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Preso il basista, conosceva il tabaccaio ucciso

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Il suo alibi non ha retto ed è finito in cella con l’accusa di concorso in omicidio. Da ieri mattina, l’inchiesta sull’assassinio di Francesco Gaito, il tabaccaio ucciso dieci giorni fa a Sant’Antimo nel corso di una tentata rapina, ha fatto registrare una svolta. C’è un indagato, si chiama Tammaro Pedata, ha 44 anni ed è di Sant’Antimo, dove lavora nella macelleria di famiglia. Viveva a pochi metri dalla casa del commerciante ucciso ed è probabile che i suoi parenti e quelli della vittima fossero cresciuti frequentando gli stessi ambienti, le stesse scuole, gli stessi ritrovi. Da ieri è in cella, raggiunto dal fermo spiccato dai pm Aldo Ingangi e Francesco Valentini, del pool dell’aggiunto Paolo Mancuso. Su di lui si sono concentrate le accuse di ben quattro testimoni. Decisivo per far scattare l’arresto, anche il riscontro delle «celle» del telefonino di Pedata, che sembra aver fatto vacillare l’alibi dell’indagato. Ma c’è anche un secondo elemento di novità che arricchisce l’inchiesta condotta dal comando provinciale del colonnello Gaetano Maruccia (affidata al maggiore Fabio Cagnazzo e al tenente colonnello Antonio Iannece, rispettivamente del nucleo e del reparto operativo di Castello di Cisterna). Gli inquirenti hanno infatti i nomi dei due presunti esecutori materiali della rapina e dell’assassinio del commerciante. Li hanno anche arrestati, anche se per un reato di riciclaggio, per fatti estranei alla morte di Gaito. Si tratta di due pregiudicati di Sant’Antimo, indiziati del delitto del tabaccaio che negano di aver commesso la tentata rapina in via Cardinale Verde. Sono giovani e conosciuti nella zona come specialisti nel campo del riciclaggio di ciclomotori (avevano a disposizione almeno cinque motociclette nuove di zecca, in alcuni casi con il telaio contraffatto) ma anche dei colpi con la tecnica del filo di banca. L’attenzione nei loro confronti è stata tambureggiante. I continui blitz su tutto il territorio hanno riguardato anche gli ambienti della malavita organizzata ed è anche grazie ai ripetuti sopralluoghi che è stato possibile ricavare particolari utili sulla condotta dei due presunti assassini del tabaccaio. Per il momento, comunque, l’attenzione resta concentrata sul presunto basista in cella. Secondo i testimoni, Pedata era presente nella piazza in cui è stato consumato l’omicidio. Era a bordo della propria auto con funzioni di «palo» ed avrebbe assistito al tentativo di sequestro del commerciante, alla sua reazione appena accennata e all’esplosione del colpo di pistola. Poi si sarebbe allontanato sulla scia dei due assassini, lasciando a terra il corpo agonizzante del tabaccaio che si stava recando nella Banca popolare di Ancona a depositare l’incasso del lunedì (circa settemila euro). Difeso dal penalista Giovanni Cappuccio, Pedata ha sempre respinto le accuse. Il 44enne non ha precedenti penali, anche se per gli inquirenti può contare su una certa esperienza come basista. Dal canto suo, l’indagato sostiene che l’otto ottobre scorso era stato al lavoro tra la macelleria di famiglia e il macello comunale. Le indagini vanno comunque avanti. Negli ultimi giorni è stata trovata anche l’auto presumibilmente usata dai due assassini, una Fiat Uno grigia targata Viterbo, che è stata bruciata nella zona di Calvizzano. Ora l’obiettivo degli inquirenti è strappare altre testimonianze di un’aggressione durata diversi minuti, avvenuta davanti a decine di persone, che per il momento mancano all’appello della giustizia.

LEANDRO DEL GAUDIO





«Entrava e usciva dagli uffici in quella banca era di casa»

Sant’Antimo
.«Lo conosco. Anche mio fratello Francesco lo conosceva. Tammaro Pedata era un cliente della nostra tabaccheria. E spesso lo incrociavamo all’interno della Banca popolare di Napoli, quella dove mio fratello si stava recando la mattina in cui è stato aggredito: sì, lui stava sempre lì. Entrava facilmente anche negli uffici, dava l’impressione di essere molto in confidenza con gli impiegati». Angelo Gaito è il fratello del tabaccaio ucciso in piazzetta Matteotti a Sant’Antimo mentre si recava in banca a versare il denaro incassato dalle giocate dei clienti. È un uomo pacato, che è stato capace di mantenere i nervi saldi anche durante i giorni terribili dell’omicidio. Quando ha saputo dell’arresto? «Poco fa. Immaginavo che a dare le informazioni sui nostri spostamenti fosse stato qualcuno del posto. Io e mio fratello ci alternavamo a recarci in banca, perciò entrambi conoscevamo quel signore che bivaccava indisturbato davanti agli sportelli». Entrava anche negli uffici? «Sì, spesso e con estrema facilità. Era come se lì fosse uno di casa. E si muoveva disinvolto, senza remore né timori di sorta». Non ne eravate meravigliati? «Non ci siamo mai posti interrogativi su quella persona. Lui entrava e usciva. Qualche volta ho pensato: sarà un buon cliente. Sembrava una persona normale, addirittura banale. Mi sembra ancora adesso impossibile…». Veniva spesso in tabaccheria? «Di frequente. Per comprare le sigarette. O per giocare la schedina, tutte le settimane». Dunque avete spesso parlato con lui. «Tante volte, ma del più e del meno come avviene con la maggior parte dei clienti». Veniva a comprare. E intanto, secondo l’accusa, imparava pian piano i vostri spostamenti. «Controllandoci, potrebbe aver capito che io o mio fratello andavamo in banca con regolarità in coincidenza di alcuni giorni della settimana. Può averci spiato chissà per quanto, per poi – se tutto ciò sarà confermato – colpirci a tradimento». Che sensazione prova, adesso? «Inquietudine. È come rendersi conto di aver conosciuto un uomo con due volti, cioè un mostro». Lei nei giorni scorsi ha detto: la gente non testimonia perché ha troppa paura. Eppure noi a Sant’Antimo abbiamo sempre fatto del bene». «Vero. E confermo che quella mattina c’era un sacco di gente sul luogo dell’omicidio». Come stanno i figli di suo fratello? «La ragazza di tredici anni è riuscita a tornare a scuola». E il figlio diciottenne? «No, lui ancora è chiuso in casa. Non riesce a darsi pace. È pieno di rabbia , non vuole accettare la morte del suo papà. Gli siamo vicini, ma è davvero difficile».

ENZO CIACCIO




IL MATTINO 17 OTTOBRE 2007

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