“Ho un vuoto che ho provato a colmare dedicandogli la mia tesi di laurea” così Giovanni Costanzo, 24 anni, fratello di Gioacchino ucciso a soli due anni nel 1995 dalla camorra, parla dopo la sua tesi in Fisica Teorica.
La storia di Giovanni e Gioacchino Costanzo
Sono passati ventotto anni dalla tragedia della morte per mano della camorra di Gioacchino. Era il 15 novembre 1995 ed il piccolo, di soli due anni, fu ucciso a Somma Vesuviana insieme a Giuseppe Averaimo. Quest’ultimo era il compagno della nonna materna e reale obiettivo dei sicari nell’ambito di una faida tra clan. Averaimo era al posto di guida nell’auto con la quale vendeva sigarette di contrabbando e teneva il piccolo Gioacchino sulle ginocchia.
Oggi grazie a Giovanni, che all’epoca dei fatti non era ancora nato, questa famiglia tira un sospiro di sollievo, vivendo un momento di pura gioia dopo anni di dolore. Il giovane Giovanni è il primo della sua famiglia a conseguire una laurea, titolo che pesa ancor di più in un contesto del genere. Intervistato da ‘Il corriere del Mezzogiorno‘ Giovanni spiega cosa gli è più pesato di quella vicenda.
“Mi è mancata la serenità”
“Tante cose. Per molti anni a casa mia non abbiamo celebrato una sola festa. A Natale, per esempio, non si faceva l’albero. A Mariglianella, che è un piccolo centro, sono stato considerato da molti il figlio che era stato concepito e partorito per sostituire quell’altro, il bambino ammazzato. Mi è mancata la serenità di crescere in una famiglia normale. Una delle mie tre sorelle e mamma hanno sofferto di crisi d’ansia. Lei non andò a testimoniare al processo per paura che i camorristi facessero qualcosa di male ai figli. C’è stata un pò di omertà ed anche questo mi è pesato. La mia, però – tengo a sottolinearlo – è una famiglia semplice, poco istruita, certamente non di malavitosi“.
“Papà è operaio ed era lontano per lavoro. Mio fratello stava con la nonna, che era divorziata e viveva da qualche tempo a Somma Vesuviana con il compagno. Nella casa nostra a Mariglianella erano in corso lavori. Si doveva passare la colla alle pareti e mamma preferiva che Gioacchino non respirasse quei vapori. Mi ha raccontato anche che i giornalisti entrarono in casa quando non c’era, dopo che era arrivata la notizia, e portarono via foto di Gioacchino che non le sono state mai più restituite. Lo ha vissuto come una violenza ulteriore” racconta poi Giovanni.
“Ho parlato a Gioacchino, gli ho detto che sarebbe fiero di me”
Sul suo futuro Giovanni racconta: “Sto già lavorando come supplente al liceo Brunelleschi ad Afragola e come tutor di Fisica 1, insieme ad una collega, per le matricole del corso di laurea in Fisica. Insegnare mi piace molto, è il mestiere che amo. Il primo giorno, quando stavo per entrare in classe ad Afragola, avevo ansia e timori. Sono andati via, però, in un attimo. In aula tra i ragazzi mi sento come a casa. Tutt’altro rispetto all’esperienza in azienda che ho vissuto ancor prima di laurearmi, con una società che analizza dati per un istituto bancario. Non è il mio mondo“. Giovanni spiega poi cosa ha fatto appena tornato a casa dopo la discussione: “Non so se è stata la prima, ma è quella che ricordo meglio. Sono andato al cimitero da Gioacchino. Gli ho parlato e gli ho detto che sarebbe stato orgoglioso di me“.