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martedì, Giugno 25, 2024
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Clan Nuvoletta, scacco agli eredi: 24 arresti

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MARANO
– Scacco alle nuove leve del clan camorristico dei Nuvoletta: al termine di una operazione dei carabinieri e della Dia a Marano, sono state arrestate ventiquattro persone (su 33 ordinanze di custodia cautelare emesse), tra cui due penalisti, Vittorio Trupiano e Carmelo Donzelli. Camorra imprenditrice, con storici legami con Cosa Nostra, e interessi che vanno dagli appalti alla droga, dal riciclaggio al condizionamento della vita politica: così gli inquirenti descrivono le attività della cosca nella zona a nord di Napoli. In particolare, Trupiano è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, ipotesi di reato che fa riferimento alla candidatura alla Camera nel 2001. Secondo l’accusa, avrebbe chiesto e ottenuto l’appoggio del clan impegnandosi a battersi per l’abolizione del «41 bis».







di DARIO DEL PORTO




Un gruppo malavitoso «a spiccata vocazione imprenditoriale», capace di cambiare pelle e strategie pur di mettersi al passo con i tempi. Una cosca disposta a tutto pur di troncare la collaborazione con la giustizia del suo primo, e unico, pentito; e pronta a condizionare la vita politica ed economica del territorio. È la fotografia scattata dagli investigatori napoletani alla nuova generazione del clan Nuvoletta di Marano, una delle cosche storiche della camorra, coinvolta nell’omicidio di Giancarlo Siani e legata a doppio filo con Cosa nostra siciliana. L’inchiesta coordinata dal pm della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Borrelli e condotta dai carabinieri (il comando provinciale diretto dal colonnello Vincenzo Giuliani, il reparto operativo guidato dal tenente colonnello Luigi Sementa) e dalla Dia (guidata da Girolamo Lanzellotto) è sfociata nella emissione di 33 ordinanze di custodia cautelare, 24 delle quali eseguite. I provvedimenti sono firmati dal gip Giovanna Ceppaluni. In carcere sono finiti anche due avvocati: Vittorio Trupiano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, e Carmelo Donzelli, indagato di favoreggiamento aggravato.
Gli affari. Nel caso del clan Nuvoletta, secondo la procura, si può parlare di «mafia imprenditoriale» che ha via via abbandonato i metodi tradizionali per tuffarsi in attività diversificate e più redditizie. Agli atti si fa riferimento, ad esempio, a «estorsioni realizzate attraverso la vendita dei panettoni». Sì, proprio il dolce natalizio. Esponenti del clan, si legge nel comunicato diffuso dalla procura, avrebbero imposto in occasione delle festività natalizie «il collocamento sul mercato» di prodotti di una nota ditta del settore. Il pentito Salvatore Izzo riferisce della imposizione ai commercianti, sotto Natale, di spumante e panettoni a prezzo notevolmente maggiorato. E anche il campo della distribuzione del latte, evidenziano gli inquirenti, «è stato di fatto monopolizzato dai Nuvoletta che attraverso prestanome compiacenti hanno svolto attività di collocazione sul mercato di prodotti» di un’azienda di livello nazionale. Ma non basta. Imprese ritenute «direttamente collegate» ad alcuni indagati, Armando Orlando e Giuseppe Felaco, hanno proceduto alla realizzazione «di un intero circuito turistico» a Tenerife, in Spagna.
La politica. A parte la posizione dell’avvocato Trupiano, in molte pagine dell’inchiesta si parla dei tentativi posti in essere dal clan per influenzare la vita politica locale. Nel 1997, ad esempio, si sarebbe verificato «un palese tentativo di condizionare» le elezioni al Comune di Marano nell’obiettivo di «ottenere lo sblocco di alcune lottizzazioni su aree» controllate dalla cosca. E in questo contesto si inserisce, secondo i magistrati, il pestaggio avvenuto il 1 giugno del ’97 ai danni del consigliere comunale Perrotta. L’episodio fu mascherato da lite per motivi di viabilità, ma alla base dell’aggressione ci sarebbe la posizione assunta in Consiglio dalla vittima contro lo sblocco delle lottizzazioni.
Le complicità. Un diverso filone dell’indagine ha riguardato il sospetto di collusioni con appartenti alla polizia di Stato. Ma sono stati anche intercettati numerosi tentativi per bloccare sul nascere la collaborazione con la giustizia di Massimo Tipaldi. Prima negli ambienti del carcere (e per un separato capitolo dell’inchiesta è stata presenta richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di un medico in passato in servizio a Poggioreale) poi attraverso l’attività di cui si sarebbe reso responsabile l’avvocato Carmelo Donzelli.
La struttura. Secondo gli inquirenti il clan Nuvoletta è diviso in «strutture rigidamente compartimentate che hanno come unico momento di collegamento» quello di vertice, rappresentato «dall’indiscusso capo, Angelo Nuvoletta», arrestato nel 2001 dopo una lunga latitanza e condannato all’ergastolo per l’omicidio Siani. Un primo ramo dell’organizzazione sarebbe stato guidato da un cugino del boss, Angelo Nuvoletto, deceduto nel 2000, e successivamente da Giovanni Nuvoletta, figlio di Ciro, ucciso nel 1983. Il secondo ramo sarebbe invece operante nella zona dei Carrisi.
La mafia. Già Giovanni Falcone si era occupato dei collegamenti tra Cosa nostra siciliana e il clan Nuvoletta. Ora ci sono anche le dichiarazioni del pentito di mafia Giovanni Brusca, che ha riferito di essersi occupato personalmente di sciogliere nell’acido, nella masseria dei Nuvoletta a Marano, i cadaveri di Vittorio e Luigi Vastarella, Gennaro Salvi, Gaetano Di Costanzo e Antonio Mauriello. Per questo delitto sono ora indagati Angelo Nuvoletta e Luigi Baccante.



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LE REAZIONI DA MARANO



di ANTONIO POZIELLO




La notizia del duro colpo al clan trova la città quasi indifferente. Terra di camorra, si diceva di Marano. Qui, quello dei Nuvoletta è stato un cognome da non pronunciarsi invano. Ieri, invece, il clan che aveva legato il proprio nome alla città, fino a divenirne il simbolo – negativo, ma pur sempre un simbolo – non solo non faceva più paura, ma nemmeno destava più di tanto attenzione. A significare che una pagina è stata finalmente voltata, lasciandosi alle spalle un passato di commistioni, infiltrazioni, dando prova di una voglia di normalità che trasuda da ogni gesto.
Lo dicono, del resto e senza troppi timori, i ragazzi del Consorzio delle scuole anticamorra, quelli che proprio in questi giorni sono impegnati nell’organizzazione del «Marano spot festival», la rassegna di pubblicità sociale rivolta agli studenti di tutta Italia. Quei ragazzi che il sindaco Mauro Bertini definisce «portatori sani della legalità», assegnandogli il non facile compito di «riscattare le ingiustizie che la nostra comunità è stata per anni costretta a subire». Bertini, che ha sempre sostenuto di non essere un sindaco anticamorra ma «sindaco nonostante la camorra», ha poi sottolineato l’impegno per la legalità dell’Amministrazione comunale, che nei giorni scorsi ha trasformato le case sequestrate ai palazzinari in case popolari da assegnare ai senzatetto, sottoscritto il protocollo per la trasparenza sugli appalti e aderito al Consorzio di Comuni per l’uso dei beni confiscati a mafia e camorra. «La Marano della camorra è un ricordo lontano e sbiadito», commenta Rosario Duonno, presidente del Consorzio delle scuole per la legalità contro la camorra e tra gli organizzatori dello Spot Festival.
«La storia recente di questa città è fatta non di uno, ma di centinaia di atti che testimoniano di una volontà di riscatto. I nostri ragazzi – continua – hanno saputo essere ambasciatori in tutta Italia, con il loro festival, di una città civile, democratica ed anticamorra. E questo è qualcosa che nessun camorrista potrà mai portarci via, mai più». La pensa così anche il capogruppo di Rifondazione in consiglio comunale ed assessore provinciale alle politiche del lavoro, Corrado Gabriele. «Lo sforzo dei carabinieri e della magistratura – afferma – merita sicuramente il generale ringraziamento e plauso. Ritengo, però, che forse meriti eguale, se non maggiore, plauso anche l’azione di quanti da anni, in questa ex terra di camorra, sono impegnati a promuovere e diffondere la cultura della democrazia e della legalità». Sostegno all’azione della magistratura viene dal senatore Tommaso Sodano, della Commissione Antimafia, che sottolinea l’importanza dell’esperienza Bertini «che rappresenta un esempio unico di riappropriazione del territorio e di contrasto alla criminalità organizzata». Sodano polemizza poi con quei parlamentari che da tempo chiedono lo scioglimento del Consiglio di Marano per infiltrazioni camorristiche. «La camorra e la famiglia Nuvoletta, come emerge dalle indagini – afferma il parlamentare dell’Antimafia – hanno avversato in ogni modo la rielezione di Bertini, convogliando voti sul suo avversario, per rimettere le mani sulla città. Le indagini della Dda finalmente fanno chiarezza delle strumentalizzazioni, ribadendo ciò che non necessitava di essere ribadito: ovvero chi sta con la camorra e chi no».
Mercoledì 22 Ottobre 2003

«Io, candidato estraneo alla vicenda»
Giuseppe Spinosa, quarantacinquenne imprenditore agricolo e professionista maranese, candidato sindaco alle elezioni amministrative del 2001, è intervenuto ieri con una nota nella quale afferma di essere «totalmente estraneo» ai fatti al centro dell’inchiesta sfociata negli arresti eseguiti ieri mattina dai carabinieri e dalla Direzione investigativa antimafia. «La mia candidatura a sindaco – dice Spinosa – e la mia attività politica sul territorio non hanno nulla a che vedere con i clan e la malavita organizzata locle, anzi tutta la mia campagna elettorale e l’attività politica successicva mi ha visto sempre contrapposto al malaffare in nome della legalità». Spinosa lamenta inoltre «una vera e propria strumentalizzazione della mia persona da parte della stampa per motivare manovre in seno alla giunta che gestisce Marano».






«Patto elettorale con i boss contro il 41 bis»




di DARIO DEL PORTO


Il 41 bis era la loro ossessione. L’abrogazione della norma sul carcere duro costituiva per il clan Nuvoletta un vero e proprio chiodo fisso. E questo atteggiamento, evidenzia il giudice Giovanna Ceppaluni nella sua ordinanza cautelare, appare «coerente» con la capacità della disposizione legislativa di escludere i boss dalla «catena di comando» delle organizzazioni malavitose. Su questo terreno, secondo gli inquirenti napoletani, si sarebbero incontrati gli interessi degli uomini della cosca maranese e dell’avvocato Vittorio Trupiano, promotore fra l’altro di un referendum per l’abolizione del 41 bis e candidato alla Camera (senza successo) alle elezioni del 2001 nelle file della Fiamma tricolore.
Dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, il penalista potrà ora difendersi nelle prossime fasi del procedimento, a cominciare dall’interrogatorio «di garanzia» che si svolgerà davanti al gip. In questo momento però è importante capire su quali basi sia articolato questo capitolo dell’inchiesta che prova ad aprire uno spaccato nei rapporti tra camorra e politica nel comune a Nord di Napoli. Dalle intercettazioni telefoniche effettuate dagli investigatori emerge, a giudizio dell’accusa, un «massiccio intervento» del clan sia per raccogliere le firme a sostegno del referendum sull’abolizione del 41 bis sia per appoggiare la candidatura di Trupiano alla Camera.
«È del tutto evidente – spiega la procura nel comunicato diffuso per illustrare i dettagli dell’operazione – che non è stata ritenuta penalmente censurabile la linea politica scelta dall’avvocato». Il nodo, ad avviso degli inquirenti, sta nel fatto che questa linea politica avrebbe «formato oggetto di preventiva pattuizione con esponenti del clan». Fra questi, due condannati in via definitiva per l’omicidio del cronista del Mattino Giancarlo Siani: Luigi Baccante, sottoposto al 41 bis dal marzo 2001, e Gaetano Iacolare, i cui nomi compaiono in diverse intercettazioni, ad esempio nella conversazione durante la quale un indagato chiede di sostenere Trupiano e si augura che l’avvocato possa ottenere molti voti a Marano per poter «fare bella figura con Gaetaniello e Maurizio», identificati dagli investigatori proprio in Iacolare e Baccante.
Ma l’inchiesta prende in esame anche le elezioni amministrative svoltesi sempre nel 2001 a Marano. La procura ritiene che dalle intercettazioni sia scaturito «l’impegno intenso profuso dal clan Nuvoletta nelle elezioni del 2001 e l’appoggio offerto – scrivono i pm nella nota diffusa per illustrare i dettagli dell’operazione – a un candidato in antagonismo con l’ex sindaco Mauro Bertini». Il candidato in questione è Giuseppe Spinosa, nei cui confronti comunque gli elementi raccolti non sono stati ritenuti dal giudice sufficienti a giustificare l’emissione di un provvedimento restrittivo. Spinosa nega con energia le accuse e in una dichiarazione ufficiale (che pubblichiamo integralmente nella pagina a fianco) ribadisce che la sua attività politica e la sua candidatura a sindaco «non hanno nulla a che vedere con i clan e la malavita organizzata».
Al di là delle singole posizioni, sulle quali solo nel prosieguo del procedimento si potranno trarre giudizi definitivi, resta il dato di fatto di un gruppo malavitoso capace, stando a quanto raccolto dagli inquirenti, di veicolare non solo le preferenze dei singoli affiliati ma anche di «tutti coloro che vivevano sotto la protezione o all’ombra dell’organizzazione» o addirittura di altre fazioni camorristiche, come il clan Polverino.




Brusca e le stragi di mafia del ’93



«Chiedemmo aiuto alla camorra»
La mafia chiese aiuto al clan Nuvoletta per portare a compimento la stagione delle stragi culminata nelle bombe del 1993. È quanto hanno riferito ai magistrati del pool anticamorra della procura di Napoli i pentiti siciliani Giovanni Brusca e Vincenzo Sinacori. La camorra però non avrebbe fornito alcun apporto concreto alla strategia messa in piedi da Cosa nostra. Interrogato nel dicembre del 1999, Sinacori racconta di aver incontrato tra la fine del ’91 e l’inizio del ’92 alcuni esponenti di primo piano della cosca maranese.
In quel periodo, afferma il collaboratore della giustizia, «Cosa nostra stava organizzando un attentato al noto presentatore televisivo Maurizio Costanzo». Totò Riina, sostiene Sinacori, «disse che per un eventuale ausilio in Roma avremmo potuto contare sull’appoggio della famiglia Nuvoletta». Successivamente, proprio nella capitale, due appartenenti al gruppo camorristico avrebbero raggiunto Sinacori e dato inizio alla fase preliminare dell’attentato pedinando il giornalista. «Poi venne l’ordine da Palermo che non bisognava più effettuare l’attentato», dice il malavitoso siciliano. In realtà, Maurizio Costanzo sarebbe miracolosamente scampato all’autobomba esplosa il 14 maggio del 1993 in via Fauro a Roma. Secondo Giovanni Brusca, invece, le cose andarono diversamente. L’ex capoclan di San Giuseppe Jato, l’uomo che schiacciò il telecomando sull’autostrada di Capaci per uccidere il giudice Giovanni Falcone, spiega di conoscere i Nuvoletta e di aver ucciso assieme a loro.
Il pentito sostiene di aver incontrato per l’ultima volta Angelo Nuvoletta nel 1991 «per chiedere il suo aiuto per ”aggiustare”» il maxiprocesso originato dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta e all’epoca pendente in Cassazione. Il tentativo, chiarisce Brusca, non ebbe alcun esito. Brusca però aggiunge di aver discusso nel 1995 con il boss mafioso Matteo Messina Denaro delle «stragi sul continente» e di aver appreso da lui che questi aveva contattato i Nuvoletta per ottenerne l’appoggio. I maranesi però, prosegue Brusca, «si erano tirati indietro».
d.d.p.






Nelle intercettazioni anche il nome di Siani




«Tu quando uccidi un Siani…»: è il passaggio di una delle intercettazioni allegate agli atti dell’inchiesta sul clan Nuvoletta. Gli interlocutori ipotizzano che al delitto del giornalista del Mattino (ucciso il 23 settembre ’85) abbiano partecipato altre due persone oltre a quelle condannate con via definitiva. Allo stato non ci sono comunque nuovi indagati. Per il delitto sono definitivi 4 ergastoli, inflitti ad Angelo Nuvoletta, Luigi Baccante, Armando Del Core e Ciro Cappuccio, e due condanne a 28 anni, comminate a Gabriele Donnarumma, cognato di Valentino Gionta, e Gaetano Iacolare. Manca il verdetto dalla Cassazione sull’ergastolo inflitto in appello a Valentino Gionta.



IL PERSONAGGIO / 1


Vittorio Trupiano, venticinque anni in toga
Avvocato rampante, già sospeso dall’Ordine





Quando gli hanno detto che era in arresto, l’avvocato Vittorio Trupiano si è portato la mano al petto: un lieve malore che però non ha impedito l’esecuzione dell’ordinanza cautelare emessa per concorso in associazione camorristica. Napoletano, 51 anni, in toga dal 1978, Trupiano ha acquisito grande notorietà negli ultimi anni per le sue posizioni assunte contro il l’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario e per la difesa di esponenti di primo piano della malavita organizzata.
Alcuni anni fa, comparvero nelle strade anche scritte sui muri inneggianti all’attività del penalista, definitosi spesso uno specialista nei ricorsi davanti alla Corte europea di Strasburgo. Più volte però in questi anni i comportamenti di Trupiano erano stati ritenuti troppo spregiudicati dai colleghi e da alcuni magistrati, al punto che la posizione del penalista era finita anche al vaglio dell’Ordine forense. La sezione disciplinare ne aveva disposto la sospensione dall’esercizio della professione per un anno e sei mesi, sanzione pesante, ma non ancora esecutiva perché impugnabile davanti al Consiglio nazionale forense.
Il procedimento riguardava due episodi: una sospetta calunnia nei confronti di alcuni magistrati napoletani e un’azione ritenuta scorretta nei confronti di un altro avvocato. Di recente, Trupiano aveva fatto parlare di sé per la richiesta di revisione del processo per l’omicidio del piccolo Nunzio Pandolfi, ucciso dalla camorra a 2 anni nel maggio del 1991. L’ultima udienza alla quale ha partecipato prima dell’arresto di ieri mattina si era svolta lunedì a Palazzo di Giustizia e riguardava un processo ad alcuni presunti affiliati alla camorra del Vomero. Al momento della notifica dell’ordinanza cautelare, Vittorio Trupiano ha nominato come difensori l’avvocato Antonio Briganti, che è anche presidente della Camera penale di Napoli, e l’avvocato Sergio Simpatico. Quest’ultimo ha diffuso ieri sera una dichiarazione nella quale definisce «evanescenti» le accuse. «All’epoca delle elezioni del 2001 – afferma Simpatico – l’avvocato Trupiano non era il difensore di Angelo Nuvoletta, né era sottoposta al 41 bis e lo stesso dicasi per Gaetano Iacolare che non è sottoposto neanche attualmente al regime del carcere duro».





IL PERSONAGGIO / 2


Carmelo Donzelli, quel fax
per condizionare il pentito





Napoletano, cinquantasette anni, avvocato dal 1980, Carmelo Donzelli è indagato di favoreggiamento aggravato dalla finalità mafiosa. La sua posizione è finita all’attenzione degli investigatori nel filone riguardante i tentativi posti in essere per troncare sul nascere la collaborazione con la giustizia di Massimo Tipaldi, primo e unico pentito del clan Nuvoletta.
L’avvocato Donzelli è accusato di aver inviato dal suo studio un telegramma a Tipaldi «falsamente firmandosi» come il fratello del collaboratore di giustizia con l’obiettivo di «farsi nominare difensore» dell’uomo che aveva appena iniziato a rendere dichiarazioni agli inquirenti.
Sin dall’interrogatorio, che dovrebbe svolgersi alla fine della settimana, il penalista potrà replicare a questa accusa. Donzelli ha nominato come suoi difensori il presidente della Camera penale Antonio Briganti e l’avvocato Michele Cerabona.

Mercoledì 22 Ottobre 2003

La norma varata dopo la tragica estate siciliana
L’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario, nel suo secondo comma, disciplina il regime di carcere duro per le persone accusate di associazione di stampo mafioso o camorristico. Si tratta di una disposizione introdotta nel 1992, nel decreto Scotti-Martelli emanato sull’onda dell’emozione suscitata dalle stragi palermitane di Capaci e via D’Amelio. Inizialmente varato come regime transitorio, è divenuto definitivo nella legislatura in corso. La norma prevede fra l’altro forti restrizioni nel numero dei colloqui, e limitazioni nella fruizione di alcune opportunità come l’ora d’aria.





IL MATTINO – edizione nazionale – pag. 8 e 9

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