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domenica, Giugno 16, 2024
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Fave fresche con ventresca, la storia dell’aperitivo ‘cafone’ che affonda le sue radici nell’antica Grecia

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Chi non ha mai assaggiato le fave con la ventresca? Alzi la mano e corra a rimediare! Questo connubio di sapori tipicamente pasquali fa capolinea sulle tavole, in particolare dei napoletani fin dall’inizio di aprile.  Non c’è abbinamento migliore che mangiare le fave, rigorosamente fresche e crude, con una fettina di ventresca e un po’ di pane cafone. Il sapore burroso della ventresca si mescola perfettamente con la freschezza della fava ed è subito acquolina in bocca e un boccone tira l’altro.

Se poi appartenete alla categoria dei veri golosi provate ad abbinare il tutto con un pezzetto di caciotta stagionata. Quello delle fave con la ventresca è davvero uno degli aperitivi perfetti.

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È questo il periodo per gustare le fave fresche, legume delicato e versatile che, però, almeno in questa veste, ha una stagione piuttosto breve, così come recita un’antica filastrocca, che ricorda la fine del saccheggio dei pirati saraceni allontanati grazie all’intervento della santa protettrice dell’isola di Ischia:

A Santa Restituta

‘e fave so’ arrennute

‘e quaglie so’  fernute

‘e turche so’  partute.

A Santa Restituta (17 maggio)

le fave sono indurite (arrennute)

le quaglie sono passate (finite)

i turchi sono partiti.

Nei mesi di aprile e maggio è usanza molto diffusa consumare questi legumi freschi e teneri accompagnati da fette di morbida ventresca di maiale, caciotta di pecora e pane fragrante. Le fave fresche vanno mangiate crude se ancora tenere, mentre quando iniziano ad indurire vanno conservate per l’inverno dopo averle seccate, in tal caso si dice che le fave sono “arrennute” e quindi non più adatte ad essere consumate fresche.

Il sapore delle fave fresche rivive nei freddi mesi invernali, aprendo un vasetto di fave sottolio. Seccate, invece, costituiscono una grandissima scorta alimentare per zuppe, minestre ed altre preparazioni prettamente invernali.

Fave fresche con ventresca, la storia

Convinto vegetariano ma ai suoi discepoli imponeva di “astenersi dalle fave”: era questo il primo dei numerosi e rigidi veti imposti dal celebre filosofo e matematico Pitagora nel V sec a. C.  Ma tale e grande doveva essere l’importanza di questi legumi che, si narra, fosse lo stesso Pitagora a preferire la morte, inseguito e sgozzato dai suoi nemici, piuttosto che mettersi in salvo e fuggire attraverso un campo di fave.

Considerate impure dagli antichi sacerdoti egizi, con le fave si interrogavano gli dèi attraverso un sorteggio, una pratica che continuò anche nel Medioevo per votare in assemblea, dividendole in bianche e nere. E ancora oggi quando si dice “mettere alle fave”, in Toscana s’intende mettere a votazione un soggetto o una decisione.

Non finisce qui l’importanza della “carne dei poveri”: le «fave di nera buccia» sono evocate più volte nell’ Iliade di Omero mentre nell’ antica Roma si consumavano dopo le cerimonie funebrie nei Lemuralia, in cui si commemoravano gli antenati di famiglia. Non ultimo, l’origine del tabù delle fave potrebbe derivare da motivi di prevenzione sanitaria poiché ritenute tossiche e capaci di provocare quella terribile malattia che nel 1894, durante i lavori del Congresso Scientifico Internazionale di Roma, sarà chiamata favismo.

Le fave hanno un sorprendente contenuto di eccellenti proprietà

Se consumate crude hanno un contenuto calorico davvero ridotto, appena 41 kcal per 100 grammi, pochissimi grassi, ricche di fibre, amidi e soprattutto di proteine, rendendole un cibo alternativo al consumo di carne rossa. Proteggono quindi la salute del cuore e contrastano il colesterolo LDL, quello cattivo.

Tra le vitamine abbondantissimi i folati, la vitamina B1 e quella B2. Diuretiche e disintossicanti, le fave sono una delle maggiori fonti naturali di L-DOPA, o levodopa, un aminoacido non proteico da cui deriva la dopamina, la cui produzione risulta carente nei soggetti affetti da malattia di Parkinson. Studi recenti hanno anche mostrato un miglioramento della sintomatologia grazie ad un consumo regolare di fave, non tale comunque da preferirle ai farmaci di sintesi, ovviamente, ma la scoperta fa ben sperare. Da cibo rozzo e destinato al popolo, la “carne dei poveri” è oggi rivalutata e utilizzata nei piatti a cinque stelle.Vere protagoniste della tavola di primavera, da utilizzare crude o cotte, dall’antipasto alle minestre ai contorni, con piatti di mare o di terra. Varrone, nel suo De rustica, riporta come nell’antica Roma le fave fossero tra gli alimenti più consumati insieme afarro eorzo.

 

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