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mercoledì, Giugno 26, 2024
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Stipendi in Italia aumentati solo dell’1% dal 1991, negli altri Paesi invece del 32%

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Gravi disomogeneità emergono dal rapporto Inapp in merito al versante economico-salariale. La realtà soffocante è da circoscrive al territorio Italiano. in circa 30 anni, infatti, viene segnalato soltanto un mediocre aumento dell’1% per i salari dei lavoratori. Al contrario, le realtà europee testimoniate dall’area Ocse, testimoniano, in controparte un aumento del 32%.

Un’ Italia tra crisi e tentativi di miglioramento 

In Italia, si svela un prospetto arido dal punto di vista economico, negativamente incisivo per una proiezione nel futuro. Si fa riferimento allo stallo degli stipendi negli ultimi 30 anni. Dal 1991, infatti, si segnala, soltanto un esile incremento dell’1%, prova che l’italia rispetto all’Europa è una realtà scarna e subalterna. In area Ocse, in controparte alle vicende italiane si segnala un aumento dei salari del 32,5%. A sommergere ancor di più l’orgoglio italiano, il problema della scarsa produttività risalente già dalla seconda metà degli anni 90′. Tale elemento ha identificato un divario massimo nel 2021 pari al 25,5%.

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Un momento di respiro si potè apprezzare dopo la pandemia, quando il mercato italiano dopo un periodo di forte instabilità tentò uno slancio verso im miglioramento sempre, però, con il rischio di essere attentato dalla scarsa produttività, dalla poca formazione e da un welfare che non riesce a tutelare i lavoratori. E’ sulla base del connubio equilibrio-disequilibrio che il presidente Sebastiano Fedda chiarisce le dinamiche del mercato del lavoro elogiandone gli aspetti proiettati verso una promozione e giustificando le difficoltà vigenti. Le rivelazioni dei fattori compromettenti sono da ricondursi al conflitto bellico alle porte dell’Europa, alla crescita dell’inflazione e alla crisi energetica. Sono riconducibili alla crisi economica dell’Italia anche elementi interni come l’inesistente progressione dei salari e i pochi incentivi statali.

L’idea delle dimissioni 

Dai dati tratti dalle conclusioni del rapporto Inapp emerge che in Italia un numero rilevante di occupati sarebbe disposto alle dimissioni. Si stima che il 14,6% dei dipendenti tra i 18 e i 74 anni abbia pensato di lasciare il proprio lavoro. In numero più cospicuo, a volersi dimettere, sono gli occupati dipendenti che svolgono il loro impiego in imprese private in organizzazione di media dimensione. Anche se comunque il desiderio di cambiare occupazione è maggiore per coloro che svolgono lavori più onerosi a livello fisico dal compenso economico non proprio soddisfacente.

Poco lavoro ai giovani 

Se nel 2002 ogni 1000 persone che avevano un’età tra i 19 e i 39 anni  c’erano poco più di 900 impiegati tra i 40 e i 64 anni, oggi la situazione è ben diversa. Nel 2023, infatti, le persone aventi un’età più matura superano in questo rapporto le 1400 unità. Ogni 1000 lavoratori di 19-39 anni sussistono 1900 lavoratori adulti o anziani. Ad oggi i settori che identificano una maggiore concentrazione di senilità sono rispettivamente quello della Pubblica amministrazione e quello del settore finanziario e assicurativo.

Questa retrocessione è testimoniata dall’abbassamento del numero di assunzioni che risulta essere peggiorato dal 2021. Questa immobilità sociale si intorpidisce ulteriormente dalla mancata adesione dei lavoratori ai vari corsi di formazione che accrescerebbero le loro competenze. Si è tracciato, negli ultimi anni, solo un incremento del 2,4% al valore già esistente del 9,6%. Al di là di ciò tali valori risultano ancora alquanto bassi considerando la condizione dell’Europa.

 

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