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venerdì, Aprile 19, 2024
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Disoccupati e lavoratori a nero, le voci di Scampia nel dramma Covid-19. “Mangiare tutti i giorni è diventata un’impresa”

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“Chiudiamo tutto’’. “Ci vuole l’esercito ovunque’’. “Più controlli e più test con i tamponi’’. Sono le frasi, divenute una sorta di mantra, ripetute ossessivamente da tantissime persone giustamente impaurite dal diffondersi del Coronavirus. Secondo quanto confermato dalle forze dell’ordine impegnate in queste settimane nei controlli, nonostante alcune sanzioni e alcuni deferimenti in violazioni dell’articolo 650 del codice penale, la maggior parte della popolazione campana sta rispettando in modo disciplinato le prescrizioni che limitano ai soli casi di necessità, per motivi di salute e lavoro gli spostamenti. E anche le file ai negozi di alimentari e ai supermercati sono ordinate con ingressi centellinati quasi ovunque. Intanto, i vari divieti ad uscire di casa sono stati prolungati in Campania sino al 14 aprile a seguito dell’ordinanza numero 23 del 25 marzo firmata ieri dal governatore Vincenzo De Luca.

Le testimonianze di Giovanni e Carmine

Ma non per tutti è facile restare in casa senza subire negative conseguenze. I primi effetti sui portafogli, già vuoti per molti già prima dell’inizio della pandemia mondiale, e sullo stomaco, che reclama cibo, iniziano a farsi sentire anzitutto su quei territori dove l’arte di arrangiarsi esiste da sempre perché il lavoro, da sempre, manca. Giovanni e Carmine sono due cittadini disoccupati del quartiere Scampia. La loro condizione sociale ed economica è obiettivamente difficile e le restrizioni di queste settimane sono per loro una ulteriore spada di Damocle alla ricerca di un impiego utile quantomeno a sbarcare il lunario. «Non ho un lavoro e ora mangiare tutti i giorni è diventata un’impresa. Ogni tanto aiuto un negozio della zona ancora aperto a smistare la fila e a far rispettare l’ingresso di una persona per volta. Io faccio così e i titolari mi assicurano qualcosa di soldi per comprarmi da mangiare» afferma con sincerità Giovanni nei cui occhi si vede chiaramente una rabbia che rischia di esplodere da un momento all’altro. «È troppo facile e comodo dire soltanto, “state nelle vostre case’’. Non per tutti la situazione è la stessa. E nel frattempo sono sparite anche le associazioni di Scampia, che non stanno dando alcun contributo al momento». Carmine, in teoria, sarebbe più fortunato perché da qualche tempo percepisce il reddito di cittadinanza (con i precettori che nell’area a Nord di Napoli sono svariate migliaia). «Ma per come stiamo combinati oggi serve a poco!» ribatte Carmine. Come Giovanni anche lui ora si barcamena come può. «Do una mano a qualche negozio a portare la spesa alle famiglie in difficoltà. È un modo per avere qualche spicciolo in tasca, altrimenti sarebbe davvero dura perché al momento non si vedono via d’uscita. Gente povera come noi è stata ancora una volta dimenticata». Carmine e Giovanni sono due voci uscite allo scoperto dal coro, ancora troppo silenzioso, della disperazione di un blocco umano invisibile agli occhi di chi ha potere decisionale e anche di chi giudica da dietro una tastiera. Segno che in Italia, le politiche di Welfare appaiono insufficienti.

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Le preoccupazioni di Anna

Anna risiede in un’abitazione al primo piano della Vela Rossa. La incontriamo nella mattinata di mercoledì 25 marzo, quando i carabinieri del Nucleo Radiomobile di Napoli diretto dal tenente colonnello Alessandro Dominici, del Settimo Nucleo Elicotteri Carabinieri di Pontecagnano, della Compagnia Stella (competente territorialmente) e del Comando 167 sono in strada per effettuare i controlli e mostrare alla stampa il primo volo del drone ora in dotazione per individuare eventuali assembramenti ingiustificati. Rigorosamente in casa, filma i controlli dei militari dell’Arma con un cellulare. In realtà, la sua priorità ora è un’altra. «Tornare a lavorare» risponde senza esitazioni. «Da 20 giorni non esco se non per andare a fare la spesa. Faccio la domestica ma ora sono in pausa dal lavoro. Il mio, e non ho vergogna a dirlo, è un lavoro pagato a nero. Per quelli come me non sono previsti sussidi da parte del Governo o delle istituzioni locali. Fra un po’ tanti di noi rischiano di non poter mangiare». Più chiara di cosi.

 

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