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venerdì, Marzo 29, 2024
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Ucciso dal suo clan, 7 ergastoli a boss e killer degli Amato-Pagano per l’omicidio Barretta

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Si è concluso con sette ergastoli e due condanne a 12 anni di reclusione il processo sull’omicidio di Luigi Barretta, assassinato nel 2005 nell’ambito di un’epurazione interna al clan Amato-Pagano. Il Tribunale di Napoli (gup Federica De Bellis) ha accolto le richieste del pm Maurizio De Marco e condannato coloro che sono stati ritenuti gli esecutori materiali e mandanti di quell’efferato assassinio.

Barretta, esponente degli scissionisti appena 22enne, venne assassinato dal suo stesso clan, quello degli “scissionisti”, nel maggio del 2005, quando la faida tra gli Amato-Pagano (detti, appunto, gli scissionisti) e il clan Di Lauro andava concludendosi. Una decisione presa per punire quel giovane che si mostrava, scrivono gli inquirenti, “…ribelle e arrogante nei confronti di altri affiliati e dei vertici del clan…”. Dopo averlo ucciso i sicari sistemarono il suo cadavere in un sacco dell’immondizia che venne poi scaricato nelle campagne del Casertano.

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Il “fine pena mai” è stato inflitto, a vario titolo, dal giudice lo scorso 20 gennaio, nei confronti di Carmine Amato, Ciro Caiazza, Lucio Carriola, Enzo Notturno, Carmine Pagano, Cesare Pagano e Salvatore Rosselli.

Ai collaboratori di giustizia Antonio Caiazza e Carmine Cerrato sono stati invece inflitti 12 anni di reclusione (per il riconoscimento di un’attenuante e per il rito scelto) in relazione all’omicidio mentre non si è ritenuto di dover procedere nei loro confronti per quello che riguarda la contestazione relativa alle armi “perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione”. Si tratta di una sentenza, particolare, quella emessa dal giudice per le udienze preliminari del 27esimo ufficio di Napoli, il quale ha tenuto di non tenere conto della “dissociazione” degli imputati invocata dagli avvocati. (ANSA).

L’omicidio del giovane ras degli Amato-Pagano

L’omicidio di Luigi Barretta ha generato negli anni scorsi un contenzioso, per competenza territoriale, tra il tribunale di Napoli e quello di Santa Maria Capua Vetere. Proprio il tribunale sammaritano rilevò nel marzo 2019 che «l’omicidio fu commesso per consolidare il potere di Raffaele Amato e Cesare Pagano all’interno del clan da loro capeggiato, la cui autorità era stata posta in discussione da Barretta non solo con lo schiaffo dato, per una ragione banale, al nipote di Raffaele Amato, ma soprattutto con le successive affermazioni, secondo cui “le cose potevano cambiare”, nel senso che se ora comandavano gli Amato-Pagano il futuro poteva essere diverso». Secondo la ricostruzione della Procura Barretta fu colpito a morte e avvolto in un sacco nero di plastica prima di essere scaraventato sul ciglio di una strada di campagna in località Agro di Tavernola a Crispano. «La sua morte venne decisa da Cesare Pagano – dichiarò agli inquirenti il pentito Gennaro Notturno – Luigi Barretta era un soggetto molto pericoloso e per questo fu ucciso».

Le dichiarazioni del pentito Carmine Cerrato

Carmine Cerrato, vera ‘voce di dentro’ della galassia scissionista parlò di questo omicidio in uno dei suoi primi verbali: «Barretta ucciso perché si era montato la testa, era diventato troppo ribelle nei confronti degli affiliati di rango del clan Amato-Pagano quali Enzo Notturno e Salvatore Cipolletta. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stata un suo litigio con uno dei nipoti di Cesare Pagano, che quest’ultimo non gli aveva specificato. Il primo a parlargliene era stato Notturno, nel corso di un suo viaggio a Bar-cellona. Anche a Cesare Pagano lui aveva chiesto dei motivi dell’uccisione del Barretta e costui gli aveva risposto che il Barretta, che aveva ricevuto dallo stesso Pagano l’incarico di gestire il territorio di Melito che era sotto il controllo del clan, si era montato la testa. Il Pagano gli aveva anche detto che il Barretta aveva avuto una discussione con Salvatore Cipolletta, nel corso della quale il primo aveva minacciato l’altro di morte. Inoltre il Barretta aveva minacciato di uccidere anche un altro affiliato del clan».

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