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Tabaccaio ucciso, una donna ha visto i killer

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Spunta una supertestimone nell’inchiesta sulla morte di Francesco Gaito, il tabaccaio ucciso l’8 ottobre nel centro di Sant’Antimo durante un tentativo di rapina. Dal fitto riserbo che circonda un’indagine delicata filtrano solo due particolari: il supertestimone è una donna, che peraltro non risiede nel Comune dell’hinterland napoletano. La sua collaborazione potrebbe rivelarsi preziosa – se non addirittura essenziale – già nelle prossime ore rispetto alla pista che è imboccata improvvisamente mercoledì scorso dai carabinieri in seguito al fermo di due pregiudicati di Sant’Antimo, bloccati mentre erano a bordo di una Honda Hornet e di un Berverly. Due mezzi risultati rubati. Ufficialmente i due sono accusati di ricettazione e riciclaggio. Ma sono anche indiziati del delitto del tabaccaio. Un raggio di luce nel buio: questo sembra rappresentare la collaborazione della donna che con le sue dichiarazioni, potrebbe inchiodare i presunti responsabili dell’omicidio alle loro responsabilità. Perché le indagini erano apparse subito in salita proprio per la scarsissima collaborazione di tutti. Invece la supertestimone avrebbe fornito informazioni utilissme a ricostruire non soltanto la dinamica dei fatti, ma anche all’ottenimento di importanti riscontri investigativi. L’inchiesta – coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Mancuso e affidata al comandante del nucleo operativo di castello di Cisterna, maggiore Fabio Cagnazzo – sarebbe insomma ad una svolta. Il secondo segnale è giunto due giorni fa, in occasione del fermo di Tammaro Pedata, il commerciante 44enne finito in carcere perché ritenuto dall’accusa il basista della tentata rapina a mano armata a Francesco Gaito. Questa mattina è previsto un appuntamento molto importante: all’interno del carcere di Poggioreale il giudice per le indagini preliminari Alfano è chiamato a convalidare il provvedimento di fermo disposto dalla Procura di Napoli. La pronuncia del gip sarà dunque la prima cartina di tornasole che potrebbe confermare o smentire la validità del portato accusatorio. Emerge intanto anche un altro particolare molto importante ai fini di una corretta ricostruzione di quel che avvenne la mattina dell’aggressione al tabaccaio. Gaito, quel lunedì mattina, avrebbe dovuto compiere più viaggi in banca per depositare gli incassi del precedente fine settimana. Erano almeno due i versamenti da effettuare: la prima tranche di settemila euro, destinata alla Banca popolare di Ancona; la seconda, decisamente più consistente, era rappresentata da 27mila euro in contanti e da due assegni del valore di 12mila euro. Probabilmente i banditi entrarono in azione ritenendo che il primo viaggio del povero commerciante fosse quello più consistente, e dunque da prendere di mira. Ma il dato più incoraggiante, per gli inquirenti, è rappresentato dalla presenza di questa donna coraggio che avrebbe già contribuito in maniera chiara e determinante alle indagini. Una circostanza che irrompe nel silenzio pressoché generale che si tinge di omertà. Nessuno, se si escludono un paio di persone che hanno fornito solo una parziale collaborazione, aveva finora dato un simile contributo agli investigatori. Nemmeno una tragedia tanto grave e assurda come la morte del povero tabaccaio era riuscita a scuotere le coscienze. Ora le indagini riprendono e appaiono a una svolta, mentre nel registro degli indagati restano iscritti tre nomi.

GIUSEPPE CRIMALDI



Il sospetto basista guadagnava cambiando assegni



Sant’Antimo. «Il signor Tammaro Pedata? Certo che lo conosciamo. Dal 1984. E prima di lui, conoscevamo suo padre che pure era affezionato cliente. È vero, era spesso qui ed entrava e usciva dai nostri uffici. Come tanti, ogni giorno». Un salone minuscolo e affollato. Quattro sportelli iper-impegnati. Giuseppe Sicuranza è il responsabile della sede di piazzetta Matteotti della Banca popolare di Napoli, quella dove si stava recando il tabaccaio Francesco Gaito la mattina in cui è stato ammazzato da due rapinatori. Giornata imbarazzante. Tammaro Pedata, il «cliente affezionato», in quel fattaccio è accusato di aver fatto da basista. Cioè di aver bisbigliato ai malviventi il bersaglio da colpire. Dopo aver raccolto per mesi informazioni sui fratelli Gaito, i tabaccai della vicina piazza delle Repubbliche che ogni lunedì si recavano in banca a versare il denaro incassato. Quella mattina, Francesco Gaito, che conosceva Pedata, aveva in tasca settemila, forse diecimila euro. E per questa somma è morto ammazzato, sebbene fosse coperto da un’assicurazione che lo avrebbe rimborsato fino all’ultima moneta. «Siamo sbalorditi – ammette il reponsabile della banca – Pedata non sembra uno che abbia bisogno di denaro: da decenni la sua famiglia fa da mediatrice nel settore delle carni e gestisce le macellerie di Sant’Antimo». E aggiunge, a scanso di equivoci: «Entrava negli uffici? Sì, spesso. Perché restare in strada dalle nostre parti è pericoloso. La rapina col filo di banca è diffusissima. Due settimane fa, nella sede di Melito, sono entrati a viso scoperto e hanno gettato benzina nell’ufficio. Erano armati di temperini». Un conoscente. Quasi un amico. Che spia per mesi. Che addita ai carnefici. «Adesso – sussurrano gli anziani in piazza – qui ciascuno sospetta della sua stessa ombra». Dice Angelo Gaito, il fratello della vittima: «Se è stato lui, è atroce. Veniva spesso in tabaccheria. E lo vedevamo in banca. Poteva almeno dire ai killer che mio fratello girava senza armi addosso. La mia vita? È stravolta per sempre». E osserva, addolorato: «Da sempre paghiamo l’assicurazione. Dicono che mio fratello avrebbe reagito, ma non ne aveva motivo: è più probabile che abbia riconosciuto qualcuno degli aggressori». Già, ma chi è Tammaro Pedata? E davvero Sant’Antimo reagisce sbigottita al suo arresto? La titolare del bar Gelo in via Roma: «Peda… chi? Non me lo ricordo». Tutti dicono che veniva qui a bere il caffè. «Veniva qui? Sì, no. Ah, può darsi». E il macellaio più avanti, sgranando gli occhioni come una ballerina: «Pedata? Mai sentito». Ma se è lui che le fornisce le carni. «Ah sì? Mai visto». Pasquale il barbiere somiglia a Robert De Niro. E almeno lui non racconta frottole: «Certo che lo conosco. È sposato, ha due figli di tredici e cinque anni, vive in una palazzina a due piani di proprietà con famiglia, mamma e due fratelli. Lo conosciamo bene, in questa strada. Lui il basista della rapina? Strano. A noi sembra una persona agiata, che dispone di molto denaro. Spesso, dentro e fuori da quella banca, cambiava sull’unghia gli assegni a chi non possiede un conto corrente. Come è ovvio, su ogni assegno tratteneva per sè una percentale. E lo sanno tutti, a Sant’Antimo». Entra il titolare del bar Pompidou che sta più avanti in via Roma. «Pedata – racconta – era stato fermato il lunedì della rapina. La moglie lo aveva avvertito: ti cercano i carabinieri. Lui si era precipitato a casa, aveva arraffato un borsello, era sceso in strada e aveva abbandonato il borsello nell’officina di un meccanico amico suo. I carabinieri fermarono temporaneamente lui e il meccanico. Nel borsello, c’erano assegni e titoli per migliaia di euro». Nella macelleria in via Cardinale Verde, Raffaele Pedata prepara hamburger nel deserto. Lui è un cugino dell’arrestato. Nel suo locale, da stamattina neanche un cliente. «Ma è ancora presto – sussurra – vedrà che più tardi arriveranno».

ENZO CIACCIO




IL MATTINO 18 OTTOBRE 2007

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