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LA SOLITUDINE DEL CRONISTA CHE VIVE IN TERRA DI CAMORRA

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Giornalismo in terra di camorra: se minacciano uno dei nostri inviati super pagati in Iraq via al putiferio mediatico. Se sei minacciato a Marano, Giugliano, Aversa o Pignataro Maggiore perché scrivi di camorra, è il
momento buono per fare le valigie o cominciare a scrivere di sport. Se scrivi degli eredi di quello che era il clan guidato da Lorenzo Nuvoletta o delle nuove leve dei “Carlantonio” (i Mallardo di Giugliano, ndr) devi fare attenzione. Peggio ancora, se vuoi capire di più nei nuovi equilibri malativosi tra gli “scissionisti” di Secondigliano-Scampia e gli ultimi fedelissimi di Ciruzzo “ò milionario”, al secolo Paolo Di Lauro, e del figlio Cosimo.

Eccolo il giornalismo in terra di camorra. Con i suoi limiti e contraddizioni. Giornalisti che con le forze dell’ordine scavano nell’abisso umano per comprendere, capire. Ma in un omicidio normale il colpevole, scoperto, non potrà farti del male. Quando si tratta di camorra, beh chiedetelo a Carlo Pascarella, giovane cronista de “Il Giornale di Caserta” (edito da Luigi Piccirillo e diretto da Giuseppe Venditto, ndr), da mesi oggetto di vili intimidazioni, senza aver avuto uno straccio di solidarietà dai vertici degli organismi professionali: Colimoro, numero uno dell’Assostampa, e Lucarelli, presidente dell’Ordine. Anzi, secondo qualcuno, Carletto è addirittura un “mitomane pericoloso, che si è inventato tutto…”. Succede anche questo. Ma si, in fin dei conti siamo, il più delle volte, accusati di giornalismo domenicale.

I giornalisti di terra di camorra hanno però molti vantaggi personali: non c’è scuola di giornalismo che insegna a fiutare l’aria come sappiamo fare noi. Per andare in zona di guerra devi essere inviato di guerra ed essere pagato, dopo molte raccomandazioni e amicizie potenti. Noi viviamo in zona di guerra, è la nostra terra e quindi
conosciamo tutti i dettagli che qualsiasi giornalista al di sopra della linea del Garigliano non può assolutamente conoscere. Abbiamo il vantaggio di non conoscere gente importante, se non del mondo criminale. Non andiamo a convegni inutili e cocktail party morbosi. Difficilmente qualcuno ci può rubare la piazza se vuole dire cose sensate. Anche se poi succede sempre, e si scrivono cose assurde. Giornalisti in zona di guerra di camorra. Sostanzialmente, si è gente senza amor proprio, animati da una rabbia assurda e suicida, si vive in totale solitudine, disperatamente. Forse siamo semplicemente carenti di affetti e diventiamo kamikaze al contrario. I giudici hanno
uno stipendio, così anche i carabinieri e i poliziotti, anche chi raccoglie i pezzi di morti dopo gli omicidi ha uno stipendio, ma non il giornalista che il famoso articolo 1 se lo può scordare anche se svolge egregiamente il suo lavoro. Un articolo viene pagato poche decine di euro, a fronte di beccarsi una pallottola nelle gambe, prima però di essere stato terrorizzato per bene, lui e i suoi familiari.
Avete mai ricevuto una telefonata di minacce da parte della criminalità organizzata? Sapete che cosa è il terrore vero? Conoscete l’ansia che anche se andate al primo commissariato a denunciare il tutto siete coscienti che se vogliono ammazzarvi per davvero niente e nessuno li può fermare? Eppure il giornalista in zona di guerra ha un
grande rispetto per i boss della camorra. Menti lucide che conoscendo il bene hanno scelto la via del male e la perseguono con una genialità al di fuori del comune. Si, i camorristi veri, i capi, sono personaggi affascinanti. Ma se vogliono cancellarvi, nessun posto sarà mai un rifugio sicuro.
Siete mai andati ad un convegno contro la camorra in zona di camorra? Al sottoscritto è capitato lo scorso 17 settembre a Casal di Principe, brutto avamposto di quella zona chiamata “Mazzoni” che dall’agro aversano si incunea verso Terra di Lavoro. C’erano tutti: Fausto
Bertinotti, presidente della Camera dei Deputati, Corrado Gabriele, assessore regionale alla Pubblica Istruzione, Roberto Saviano, giornalista e scrittore e tanti sindaci e politici. All’happening anticamorra, mancava solo il cronista palermitano dell’Ansa, Lirio Abbate, minacciato di morte
dalla mafia palermitana di Brancaccio, quella tanto per intenderci del post Provenzano, a cui la Regione Campania, ed in particolare lo staff dell’assessore Gabriele, s’era dimenticato di pagare il viaggio all’ombra del Vesuvio.

Tutti arrivano con le macchine blu a sirene spiegate, voi no. Finito il convegno tutti ripartono a razzo, protetti e sicuri. Voi no, rimanete in zona, vi sentite lo sguardo addosso di tutti e c’è sempre il treno o il bus da prendere per tornare a casa. Tutte le macchine e i motorini e le persone che camminano vicino a voi possono essere una minaccia reale e concreta alla vostra incolumità. I nervi semplicemente si spezzano e prima di scrivere un articolo che leggeranno in pochi, dovete calmarvi, perché le dita che tremano non vanno d’accordo con la tastiera del computer. Macchine che esplodono sotto casa vostra, avete mai provato questa sensazione? Bombe che esplodono in lontananza nella notte e mentre tutti si nascondono voi vi chiedete cosa ci fate lì con le forze dell’ordine. Conoscete queste sensazioni? Altrimenti il discorso che stiamo facendo è vano. Questo posto di lavoro non è ambito, non si guadagna, si rischia gratuitamente e se un giorno arriva il colpo definitivo, beh entreremo di prepotenza in quegli stessi giornali che non ci hanno mai fatto firmare un contratto, e avremo la nostra foto appesa sui loro muri, ma ancora nessuno stipendio. Giancarlo Siani lo abbiamo eletto guida spirituale per tutti questi motivi. Ma abbiamo una paura maledetta di finire come lui: ammazzati. Ed è per questo che a volte si tirano i remi in barca e non si scrive più niente. Paura, tensione, stress arrivano a limiti insostenibili. Viviamo in zona di guerra e conosciamo persone che in una maniera o nell’altra hanno visto morti ammazzati, sparatorie, roghi di macchine o case. Non ci credete? Trasferitevi per qualche mese nelle cittadine delle province di Caserta e Napoli. Ci si fa l’abitudine. Qui non vedremo mai nessuno uscito dalle scuole di giornalismo, magari con direttore un giornalista del calibro di Paolo Mieli. Qui devi avere la vista lunga, molte amicizie da tutte le parti dello schieramento, perché una cosa è essere limpidi nella propria professione e coerenti con i propri ideali, un’altra fessi e farsi sparare per niente. Qui si fa un corso quotidiano di sopravvivenza.
Come decidi se scrivere un articolo? A volte sono le tue fonti che quando pronunci determinati nomi ti guardano male, non ti rispondono e ti mettono alla porta.

L’istinto di sopravvivenza ti fa comprendere e reagire come se appartenessi ad una squadra speciale. Riflessi rapidi, niente accade per coincidenza, tutto ha un significato. Essere sprovveduti porta alla morte. Ma in Italia non c’è più vero giornalismo d’inchiesta sulle diverse criminalità organizzate. Un immenso fiume di denaro che
sostiene interi pezzi di Stato, come e in quale maniera ciò è possibile è la materia di studio del vero giornalista in zona di camorra. Non la semplice notizia sul numero dei morti. Però siamo fortunati: nessuno ci legge, anche se qualche amico comincia a non salutarti più e soprattutto gli uffici stampa della camorra, che si leggono tutto, riferiscono. Da lì partono le minacce. E, guarda caso,arrivano puntualissime, prima che un disgraziato di giornale, dopo tante insistenze, ha deciso di assumervi.



MARCELLO CURZIO
http://www.iustitia.it/17_settembre_07/documenti/lettere1.htm

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