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GIUGLIANO DIMENTICA BASILE, LA TOMBA DEL GENIO TRISTE E ABBANDONATA

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A vederla, la tomba di Giambattista Basile appartiene molto più ai morti che ai vivi. Le sue spoglie si trovano tutt’ora nella chiesa di Santa Sofia, a Giugliano, il paese dov’era nato nel 1566 e morto nel 1632. La cappella dello scrittore de Lo cunto de li cunti, il più grande libro di fiabe della tradizione italiana, che in seguito influenzerà Perrualt e i fratelli Grimm fino a ispirare La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone, è impolverata, triste, sporca. Un quadro che raffigura Gesù in croce sfiorato dalle mani di una donna è in condizioni appena decenti, rispetto a quelli delle cappelle precedenti. Ce ne sono, infatti, di rotti, di sfondati, di lacerati. Sono cenci che cadono a brandelli. Alcuni sono di un noto pittore locale, allievo di Luca Giordano, Nicola Cacciapuoti. Dietro un’epigrafe in latino nella cappella di Basile posta a terra, una scala si attorciglia in alto, verso un organo. Una vecchissima cassapanca è sistemata invece di lato, viene usata a Natale per costruire il presepe con ceppi di legno gettati accanto all’altare maggiore. Più che una cappella, sembra un retrobottega a cui ogni tanto si va a fare visita per non farlo invecchiare troppo precocemente. È come se lì fossero rimaste attaccate ai marmi e alla polvere, secondo le parole di Basile, «le ombre che erano carcerate da lo tribunale de la Notte». Non c’è niente dentro e fuori la chiesa che ricordi la presenza dello scrittore. Davanti all’altare si sta celebrando un funerale, c’è pochissima gente. Il dolore, quasi vergognandosi di quel vuoto, si disperde nel rimbombo della voce del sacerdote. Il sagrestano, tenendo il turibolo in mano, intona una preghiera cantando da solo, la sua voce è spettrale. Quando la bara esce, la gente va via sotto gli occhi intorpiditi di un piccione che gironzola in una cappella. Il silenzio si ficca per un attimo nei polmoni come brace spenta. Dei candelabri gettati in un angolo, accanto a un confessionale, sono ossa non sepolte. I rumori delle auto dalla strada entrano da una porta laterale, storpiando quanto rimane nella chiesa. La facciata color salmone di Santa Sofia dà su una piazzetta squadrata, piazza Giacomo Matteotti, dove dei ragazzini giocano a pallone. C’è anche una banca. Degli anziani sono seduti senza parlare su sedie di legno davanti all’ingresso del Circolo Culturale «G.B. Basile». Hanno l’aria sonnacchiosa di chi ha appena finito di giocare a carte e non sa più come passare il resto della giornata. Una scena del tutto uguale si ha sul lato opposto, solo innanzi a una specie di cripta, la Congrega del Corpo di Cristo. Da queste parti, di rado vengono in visita delle scolaresche, quasi mai sono di Giugliano. Stando in chiesa, si avverte un’aria di rassegnazione. Le pietre spolpate dell’altare di una cappella, la sua grezza natura, sono un manuale della fine. Entrano un paio di persone, vanno a sistemarsi sulle panche. Dopo un breve silenzio, cominciano a chiacchierare. Forse ci sono venute per abitudine, o per sfuggire al caldo. C’è una mestizia sonnacchiosa, che tanto somiglia alla noia. Uno dei due visitatori, Marcello, propone di leggere dall’altare Lo cunto de li cunti nei giorni in cui la chiesa è disponibile, a farlo dovrebbero essere, a turno, gli alunni delle scuole di Giugliano e ogni tanto qualche attore. Il pallone dei ragazzini rimbalza sulle scale della chiesa, prima di andare a sbattere contro il finestrino di un’auto. Marcello e l’amico escono. Faccio un nuovo giro dentro la chiesa, piano, come il cucchiaino che gira lentamente dentro la tazza del caffè. Provo a sentire le voci di Petrosenella, Cagliuso, Vardiello per separare i vivi dai morti, e non è difficile immaginare loro da che parte stanno.


Davide Morganti – Il Mattino 10 settembre 2007

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