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domenica, Giugno 16, 2024
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Spartacus, rinviato il verdetto sui Casalesi

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Una possibilità di replica offerta al procuratore generale. È la motivazione che ha spinto i giudici della prima corte d’assise d’appello di Napoli, presidente Raimondo Romeres (a latere Maria Rosaria Caturano), a fissare un’altra data prima della conclusione del processo Spartacus, il più importante atto d’accusa a carico della camorra dei casalesi. Finite le discussioni difensive (l’ultima arringa il 9 giugno), si torna in aula lunedì 16. Prenderà la parola il sostituto procuratore generale Francesco Iacone, prima che i giudici della Corte d’Assise d’appello si ritirino per deliberare. E sarà una camera di consiglio blindata. Per almeno due giorni e due notti, i giudici si confronteranno sull’opportunità di confermare le decine di ergastoli comminati in primo grado nel 2005. Possibile che la Corte si sposti a trascorrere la notte in un albergo, come già accaduto per altri maxiprocessi, un sito che va mantenuto strettamente riservato, per ovvi motivi di cautela. È il processo dei grandi numeri, che giunge al secondo grado di giudizio, una sorta di snodo decisivo a tenere in cella decine tra boss e gregari della più potente consorteria criminale in Campania dai tempi della Nco di Cutolo. Settecentocinquanta gli anni di carcere disposti in primo grado a carico di esponenti delle famiglie Schiavone, Zagaria, Iovine, Bidognetti. Basta qualche cenno storico a mettere a fuoco lo spessore del maxidibattimento. In primo grado furono 113 gli imputati chiamati a rispondere di associazione camorristica e omicidi, minacce e estorsione. Poi, al termine di uno stralcio tra reati associativi e delitti di sangue, si è arrivati a 21 imputati in corte d’assise, tutti rigorosamente condannati all’ergastolo. Nel corso del processo d’appello, c’è stato un ulteriore stralcio: sette dei 21 imputati hanno patteggiato la pena (il cosiddetto concordato, oggi cancellato dal decreto Berlusconi per i reati di mafia), tanto da far ipotizzare che la prima corte d’assise d’appello firmerà quattordici condanne all’ergastolo. Tra gli imputati in attesa del verdetto, c’è anche Francesco Bidognetti, il famigerato Cicciotto di mezzanotte, autore di un clamoroso colpo di scena nel bel mezzo dell’istruttoria. È stato Bidognetti, infatti, (assieme al superlatitante Antonio Iovine) a firmare una richiesta di legittima suspicione (il trasferimento degli atti ad altro distretto) sollevando una sorta di caso nazionale. Appellandosi alla Cirami, infatti, Bidognetti e Iovine sostengono di essere vittime di una campagna mediatica e giudiziaria, tesa a delegittimare l’autonomia di alcuni giudici e a mutilare il diritto alla difesa. Con chi ce l’hanno i due boss? In sessanta pagine – lette in aula dal penalista Michele Santonastaso – le accuse allo scrittore di Gomorra Roberto Saviano, alla giornalista del Mattino Rosaria Capacchione, al pm anticamorra (oggi giudice di Cassazione) Raffaele Cantone. Durissimi rilievi anche contro il pool anticamorra di Franco Roberti, un attacco a pezzi dello Stato letto nell’aula bunker affollata da detenuti e dai loro parenti. Un attacco che ha fatto da prologo a delitti e attentati che hanno scandito la recente storia criminale campana (per i quali Bidognetti e Iovine vanno considerati innocenti), come l’agguato a carico di Umberto Bidognetti (padre del pentito Domenico); l’agguato a Villaricca, in casa della sorella della pentita Anna Carrino (la messaggera del boss, prima di collaborare con la giustizia), l’omicidio di un imprenditore che denunciò il racket e – ultimo atto – il delitto di Michele Orsi, il «Salvo Lima» della camorra che aveva svelato l’intreccio tra crimine e business rifiuti.

LEANDRO DEL GAUDIO




Omicidio Orsi, vigilanza per altri testimoni



Casal di Principe. Se gli avessero dato retta, se due mesi fa avessero compreso il messaggio di morte contenuto negli spari contro il portone della sua casa, se si fossero insospettiti per quelle strane segnalazioni fatte con la torcia, appena due anni fa, forse Michele Orsi sarebbe ancora vivo. «Se avesse avuto la scorta – dice piangendo, con un urlo straziato, la moglie – sarebbe ancora qui». Due giorni dopo l’omicidio di corso Dante, mentre si aspettano l’autopsia e i funerali, la polemica sulla protezione negata all’imprenditore dei rifiuti non è ancora rientrata. Né poteva, perché sul tavolo del sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, non è ancora arrivata la relazione della prefettura di Caserta, chiamata a rispondere della mancata attivazione delle misure di tutela. Tutela che sarebbe stata chiesta dalla Dda a maggio, tradotta poi in una vigilanza saltuaria e destinata a essere rafforzata, se necessario, il 30 giugno. Nell’imbarazzo generale, solo qualcuno ricorda che probabilmente il pericolo era stato sottovalutato perché mai, fino all’omicidio di Domenico Noviello – il 16 maggio scorso – il clan dei Casalesi si era vendicato di quanti avevano denunciato e fatto arrestare gli autori delle estorsioni. Un cambio di strategia imprevedibile, che ora è possibile leggere più chiaramente, ma ancora in controluce, nell’inquietante istanza di legittima suspicione letta nell’aula della Corte di assise di appello, a Napoli, il 13 marzo. Dieci giorni prima degli spari contro l’abitazione di Orsi. Clima pesante, preoccupazione per l’escalation terroristica del clan dei Casalesi. E lo Stato prende le contromisure. Ieri mattina è stata decisa la tutela per altri imprenditori che sono nelle stesse condizioni di Noviello e di Orsi. Giro di vite nella sorveglianza degli «obiettivi sensibili». E poi le nuove forze in campo, il cui impiego è stato pianificato nella mattinata di ieri in questura, a Caserta, dal questore Carmelo Casabona e dal direttore dello Sco Gilberto Caldarozzi, arrivato da Roma con un gruppo di funzionati del Servizio centrale operativo. Su Casal di Principe, dalla fine della settimana, opererà – così come stabilito dal capo della Polizia, Antonio manganelli, e dal vice Nicola Cavaliere, un team composto da trenta persone, tra ispettori e agenti veterani della lotta alla criminalità organizzata, guidati da un dirigente che ha già lavorato sul clan dei Casalesi. Si fa il nome di Alessandro Tocco, attualmente al vertice del commissariato di Formia e prima a Fondi, dove ha indagato sulle infiltrazioni nel mercato ortofrutticolo. La squadra lavorerà in uno stabile confiscato – una villa che era appartenuta a Dante Apicella, che in queste ore stanno attrezzando con lavori di attintatura e di difesa passiva – che sarà della sezione distaccata della Squadra Mobile di Caserta. Nicola Cavaliere ha predisposto già da sabato l’invio di personale altamente qualificato per aumentare il controllo del territorio nell’area di Casal di Principe. «Per rendere più incisiva l’azione di controllo e contrasto e per coordinare e pianificare azioni di ampio raggio nella provincia di Caserta – spiega in una nota il Dipartimento di Pubblica sicurezza – il vicecapo della Polizia ha avviato contatti anche con il comando generale dei carabinieri». Una squadra del Ros è stata distaccata in provincia di Caserta.
ROSARIA CAPACCHIONE


IL MATTINO 2 GIUGNO 08

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