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mercoledì, Maggio 8, 2024
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Beni sottratti ai clan: Campania al secondo posto dopo la Sicilia

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Per togliere definitivamente i patrimoni illeciti
ai camorristi lo Stato ha una sola strada a disposizione:
la destinazione a uso sociale dei beni
che sulla carta è un procedimento di quattro
mesi. Quattro mesi che in tanti casi servono solo
a chiudere una pratica, perché spesso (nel 35
per cento dei casi per la precisione) la famiglia
del criminale continua ad abitare dentro la casa
che lo Stato gli ha confiscato. A complicare la faccenda,
poi, ci sono le ipoteche e le procedure
giudiziarie che in molti casi bloccano ogni passo
in avanti verso l’effettiva destinazione sociale
degli immobili. E anche quando questi finiscono
finalmente nella disponibilità dei comuni,
l’iter tende a fermarsi per le ragioni più disparate.
Le difficoltà emergono in tutti e tre i settori
nei quali si snoda il percorso dell’immobile: la
fase giudiziaria (dal momento del sequestro alla
confisca definitiva), la fase amministrativa (dalla
comunicazione di confisca al provvedimento
di destinazione del bene), la fase dell’utilizzazione
(dalla consegna all’uso effettivo, sociale o istituzionale).
Un percorso che in Campania si fa ancora
più complesso dal momento che solo un
immobile su tre, tra quelli sottratti ai boss, ha trovato,
finora, un nuovo destino. Gli altri restano
in gestione al Demanio (28%) o sono stati sì destinati
ma aspettano ancora di essere consegnati
(11%) o, caso più grave, sono stati destinati e
formalmente consegnati ma non vengono utilizzati
(30%). Le ragioni del mancato utilizzo da
parte dei comuni vanno ricercate nelle difficoltà
logistiche e ambientali: locali vandalizzati o occupati,
procedure giudiziarie in corso, finanziamenti
che non arrivano. Il tutto a vantaggio dei
clan che quelle strutture preferiscono vederle
marcire piuttosto che arrendersi all’idea che tornino
allo Stato e, quindi, alla società.


Dati e criticità

La più recente e completa fotografia sullo stato
degli immobili sottratti alle cosche è stata
scattata dal Commissariato di governo per la gestione
e la destinazione dei beni confiscati ad organizzazioni
criminali, istituito nel 2007 con
l’obiettivo di coordinare le autorità coinvolte
nella gestione degli immobili requisiti: magistratura,
prefetture, agenzia del demanio, enti locali,
associazioni e cooperative. Commissariato
che nel 2008 ha dato nuovo impulso ai meccanismi
di confisca – con l’aumento su scala nazionale
del 70 % di beni destinati rispetto all’anno precedente
– e che per l’Osservatorio sulla camorra
e sull’illegalità del Corriere del Mezzogiorno ha
spacchettato ed elaborato le cifre relative alla
Campania. Nella nostra regione (dati aggiornati
al novembre 2008) si trovano 1.258 beni confiscati,
il 15% del totale nazionale. In questa fetta
di patrimonio ci sono 456 appartamenti, 299 terreni
agricoli, 110 locali generici, 96 ville, 82 fra
box, garage e autorimesse, 56 fabbricati,39 appezzamenti
con edifici rurali. E poi terreni edificabili
(31), case (13), capannoni (11), impianti
sportivi (11), posti auto (11), cantine (9), strutture
industriali (2), alberghi (1) e altri locali ancora
(31). Il Demanio gestisce quasi il 30% di
questi beni, che a loro volta presentano una o
più criticità che ne ostacolano la destinazione:
nella stragrande maggioranza dei casi si tratta
di strutture ipotecate o pignorate (45%) o di beni
occupati (32%), spesso dalle stesse famiglie
camorristiche. Gli immobili destinati ma non
consegnati (144) rappresentano l’11% del totale
(la maggior parte trasferiti ai comuni, il resto
mantenuti dallo Stato) mentre i beni consegnati
(756) sono il 60%. Un dato confortante, quest’ultimo,
se non fosse che più della metà delle strutture
consegnate ai comuni restano di fatto inutilizzate
perché gravate da imposte o ipoteche o
perché occupate: spesso queste criticità spingono
gli enti locali a rifiutare i beni confiscati, e le
procedure di destinazione si incagliano. Oltretutto,
quando non siano stati avviati o sia riconosciuta
la buona fede del creditore, accade
spesso che nelle procedure esecutive civili il bene
confiscato, pignorato prima del sequestro,
venga venduto all’asta con il pericolo che torni
nella disponibilità dei criminali. Un pericolo al
quale una modifica della legislativa, in discussione
alla Camera nell’ambito del cosiddetto pacchetto
sicurezza, dovrebbe porre un argine.

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Aziende in Lazio e Lombardia

Ma dove si trovano le case, le ville, i terreni,
insomma tutto ciò che i personaggi di «Mastro
don Gesualdo» di Giovanni Verga avrebbero definito
la «roba»? Nella relazione del commissariato,
sono un centinaio i comuni campani interessati
dalla confisca dei beni camorristi e alla
guida di questa speciale classifica c’è Giugliano,
roccaforte del clan Mallardo e crocevia dei Casalesi,
con 128 immobili confiscati (25 in gestione
al Demanio, 103 destinati e consegnati). Seguono
Castel Volturno (103 beni), Napoli (97), Marano
(83), Afragola (59), Casal di Principe (58), Teano
(43), Casoria (41), Sant’Antimo (34), Santa
Maria La Fossa (32). Nel Salernitano spicca Sarno
(27)mentre nel Beneventano è Melizzano (7)
il centro con più confische. Ma se la Campania
resta la seconda regione dopo la Sicilia per immobili
sottratti ai clan, gli esperti invitano a
guardare i numeri di altre due regioni (Lombardia
e Lazio) per capire dov’è finita una buona
parte dei flussi di denaro illegale delle famiglie
camorriste. Non è un caso che proprio Lombardia
e Lazio si trovino al terzo e quarto posto per
aziende confiscate alla criminalità, dopo Sicilia
e Campania ma davanti a Calabria e Puglia. Proprio
le imprese, se gestiste in maniera sapiente,
potrebbero trasformarsi in un’enorme opportunità:
posti di lavoro e flussi di denaro puliti, laddove
si produceva, invece, una parte della ricchezza
dei clan. Esperienze positive, in tal senso,
si registrano in Sicilia e Calabria mentre in
Campania si è ancora all’anno zero. Così come,
nella nostra regione, non ci sono produzioni
provenienti dai terreni agricoli gestiti dalle cooperative
di «Libera terra». Ma proprio tra qualche
giorno, il 19 marzo, sarà siglato il protocollo
d’intesa che prevede la nascita, in due terreni
confiscati a Cancello Arnone e Castel Volturno
de «Le terre di don Peppe Diana»: l’avvio delle
attività agricole, affidate ad una cooperativa sociale
che sarà costituita attraverso un avviso
pubblico aperto ai giovani del territorio, è previsto
per la fine dell’anno; fino a quella data il bene,
che necessita di adeguamenti strutturali, sarà presidiato dal «Comitato don Diana».35%
48,2%


Antonio Maruccia:
Condivido l’appello
di «Libera» perché
le banche rinuncino
alle ipoteche
sui beni confiscati.

Nominato durante il governo Prodi e riconfermato
con l’attuale, Antonio Maruccia
è il commissario straordinario per la gestione
e la destinazione dei beni confiscati alla
criminalità organizzata. Tocca al suo ufficio
mettere in comunicazione e ottimizzare il lavoro
di tutte le realtà che si occupano dei beni
sottratti ai clan.


Commissario, partiamo dai dati positivi:
nel 2008 il numero dei provvedimenti di destinazione
di beni confiscati alla criminalità
organizzata è aumentato di quasi il 70%
rispetto all’anno precedente.

«Sì, il 2008 è stato un anno di svolta. Abbiamo
avviato tante iniziative nelle istituzioni
e oggi molti cantieri sono aperti per un lavoro
che può portare concretamente lo Stato
e i cittadini a riprendersi in tempi ragionevoli
i beni e le aziende confiscate e ad utilizzarli
per le finalità sociali. La sfida non è di quelle
semplici, ma i 966 beni destinati durante l’anno
che si è chiuso e i 135 immobili liberati e
riconsegnati in Puglia, Sicilia, Calabria e
Campania fanno ben sperare».


Però nelle quattro regioni a tradizionale
presenza mafiosa, più della metà dei beni
consegnati ai comuni resta inutilizzata.
Perché questo?

«I motivi del mancato utilizzo dei beni da
parte dei comuni sono tanti. Ci sono le difficoltà
finanziarie: le strutture, nella migliore
delle ipotesi, vengono affidate agli enti locali
a diversi anni dal sequestro e i lavori di ristrutturazione,
spesso indispensabili, non
tutti i comuni possono permetterseli. Poi ci
sono le difficoltà ambientali e i problemi che
possono sorgere nel caso in cui i beni confiscati
siano ipotecati».


Altra nota dolente. Secondo i vostri dati,
oltre la metà dei beni in gestione al Demanio
è gravata dalle pretese di terzi.

«Sì, e il guaio sta nel fatto che questi beni
vengono destinati e consegnati ai comuni
con tutte le loro criticità e spesso gli enti locali
non sono in grado di fare fronte, da soli, al
pagamento delle pretese di banche o società
specializzate che hanno acquistato il credito.
Il rischio, manco a dirlo, è che gli immobili
vadano all’asta e se li riprendano gli stessi
mafiosi. La soluzione al problema potrebbe
trovarsi in appositi stanziamenti del bilancio
dello Stato ma i problemi di finanza pubblica
non rendono oggi praticabile questa ipotesi.
Sarebbe invece auspicabile che le banche rinunciassero
alle ipoteche, rispondendo all’appello
di Libera e don Ciotti e consentendo
in questo modo di poter utilizzare i tanti
beni confiscati alla criminalità che rischiano,
altrimenti, di tornare nelle mani dei clan».


Dal confronto dei beni immobili destinati
nell’ultimo anno, la Sicilia e la Calabria
sono davanti alla Campania, che invece precede
la Puglia. Significa che nelle prime
due regioni si è lavorato meglio?

«Significa che la criminalità organizzata
campana ha sviluppato, negli ultimi anni,
tecniche più raffinate di occultamento dei beni,
attraverso reti spesso fittissime di prestanomi.
E poi la camorra non investe solo nella
sua terra di origine».


Sempre più spesso, infatti, ai clan campani
vengono sequestrate aziende collocate
nelle regioni del Nord e del Centro. È
possibile tracciare un identikit di queste
imprese?

«I dati in nostro possesso ci dicono che la
forma giuridica più utilizzata è quella della
società a responsabilità limitata e che le mete
preferite sono il Lazio e la Lombardia, dove
le aziende confiscate superano quelle di
Calabria e Puglia. Per il resto, sappiamo che
la camorra è orientata verso realtà economicamente
floride e dove è più facile occultarsi.
I settori preferiti restano, comunque, quelli
della ristorazione, dei supermercati, dei negozi
e degli immobili per uso abitativo».

Ugo Ferrero

Corriere del mezzogiorno.it

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