Le classi vuote, e i marciapiedi pieni, di ragazzi che invece di studiare vanno a fare gli spacciatori. Le famiglie pagate per «affittare» i figli, assistite quando vanno in galera, consolate (se può esserci consolazione) quando li perdono. Quanti fiumi di inchiostro sono scorsi su Napoli, Scampia, Secondigliano e Miano, sui quartieri senza speranza, dominati dalla camorra, in cui anche l’ultima guerra dello Stato sembra perduta?
Sembrerà un paradosso, nei giorni in cui gli industriali siciliani invocano l’intervento dell’esercito contro la mafia delle estorsioni. Usare scuola e cultura, e non solo la visibile pressione coercitiva dello Stato, per combattere la criminalità.
Aiutare con un contributo le famiglie dei ragazzi napoletani delle aree a rischio per convincerle a mandarli a scuola, a tempo pieno, e sottrarli al reclutamento criminale della strada. Con una parola un po’ forte, l’obiettivo è l’«inclusione sociale»: una sorta di innesto, o reinnesto, delle generazioni condannate dal destino, e dai luoghi di appartenenza, a un inevitabile degrado, in un tessuto civile che in molti casi è ancora da ricostruire. Iniziative del genere, che richiedono grande impegno, all’estero sono frequenti.
Bob Leonardi, direttore del Laboratorio di coesione socioeconomica della London School of Economics di Londra e coordinatore del gruppo di lavoro della Commissione tecnica di Stato, Regione e Comune di Napoli che ha messo a punto il piano, con Raffaella Nanetti, docente di Urbanistica nell’Università dell’Illinois di Chicago, su Napoli, sull’inguaribile Napoli di oggi stanno anche per pubblicare un libro. Il loro approccio è pragmatico, e accurato lo studio del territorio. La convinzione che ne hanno ricavato non così pessimistica come quella del magistrato anticamorra Giovanni Corona, per cui l’unica prevenzione possibile «va fatta sui nascituri, perché a cinque-sei anni i ragazzi sono già persi». Dai cinque ai sedici anni – sostiene il documento della Commissione – c’è ancora molto da fare, i ragazzi sono tutti da costruire. Basta toglierli dalla strada e mandarli a scuola.
A scuola, s’intende, tutti i giorni, e non uno o due giorni la settimana come fanno la maggior parte degli studenti dei quartieri malfamati di Napoli. Il regolamento in vigore, infatti, prevede che giustifichino fino a quattro giorni di assenza con un foglietto firmato dai genitori. Padri e madri s’arrendono perché non sanno che fare. In molti casi la camorra li paga (mediamente 3500 euro al mese, uno «stipendio» con cui si può campare) per l’«affitto» dei figli, che fino a 14 anni, anche quando commettono reati e sono arrestati, non sono imputabili.
Ma può lo Stato – uno Stato indebitato come il nostro e ormai non più in grado di sostenere politiche assistenziali – sostituirsi economicamente alla camorra arricchita da traffici illegali? Il solo giro d’affari della droga viene calcolato in due miliardi di euro all’anno (metà del «tesoretto» che il governo non sa ancora come usare, quasi quattromila miliardi di vecchie lire). E 2,6 miliardi vale il traffico dei rifiuti (l’«emergenza» che, grazie a servizi tv, ci ha reso globalmente e tristemente famosi nel mondo). Vero è che, accanto ai profitti in crescita, è in aumento anche il numero dei morti ammazzati: una media di oltre tremila negli ultimi venticinque anni, uno ogni due giorni e mezzo, fino ai centoquaranta all’anno da quando è cominciata, nel 2004, la faida di Secondigliano, e fino al record di Scampia, 57 morti in due mesi, uno al giorno, in pratica, comprese le feste comandate.
I dati giudiziari, combinati con quelli macroeconomici, dicono che nel territorio controllato dalla criminalità tre persone su quattro sono senza lavoro. Il quadro della realtà è purtroppo facile da intuire: la camorra è in sostanza l’unico mezzo di sopravvivenza per un’area che va dai cento ai duecentomila abitanti, dentro i confini di una città come Napoli in cui operano almeno una cinquantina di clan, e in una regione come la Campania in cui centoventi sono le famiglie camorriste censite e cinquantamila i presunti affiliati all’organizzazione. Così che non è esagerato dire che a Scampia, Miano, Pianura o Secondigliano, chi nasce è quasi un camorrista predestinato.
Ma anche ammesso che la scuola – una scuola non in mano, certo, ai «prof fannulloni» su cui si è abbattuta di recente la scure del governo – sia in grado, davvero, di catturare l’attenzione di almeno una parte dei ragazzi malnati, di accendere nelle coscienze un desiderio di riscatto, e spingerli a cercarsi un’alternativa al marciapiede, allo spaccio e al carcere, che lo Stato insomma riesca laddove perfino la Chiesa sembra perdere la speranza di tanto in tanto, chi può dire quale sarebbe la reazione del pezzo malato di società, della gente di camorra che ha ormai scelto, come vita, la malavita?
Obiezioni come queste saranno state tenute presenti dai tecnici della Commissione. L’idea della scuola a tempo pieno come antidoto al reclutamento camorristico è interessante, ma il progetto, una volta messo a punto, andrà calato nella realtà, e l’esperimento sottoposto a verifiche periodiche. Non è pensabile, ovviamente, che lo Stato o il Comune paghino le famiglie quanto le paga la camorra. L’obiettivo è fornire un’alternativa visibile, e plausibile, alle vite a perdere che la camorra impone ai ragazzi. E la speranza è che una dopo l’altra le famiglie si convincano, sapendo che nessuno regala niente, e il sussidio dato per garantire che i giovani vadano a scuola ogni giorno e frequentino il tempo pieno fino alle quattro di pomeriggio, potrà essere revocato dopo un mese e dopo pochissime assenze. Poi, molto dipenderà dalla qualità dell’insegnamento e dalla capacità di organizzare i corsi pomeridiani, diversi da quelli prettamente scolastici del mattino: da affidare a professionisti, imprenditori, opinion makers, personaggi e modelli positivi (come ad esempio, l’olimpionico Maddaloni, che proprio a Scampia gestisce una palestra) in grado di innestare nelle menti dei ragazzi dubbi sul proprio presente e aspirazioni a un futuro diverso e migliore.
Infine, anche se i tecnici della Commissione non lo dicono apertamente, l’idea è fondata su una lettura non solo in negativo della realtà. La conoscenza basata sull’esperienza: perché non è vero, come appare a volte e come spesso si lascia intuire, che la gente sia così rassegnata. Qualche anno fa, ad esempio, nel quartiere di Pianura fu messo in atto un piano socio-economico che mirava a migliorare la qualità della vita del quartiere con una serie di iniziative, dalla costruzione di un ospedale, all’allargamento dell’area riservata al distretto industriale, alla creazione di altre occasioni di lavoro. Tra varie ipotesi, c’era anche la costruzione di un campo di golf: cosa che, in una zona degradata, ad alcuni parve un’esagerazione, e si scontrò con la visione estremista di esponenti locali della sinistra radicale, ai quali il golf sembrava uno sport da ricchi. Qualche tempo dopo, di fronte a queste resistenze e a ritardi nella realizzazione del piano, il Comune, di fronte all’emergenza rifiuti, decise di destinare il terreno che avrebbe dovuto ospitare il golf a deposito temporaneo di immondizia. Fu così che improvvisamente a Pianura tutti si riscoprirono golfisti!
MARCELLO SORGI – LA STAMPA 10 SETTEMBRE 2007
PUBBLICITÀ
PUBBLICITÀ