuti che una parte d’Italia non riconosce come proprie, che ritiene un cancro inestirpabile di un organo che non appartiene al suo corpo, sono in realtà sismi le cui onde si stanno espandendo ovunque.



La Napoli che ha fallito il suo rinascimento, credendo di risolvere problemi antichi battezzando un luogo come autentico e sconsacrando le parti di esso in cui non si riconosceva, questa parte della città, progressista e insieme tremendamente conservatrice, continua ancora a rappresentarsi come ciò che non è, nostalgica di qualcosa che non è mai avvenuto, di una vaga leggerezza offesa dal peccato originale della violenza criminale. Ma occulta colpevolmente a se stessa che l’economia dei clan, composta dai soldati della periferia, ma in grado di versare capitale in ogni territorio europeo, è la cinetica prima della ricchezza di cui gode e del potere che detiene. Ipocrita, quindi, questa distante disperazione di una Napoli che adora sentirsi ferita a morte, ma che in realtà non muore mai.


ROBERTO SAVIANO





PIÙ SCIPPI CHE PROGETTI

Gli incontri di Napolitano. Le richieste a Prodi. Ma criminalità e spazzatura dilagano. Un anno dopo, stessi problemi. E si spera nel soccorso del governo



di Leo Sisti


Per il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano doveva essere un tranquillo periodo di relax. Dal 20 al 30 agosto dieci giorni da trascorrere nella sua Napoli, a Posillipo nella quiete di Villa Rosebery, il ‘Quirinale estivo’. Un’occasione anche per incontrare personaggi delle istituzioni e amici, scambiare idee e affrontare i problemi della città, prima di tutto con Antonio Bassolino, presidente della Campania. Ma la lettura della cronaca dei giornali deve aver provocato nel capo dello Stato pur dotato di aplomb inglese, un senso di irritazione. Martedì 22 agosto: ‘Turisti norvegesi scippati e picchiati’, in piazza Garibaldi. Mercoledì 23: ‘Scippa quattro donne in un’ora’. In serata il primo cittadino d’Italia riceve un altro ospite locale, il vicesindaco Tino Santangelo. Giovedì 24, alle 10 del mattino accoglie a Villa Rosebery il cardinale Crescenzio Sepe. Nell’arco di poche ore succede di tutto: baby gang in azione; una ragazzina di 17 anni con i capelli impigliati nello scooter di un teppista che voleva arraffare la sua borsetta. Stesso genere di notizie nei quotidiani del 25, 26, 27 e 28 agosto, un lunedì quando il presidente visita le sale del Madre, il nuovo Museo d’Arte Contemporanea voluto da Bassolino e ricco di opere di Kounellis, Paladino, Schifano, Rauschenberg, Fontana e altri. La cultura, almeno quella, c’è.



Un anno dopo ‘Napoli addio’, il servizio di copertina che ha denunciato la drammatica situazione del capoluogo campano ed è stato accolto da insulti, ma anche da plausi, ‘L’espresso’ ritorna sul ‘luogo del delitto’. Per verificare che cosa è cambiato. Per registrare umori e malumori. Per vedere quali idee circolano per uscire dal tunnel. Perché oggi, se le tante emergenze della città rimangono a livello di guardia, lo scenario politico intorno a Napoli e alla Campania è cambiato parecchio: Romano Prodi ha vinto le elezioni; al Quirinale è salito appunto Napolitano. Al Comune Rosa Russo Iervolino è stata riconfermata sindaco. Come Antonio Bassolino, rinominato alla guida della Regione nel 2005. Il centrosinistra governa quindi dappertutto, a Roma come a Napoli.


Almeno sulla carta, quindi, la città può contare su sponsor eccellenti. Che per ora moltiplicano incontri e segnali di attenzione. Lo scorso primo agosto Bassolino, insieme ai presidenti delle altre regioni meridionali, ha discusso con Prodi, Confindustria e sindacati il cosiddetto Patto per il Mezzogiorno, ovvero un pacchetto di proposte per lo sviluppo: infrastrutture, fiscalità differenziata, recupero aree urbane degradate, ricerca e innovazione. Il 30 agosto c’è stato un meeting tra il sottosegretario Enrico Letta e l’assessore regionale ai Trasporti Ennio Cascetta. Il 4 settembre la Iervolino ha visto Prodi. Il sindaco tiene molto ad alcune misure urgenti: legge speciale e dichiarazione dello stato di emergenza per traffico e viabilità. Nello stesso giorno vertice tra Iervolino, Bassolino e il ministro, anche lui napoletano, dell’Innovazione, Luigi Nicolais. L’8 settembre, è previsto un Consiglio dei ministri dedicato al Mezzogiorno. Mentre in ottobre il Consiglio dei ministri si riunirà in trasferta a Napoli.



Progetti, finanziamenti, grandi opere. È questa la ricetta sul tavolo. I programmi sui trasporti li spiega a ‘L’espresso’ l’assessore Cascetta: “Dal dicembre 2005 con un treno di alta velocità Roma e Napoli sono collegate in un’ora e 15 minuti. Dal 2008 in sessanta minuti. Il 27 luglio i ministri Di Pietro e Bianchi hanno firmato il protocollo per la realizzazione della Napoli-Bari. Se tutto va bene, entrerà in funzione nel 2013. Tempo di percorrenza: meno di due ore”. Poi c’è il capitolo sugli aeroporti. Capodichino si trasformerà in ‘City airport’, non potendo estendersi più di tanto. Un ruolo più strategico lo giocherà il nuovo aeroporto di Grazzanise, nel Casertano, per i voli intercontinentali, se mai vedrà la luce. Terzo polo aeroportuale, per voli turistici, Pontecagnano. Sono grandi progetti da un miliardo di euro, già avanzati al ministero delle Infrastrutture.


E la metropolitana di Napoli? Dal ’94 a oggi inaugurati 15 chilometri di binari e 20 stazioni. Bisognerà attendere però fino al 2011 per avere, giurano gli esperti, nove linee, 100 stazioni e 90 chilometri di binari. Ma occorrono subito due miliardi di euro. Ora tutto questo, se avverrà, rientrerà nel grande piano che vede la Campania avviare un programma di investimenti per 22 miliardi di euro, di cui già 4,5 spesi, al ritmo di 800-900 milioni all’anno, tra fondi europei, nazionali e regionali, con cantieri che generano 6-7 mila posti di lavoro all’anno. “Abbiamo imparato a utilizzare le risorse dell’Unione europea”, commenta Isaia Sales, consigliere economico di Bassolino, ex sottosegretario ds nel primo governo Prodi. Eppure i fondi della Ue non bastano, ci vogliono anche quelli di Roma: per battere la discoccupazione. E qui entra ancora in ballo Prodi. Perché la Finanziaria, entro la fine di settembre, dovrebbe ulteriormente aprire i cordoni della borsa.



Poi ci sono le dolenti note. Prima di tutto, il destino della aree urbane di Bagnoli e Napoli est: troppi i ritardi accumulati per una soluzione riguardante zone inquinate da precedenti insediamenti industriali, Italsider e raffinerie. Le altre preoccupazioni della città sono quelle di tutti: sicurezza e rifiuti. Il 4 settembre tre omicidi, uno nel quartiere bene del Vomero. I furti in generale saranno pure in calo, ma sono in consistente aumento quelli nei negozi e nei supermercati. Perché? Oscar Fioriolli, questore di Napoli, lo spiega a ‘L’espresso’: “Non sono solo i ‘professionisti’ ad agire, ma anche chi ha esigenze di sopravvivenza”. E poi le rapine. Continua Fioriolli: “Quelle di strada sono sempre di più commesse da minori, tra i 14 e i 18 anni. Anche lo scippo sta cambiando modalità di esecuzione, spesso entra in ballo la violenza gratuita”. Altro fatto. Il giorno di Ferragosto sono state controllate, a caso, 350 persone. Di queste ben 215 erano pregiudicati. Per il controllo del territorio ora si punta molto su una novità di queste settimane: in alcuni quartieri di Napoli verranno installate le prime videocamere, collegate con la polizia. Tra l’altro i loro lettori ottici ‘leggeranno’ le targhe delle auto, individuando quelle rubate.



E poi l’infinita emergenza rifiuti, che sta tanto a cuore al presidente Napolitano: è un nodo irrisolto da ben 14 anni. Odori, miasmi, tossicità e roghi per le strade. Con, sullo sfondo, l’occhio vigile della camorra. Attualmente a Napoli la raccolta differenziata è appena all’8 per cento. I rari cassonetti destinati a vetro, plastica e carta, piazzati nelle vie, traboccano. Le altre immondizie invece contribuiscono a formare cloache a cielo aperto. “Bisognerebbe arrivare alla sufficienza, che è una media del 35 per cento”, dichiara a ‘L’espresso’ Corrado Catenacci, commissario straordinario per questa emergenza in Campania. Poi ci vogliono gli impianti per trattare i rifiuti della raccolta differenziata. Ma dove finisce il resto della monnezza? Il 55 per cento nelle discariche, tra le proteste della popolazione locale. Ecco allora la necessità dei termovalorizzatori che trasformano rifiuti in energia. Nella primavera 2007 entrerà in funzione quello di Acerra. Per gli altri due altri ci vorrà più tempo, uno a fine 2008 e l’altro nel 2009. Troppo.



Napoli è oggi tutto questo. A differenza di un anno fa però si trova in mezzo a una congiuntura politica senza precedenti. Marco Oddati, assessore comunale al Lavoro e alla Cultura, ne è convinto: “Con il mio ‘Laboratorio’, un osservatorio locale, siamo partiti dalle reazioni contrarie al vostro reportage, non scandalistico, che avrebbe dovuto spronare la città e spingere i centri di potere ad avere coraggio. Quando, se non adesso, Napoli può fare il salto di qualità?”. In altre parole, non ci sono più alibi.





L’ESPRESSO 8 SETTEMBRE 2006

PUBBLICITÀ

RESTA AGGIORNATO, VISITA IL NOSTRO SITO INTERNAPOLI.IT O SEGUICI SULLA NOSTRA PAGINA FACEBOOK.

PUBBLICITÀ

Ultime Notizie

“Conte è il nuovo allenatore del Napoli, sta cercando casa in città”

Una clamorosa bomba potrebbe mettere fine al termentone Antonio Conte al Napoli, o meglio potrebbe portare al lieto fine....

Nella stessa categoria