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giovedì, Aprile 18, 2024
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«Facciamo così», come i Di Lauro cercarono di allontanare i sospetti dopo gli omicidi di Melito

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Ha ricostruito con minuzia di particolari ogni fase dell’agguato che portò alla morte di Domenico Riccio e Salvatore Gagliardi, i due uomini uccisi in una tabaccheria a Melito nel novembre del 2004. In piena faida, nelle primissime fasi della guerra che oppose i Di Lauro agli Scissionisti. Il neo collaboratore di giustizia Massimo Molino ha descritto le fasi che portarono all’uccisione di Riccio (leggi qui l’articolo). Riccio, era indicato come soggetto vicino agli Abbinante: Molino ha puntato il dito sui diversi componenti del commando e tirando in ballo anche suo cognato, Maurizio Maione (che al momento non risulta indagato). Le sue dichiarazioni sono allegate all’ordinanza di custodia cautelare che qualche giorno fa ha portato in carcere Ciro Di Lauro, figlio del boss Paolo, Salvatore PetriccioneGiovanni Cortese e Ciro Barretta.

Le dichiarazioni di Massimo Molino

«Un giorno ’o marenaro ci mandò l’imbasciata che si doveva uccidere questo Mimmo Riccio, che aveva una tabaccheria a Melito. In quel periodo non ci si fidava di nessuno e mio cognato Maurizio Maione decise di andare personalmente da Ciro Di Lauro per avere conferma. Ciro Di Lauro confermò e in più ci disse che se ce ne fosse stata possibilità si dovevano uccidere anche la moglie di Rito Calzone e la moglie di Genny “’o Mckay” (Gennaro Marino). Mimmo Riccio doveva morire perché, disse Ciro Di Lauro riciclava e investiva i soldi di Raffaele Amato». Molino poi entra nello specifico ricordando anche un escamotage utilizzato per non destare sospetti:«Rosario Di Bello giunse all’improvviso e ci venne a dire che c’era Mimmo Riccio. D’istinto Maurizio, che non era in programma che partecipasse, cambiò idea e disse che voleva andare, pur non avendo il casco. Così partirono Maurizio Maione – a volto scoperto – o marenaro, Pasquale Malavita e Cicciotto, che guidava la macchina (la Fiesta). Maurizio e Pasquale Malavita erano seduti dietro, il marenaro a fianco del guidatore».

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I componenti del commando dei Di Lauro

«Dovevano scendere o marenaro e Malavita. O marenaro si portò due pistole, una 7,65 con silenziatore ed una P38 “cavallino”. Pasquale una 9×21 ed anche Maione aveva una 9×21. Andarono, facendo una inversione di marcia, scesero in tre, entrò prima il Marenaro, che sparò ron la 7,65 che però si inceppò – non so se comunque uno o più colpi partirono – ed uccise Riccio, usando anche l’altra pistola. Pasquale uccise quello che stava con lui, e si diceva che era il suo guardaspalle. Maurizio Maione scese anche lui dall’auto, con la pistola n mano, a fare da palo, per coprire l’azione omicida. Cicciotto rimase in macchina».

Il ritorno al covo e l’escamotage per non destare sospetti

Nel verbale dello scorso novembre Molino ha anche raccontato ai magistrati che i componenti del commando, tutti facente parte del clan Di lauro, erano preoccupati della presenza nella zona di telecamere spiegando che lui e suo cognato escogitarono uno stratagemma per non destare sospetti:«Me ne andai sopra da mio cognato Maurizio Maione che ha una terrazza che affaccia sullo stradone. Maurizio disse:’affacciamoci, facciamoci vedere dal pescivendolo’, per non destare sospetti e in effetti il pescivendolo ci vide e ci diede la notizia che avevano ucciso il tabaccaio. Il giorno dopo Maurizio era pieno di paura perchè era l’unico ad essere andato a volto scoperto. Poi sapemmo che le telecamere quel giorno non erano in funzione e si calmò».

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