lunedì, Agosto 11, 2025
HomeAttualitàCaffè, nuova inchiesta di Report: etichette, uso della moka e qualità

Caffè, nuova inchiesta di Report: etichette, uso della moka e qualità

Cosa succede al contenuto di una confezione da 250 grammi di caffè una volta aperta? Come è possibile evitare che il macinato al suo interno si rovini? A queste domande ha risposto la puntata di Report andata in onda domenica 9 febbraio su Rai 3. Tra le tante inchieste, infatti, il programma di Sigfrido Ranucci ha esplorato proprio il mondo del caffè, con il servizio di Bernardo IoveneMacinato formato famiglia’, in collaborazione con Lidia Galeazzo e con la guida di tanti altri esperti, tra cui la direttrice marketing di Caffè Kamo Maurizia Rubino.

Etichette vaghe e incomplete

Generalmente le indicazioni riportate sui pacchetti di caffè sono molto vaghe e in alcuni casi incomplete sulla conservazione e sulla qualità. Non è raro leggere, infatti, su alcune confezioni “conservare il caffè in un luogo fresco e asciutto, in un contenitore a chiusura ermetica“, oppure “dopo l’apertura, conservare in un luogo fresco e asciutto“. Su altri packaging è consigliato riporre il pacchetto al riparo dalla luce diretta e dall’aria, preferibilmente in frigorifero.

Sul tema vari esperti si sono fatti avanti offrendo consigli in merito alla conservazione. Rubino ha, per esempio, suggerito la conservazione del caffè in frigorifero, evitandone così l’ossidazione. Significativo è stato anche l’intervento davanti alle telecamere di Report dell’esperto del chicco e responsabile formazioni ed eventi presso il Caffè Costadoro Fabio Verona. L’esperto, in accordo con la direttrice di Caffè Kamo, consiglia di riporre il caffè “in un contenitore ermetico, un barattolo di marmellata va benissimo e sicuramente di nuovo in un luogo fresco, per cui, anche in frigo“.

Le parole di Andrej Godina

Poi è la volta del caffesperto e ricercatore in scienza, tecnologia e industria del caffè dell’Università di Trieste Andrej Godina, che ha dichiarato di conservare il caffè in freezer. E c’è una precisa spiegazione scientifica dietro questa scelta: “Il caffè non si congela. Semplicemente gli oli si solidificano quando si trovano in freezer. Più è bassa la temperatura di conservazione più lenta è l’ossidazione dei grassi. Perchè posso conservarlo in freezer? Perchè il caffè tostato sostanzialmente non ha acqua. Da lì come mostra il video di Report è possibile prenderlo direttamente con il cucchiaino dal barattolo, per poi sistemarlo nel metodo di estrazione che si usa in casa (in questo caso, la moka). Ovviamente poi, si deve riprendere il caffè, richiudere il barattolo ermetico e subito riporlo in freezer“, ha concluso Godina davanti a un video realizzato dalla redazione di Report.

E la qualità?

Successivamente l’inchiesta ha acceso i riflettori sulle indicazioni relative alla qualità. Cosa cambia tra un barattolo di latta, un sacchetto da 250 grammi e una confezione di capsule? La scelta sul tipo di confezione di caffè può incidere sulla qualità? Sono riportati dettagli in merito alle varietà e alle percentuali?

Dalle analisi condotte da Report emerge che se la miscela è 100% arabica problemi non ce ne sono, anzi, è presente una descrizione molto dettagliata del prodotto. Maggiori perplessità possono sorgere soprattutto davanti a una confezione robusta. Qui, infatti, più è alta l’intensità più sarà presente una maggiore quantità di robusta. “L’intensità è data dal tenore di amaro, dovuto a sua volta dal grado di tostatura. Un livello più alto è sinonimo di una tostatura più scura, se si parla di un 100% arabica“, ha spiegato Godina.

Ombre sulle origini dei packaging

Poi i fari di Report si sono accesi sulla questione dell’origine delle miscele di caffè. Un dato che risulta essere un vero e proprio tabù. Senz’altro per garantire una buona costanza del sapore la provenienza geografica del caffè gioca un ruolo fondamentale, e può variare in base al raccolto, che presenta caratteristiche sempre diverse di anno in anno. Ma al di là di ciò purtroppo sulle origini del caffè non si conosce granchè, ragion per cui il consumatore si trova a navigare in un banco di nebbia.

L’analisi olfattiva dei pacchi di caffè

A questo punto l’inchiesta ha proseguito offrendo una vera e propria analisi olfattiva dei vari pacchetti da 250 grammi di caffè presenti in commercio, da quello più economico (il cui costo è di 1 euro e 55 centesimi) a quello più caro (il cui prezzo si aggira sui 7 euro).

Anche qui il caffesperto Andrej Godina ha detto la sua. Il suo fiuto ha infatti permesso di rilevare un sentore di muffa, verdura marcia, funghi e sottobosco nei pacchetti più economici, contrapposto a un aroma di uva passa e di biscotto nei pacchetti da 4 euro e 50 centesimi. Ancora, nei barattoli sottovuoto Godina ha messo in risalto un profumo di caramello scuro, miele di castagno, torta al cioccolato e pane tostato, sottolineando come queste essenze siano tipiche di questi particolari tipi di confezioni. Poi ha affermato davanti alle telecamere: “Generalmente i produttori artigianali comprano microlotti prodotti in piccole quantità e quindi più tracciabili. Cosa che non succede nei caffè in bustina“.

Consigli e avvertenze sul consumo domestico

Ancora, la trasmissione di Sigfrido Ranucci è venuta in aiuto del consumatore offrendo validi consigli su una delle modalità di estrazione del caffè più utilizzata nelle case degli italiani: la classica moka. Report ha tentato infatti di rispondere a una serie di dubbi, partendo innanzitutto dalla questione dell’acqua: quale livello deve raggiungere? Sotto o sopra la valvola?

Secondo il tecnico installatore di macchine di caffè Simone Previati è preferibile riempire l’acqua senza superare la valvola “perchè il calcare all’interno potrebbe inficiare nel funzionamento, e poi se l’acqua la supera diventa un piccolo geyser di acqua bollente“. Il pericolo in cui si potrebbe incorrere è quindi quello per cui la moka potrebbe esplodere. La fuoriuscita di un getto di acqua bollente è spia del fatto che l’acqua ha raggiunto delle pressioni limite. “Probabilmente perchè il macinato del caffè è troppo sottile o magari perchè abbiamo fatto la famosa ‘montagnella’ e abbiamo sovradosato il filtro“, continua Previati.

No alle ‘montagnelle’ e all’alluminio

Le cosiddette ‘montagnelle di caffè’ sono quindi assolutamente rischiose, specialmente se pressate leggermente con un cucchiaino. Possono infatti causare una sovrapressione che impedisce all’acqua di salire, determinando un’apertura della valvola e una conseguente fuoriuscita di acqua. In questi casi, quindi, è necessario spegnere immediatamente il fuoco, senza aspettare alcun borbottio. La parte finale sarà infatti tutta acqua sporca, che potrebbe contaminare il gusto del resto.

A questo punto si è passati al materiale preferibile per evitare residui: l’acciaio sotto questo punto di vista rimane il migliore, al contrario dell’alluminio. Sulla base di numerosi test è emerso infatti che all’interno delle moka in alluminio rimane una quantità di caffè pari a 0,345 milligrammi/litro. Si tratta di una dose non pericolosa per la salute, come puntualizzato da Ranucci. E infine, la questione della pulizia. E’ consigliato un panno umido con aceto puro, di modo da rimuovere i grassi, gli oli o qualunque residuo di caffè.

La linea B dello stabilimento Lavazza di Gattinara

Ma da Report non è tutto. L’inchiesta ha infatti acceso i riflettori su una segnalazione anonima di un dipendente dello stabilimento Lavazza di Gattinara. Le sequenze di foto e i filmati condivisi testimoniano che nel polo produttivo vercellese esisterebbe un circuito di lavorazione nel quale verrebbe riciclato il caffè macinato contenuto all’interno di tutti i pacchi e le capsule scartate durante il processo produttivo. Una linea B di prodotti difettosi, e quindi invendibili.

Attraverso un macchinario che va a recidere il lide delle capsule, il caffè presente al loro interno viene rimesso in lavorazione e riconfezionato, per poi essere rivenduto. Il risultato è una miscela formata da vari tipi di caffè di diversa origine, tra cui è emersa una percentuale non indifferente di decaffeinato, entrato precedentemente in contatto con l’ossigeno. Un dato che rischia di influenzare negativamente la qualità del caffè, come è noto.

Di fronte a queste immagini la trasmissione di Rai 3 ha affermato di aver scambiato alcune email con la direzione della torrefazione, ma dopo questo breve contatto Report non ha registrato una replica risolutiva. In questa inchiesta sarebbero coinvolti anche i sindacati, nonostante abbia dichiarato di non essere a conoscenza della vicenda. A questo punto i campanelli d’allarme non sono pochi, soprattutto dal momento che i dubbi che la prassi dello stabilimento di Gattinara sia perseguita anche da altri siti industriali. C’è dunque da aspettarsi che le indagini non si fermeranno qui.

La Repubblica della Ciofeca: il sacrilegio italiano nell’arte del caffè

Non è la prima volta che il caffè è protagonista di una delle inchieste di Report. Basti pensare infatti al servizio La Repubblica della ciofeca condotta sempre da Bernardo Iovene nel corso della puntata del 15 dicembre 2024. Durante la trasmissione su Rai 3 è emerso come il caffè sia la merce più commercializzata al mondo seconda solo al petrolio, e come soprattutto gli italiani vantino di esserne grandi maestri e inventori. Si parla infatti di una vera e propria “religione” tutta italiana. Ma davvero il caffè espresso che viene servito nei bar di tutto il Paese è da ritenersi di qualità eccellente? E’ veramente giusto pensare che “solo in Italia si beve un buon caffè“? La risposta a queste domande non è tanto scontata e immediata come si potrebbe pensare.

E’ infatti indiscusso che esistano delle regole universali sul trattamento e sulla lavorazione del chicco di caffè. Tuttavia una serie di indagini condotte nei bar di mezza Italia, da Trieste a Napoli, hanno rilevato “una preoccupante mancanza di competenza nella preparazione del caffè, dal trattamento dei chicchi alla manutenzione delle macchine per l’espresso“. Il classico gusto forte e deciso del caffè napoletano, ormai associato a quello del caffè italiano, deriverebbe da una tostatura scura che determina l’accumulo di oli in superficie che meriterebbero un trattamento diverso.

Ma di ciò da un lato i baristi italiani sarebbero del tutto ignari, “uccidendo” una materia prima di grande qualità. Dall’altro i torrefattori sembrano essere del tutto incuranti delle gravi conseguenze delle tostature scure, che il più delle volte sono vicine al colore nero. A intervenire sul tema è stato anche stavolta Andrej Godina: “Tutto ciò che è nero è bruciato. E i chicchi neri sì, quelli devono essere attaccati“. Ma allora perchè un produttore dovrebbe rovinare i propri chicchi? “L’unica spiegazione è la volontà di mascherare un problema di materia prima, probabilmente difettata già all’origine“, ha continuato il caffesperto. Infatti l’obiettivo principale delle torrefazioni è quello di continuare a soddisfare un gusto e un palato ormai ben consolidati.