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MASSACRO CONTINUO, NEL MIRINO GLI INNOCENTI
“Il Mattino” del 22 novembre 2004

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NAPOLI. È guerra totale per la droga. La camorra torna a colpire e lo fa per due volte nella stessa giornata, in periferia e in città: intorno a mezzogiorno, in un’autorimessa di Mugnano, è stato ucciso un incensurato di 34 anni, Biagio Migliaccio. Sei ore più tardi, in piazza Ottocalli a Napoli, proprio nei pressi del commissariato appena inaugurato alla presenza del capo della polizia, è stato assassinato un uomo di 56 anni, Gennaro Emolo. I due agguati, almeno alla prima lettura degli investigatori, sembrano uniti da un unico filo, quello che riconduce allo scontro tra bande in atto nell’area di Scampia per conquistare la supremazia nel mercato degli stupefacenti. E dalle indagini emerge anche un’altra ipotesi: entrambe le vittime potrebbero aver pagato con la vita un rapporto di parentela. Si tratterebbe cioé di vendette trasversali dirette a colpire i bersagli più facilmente raggiungibili, persone estranee alle dinamiche criminali poste alla base dello scontro che ha portato l’emergenza camorra all’attenzione nazionale. Riepiloghiamo, allora. Biagio Migliaccio, 34 anni, incensurato, figlio del titolare di un’autorimessa che si trova sul tratto di Mugnano della Circumvallazione, viene affrontato dai killer, giunti a bordo di due moto, sulla soglia del piccolo ufficio, circondato dalle auto in esposizione. I sicari, con il volto coperto dai caschi, fanno segno a un dipendente dell’autorimessa e al padre della vittima, Giuseppe Migliaccio, di spostarsi. Quindi cominciano a sparare e poco dopo si allontanano. Il genitore della vittima prova a prestare i primi, inutili, soccorsi al figlio. I poliziotti del commissariato di Giugliano, diretto dal vicequestore Maurizio Fiorillo, lo trovano in lacrime, inginocchiato accanto al corpo del figlio. Biagio Migliaccio, conosciuto come un lavoratore lontano dagli ambienti malavitosi, potrebbe aver pagato con la vita la parentela con uno zio, Giacomo Migliaccio, attualmente libero ma irreperibile, al quale fa riferimento un ex pentito, Giovanni Migliaccio (solo omonimo) come persona vicina al gruppo Di Girolamo e, attraverso di esso, al clan ritenuto capeggiato dal latitante Paolo Di Lauro, soprannominato «Ciruzzo o’ milionario». Le dichiarazioni dell’ex collaboratore sono agli atti del processo tuttora in corso davanti alla quarta sezione penale del Tribunale. Sei ore più tardi, nella centralissima piazza Ottocalli, nel cuore di Napoli, a un tiro di schioppo dalla nuova sede del commissariato San Carlo all’Arena inaugurato dal capo della polizia Gianni De Gennaro in persona, sotto i colpi dei sicari viene freddato Gennaro Emolo, vecchi precedenti penali per contrabbando che sbarcava il lunario come venditore ambulante di frutta e caldarroste. Gli sparano mirando alla testa, due volte, e poi in altre parti del corpo, sotto gli occhi di decine di passanti terrorizzati. Un omicidio a prima vista incomprensibile. Ma dagli archivi, anche in questo caso, spunta un possibile collegamento con la faida di Scampia: Emolo risulta residente in via Limitone d’Arzano, a Secondigliano e un suo familiare è sospettato di spacciare droga in una delle «piazze» che rientrano nell’area oggi attraversata dalla guerra fra bande. Ancora una volta dunque, e per giunta nella stessa giornata, la camorra avrebbe colpito l’obiettivo più indifeso, segno di una escalation criminale che non sembra arrestarsi neppure dinanzi alla oggettiva pressione delle forze dell’ordine. Sono le ipotesi della prima ora, che dovranno passare al vaglio degli investigatori e del pm del pool anticamorra Giovanni Corona, che indaga sulle cosche di Secondigliano. Ma dopo alcuni giorni di calma apparente, la tensione sale ancora.


DARIO DEL PORTO

MARCO DI CATERINO



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Quattro morti, la camorra vuole il massacro



Strage continua, riesplode più violenta che mai l’emergenza criminalità a Napoli. Sabato due esecuzioni. E ieri altri tre agguati con quattro morti: due vittime in una tabaccheria a Melito; un uomo prima ucciso a pistolettate e poi dato alle fiamme tra Secondigliano e Casavatore; e in nottata un’altra esecuzione, a Secondigliano. Nella macabra sfida, che si consuma all’interno di un solo gruppo criminale, si gioca al rialzo. È scontro su chi deve comandare. Mattanza continua, dunque, con un ulteriore messaggio: la sfida allo Stato, che subito ha cercato di dare risposte anche con la pressante presenza su un territorio in quotidiana emergenza. Ecco la cronaca di un’altra giornata ad alta tensione. Due agguati, il primo, un duplice delitto nel comune di Melito, di fronte alla locale caserma dei carabinieri: uccisi il proprietario di una tabaccheria, Domenico Riccio, e un suo amico, Salvatore Gagliardi. Il secondo, invece, diviso in due fasi tra Secondigliano e Casavatore, in un quartiere completamente «cinturato» dai carabinieri dopo le pistolettate contro i quattro marescialli dell’Arma: Francesco Tortora, prima ferito mortalmente e poi carbonizzato. I killer portano a termine la sentenza di morte e poi bruciano il cadavere. E in nottata in viale Agrelli, a Secondigliano, un altro morto ammazzato e poi carbonizzato. Il raid di Melito alle 10: l’unica tabaccheria di tutta la zona è frequentata anche dai carabinieri. Il rischio per i sicari è notevole. Ma agiscono incuranti del pericolo. In via Salvatore Di Giacomo, Domenico Riccio, 49 anni, è nel suo negozio. Con lui c’è Salvatore Gagliardi, 57 anni, rione Don Guanella. Sono amici. La domenica non c’è l’andirivieni degli altri giorni. Entrano due giovani con le pistole in pugno. Sparano, non meno di dodici volte, come testimonieranno i bossoli raccolti dai carabinieri del nucleo indagini scientifiche del comando provinciale. All’arrivo dei primi soccorritori solo Gagliardi dà ancora segni di vita. La corsa verso l’ospedale si rivelerà inutile. Riccio giace dietro al bancone. Il tam-tam è immediato: dinanzi alla tabaccheria si radunano numerosi parenti di Riccio, i figli presi dalla disperazione. La tabaccheria è dotata del dispositivo «secur-shop», registra tutte le persone che entrano nel negozio. Sequestrata l’apparecchiatura: forse custodisce immagini preziose. Chi era il vero obiettivo? Inizialmente si pensa a Gagliardi. Poi si apprende che per Riccio, tempo fa, la Procura aveva chiesto l’emissione di un provvedimento restrittivo per riciclaggio rigettato dal gip. In udienza preliminare è arrivato il proscioglimento dall’accusa. Nella successione temporale a Secondigliano – sulle linee di confine tra il capoluogo, Arzano e Casavatore – si muove il commando che ha l’ordine di eliminare Francesco Tortora, 62 anni: abitava alla Corte delle Rose, il cosiddetto Terzo Mondo. Nessun precedente, eccetto una denuncia per favoreggiamento vecchia di vent’anni. È nel parcheggio privato di via dei Tessitori di seta, traversa di via Limitone di Arzano. Alle 10,50 arrivano i killer. Francesco Tortora appoggiato a una Ford Ka, sta leggendo un giornale: scendono dall’auto, gli sparano. L’uomo cade ferito a morte, sotto gli occhi terrorizzati del proprietario del parcheggio. I killer trascinano Tortora, lo caricano sulla Ford e spariscono. Poco dopo la stessa auto in fiamme verrà ritrovata a Casavatore. Dentro, avvolto dalle fiamme, il cadavere di Tortora. E verso mezzanotte una telefonata ai vigili del fuoco. In viale privato Agrelli – tra via di Miano e corso Secondigliano – c’era un’auto, una Fiat 600, che bruciava: dentro, il corpo di un uomo. Sul posto anche carabinieri e polizia. L’agguato è avvenuto a poca distanza in linea d’aria da dove sabato fu ucciso il venditore ambulante, Gennaro Emolo. Un altro omicidio collegabile alla faida per la droga. Fino tarda notte la vittima ancora non era stata identificata.

MAURIZIO CERINO



Battaglia per la droga, fuga da Scampia


La piazza non è più la stessa. Si continua a vendere droga, beninteso, ma la guerra di camorra di questi mesi sta modificando le abitudini dei protagonisti del tessuto illegale di Scampia e di tutta l’area conosciuta con l’abusato appellativo di «supermarket dello spaccio». Chi sa di poter finire nel mirino fa di tutto per non farsi vedere o sentire. Scappa, se può. Altrimenti limita al massimo i propri spostamenti, tenendosi il più possibile al coperto. I «perdenti» poi hanno smesso da tempo di vendere la loro «merce». Ma questo non è sufficiente a far tacere le pistole, anzi se possibile rende ancor poù feroce lo scontro. Soprattutto, trascina nell’occhio del ciclone, spesso fino alla morte, soggetti incensurati, spesso estranei agli ambienti criminali, talvolta «colpevoli» solo per una parentela o per una frequentazione occasionale. Una tendenza allarmante che già era stava evidenziata nei giorni scorsi e ora viene ribadita con forza anche, se saranno confermati i sospetti avanzati dagli investigatori, dagli omicidi delle ultime ore. Già il 2 novembre scorso, quando fu assassinato l’incensurato Massino Galdiero, di 33 anni, parcheggiatore del supermercato «Auchan» di Mugnano, si ipotizzò che l’uomo non fosse il vero obiettivo dell’agguato: nessun precedente penale, nessuna amicizia pericolosa. Solo una parentela «scomoda» con un presunto malavitoso. Proprio come le vittime dei due agguati di ieri. Esattamente lo stesso copione, dunque. Dal quale traspare una volontà di colpire ovunque e comunque, al di là dell’effettivo coinvolgimento della vittima, al solo scopo di lanciare un segnale allo schieramento contrapposto. Dovranno essere le indagini coordinate dal pm del pool anticamorra Giovanni Corona, adesso, a vagliare questa ipotesi che si fa strada con sempre maggiore insistenza negli ambienti investigativi. La cronaca di questi giorni, segnata dalla violenta faida per il controllo della piazza degli stupefacenti, si arricchisce però un nuovo capitolo che si affianca agli altri delitti di questa furibonda guerra. Su un punto gli investigatori sembrano concordi: in questo momento le forze sul campo non sono ancora definite, le fazioni si stanno componendo e ricomponendo a ritmo forsennato per cui è difficile individuare con precisione l’organigramma degli schieramenti contrapposti. Resta lo scalpore per la scia di sangue che sembra non arrestarsi mai e per una spirale di violenza che non risparmia vittime innocenti.





Eroina tagliata male, in un giorno venti overdose


La media, a Scampia, è di un paio di overdose al giorno. Il personale delle ambulanze sa bene quali sono gli orari critici e in base a quelli si tiene pronto all’intervento: la prima segnalazione arriva sempre intorno alle 12, la seconda verso le 19. «Nulla di strano – è il commento degli addetti ai lavori – da quelle parti succede sempre. È la piazza della droga». Ma a volte i numeri cambiano, le percentuali cominciano a impazzire. Come sta accadendo da qualche giorno. Ieri mattina un pregiudicato di quarant’anni, nato in Basilicata e residente a Roma, è stato trovato morto nel parcheggio della metropolitana in via Zuccarini. Nel pomeriggio, alla centrale operativa del 118, continuavano ad arrivare richieste di soccorso, sempre dalla stessa area, e sempre per questioni legate alla tossicodipendenza. Il picco si era registrato martedì mattina. Venti overdose in tre ore (nessuna, per fortuna, con esito mortale) nel triangolo via Bakù-via Labriola-viale della Resistenza, tanto che si è reso necessario tenere fisso in zona un mezzo di soccorso. Cosa sta succedendo? I medici impegnati nel quartiere ritengono probabile che sia stata immessa sul mercato una partita di stupefacenti troppo pura o tagliata male. Accade a cicli e accade, molto spesso, quando sul territorio cominciano a variare certi equilibri. A Scampia, oggi, gestire il business è più difficile del solito. Il quartiere è sotto pressione: da un lato le forze dell’ordine, che lo stringe d’assedio; dall’altro la guerra di camorra, che lo mina dall’interno. Terreno fragile, nelle cui pieghe può facilmente trovare spazio la droga-killer. «L’escalation del fenomeno ci preoccupa – commenta il dottore Angelo Perniciaro, coordinatore della centrale operativa 118 – non sono in grado di specificare quale sia il tipo di sostanza assunta dai pazienti, perché noi provvediamo soltanto al primo soccorso in emergenza e non sempre il nostro interlocutore, quando comincia a star meglio, è disponibile a darci altre informazioni». Come vi comportate, in questi casi? «La droga blocca i recettori e, in caso di overdose, agisce sul muscolo diaframmatico mettendo a rischio la respirazione. Di solito somministriamo il Narcan, ma si può usare anche il bicarbonato». Agire con tempestività è indispensabile. Non sempre, però, è possibile agire in condizioni di tranquillità e di assoluta sicurezza. «Stiamo parlando di un quartiere molto difficile – continua Perniciano – quando si sono verificati gli ultimi fatti di sangue il personale delle nostre ambulanze è stato oggetto di aggressione. Medici e infermieri cominciano ad aver paura». Tanto da rifiutarsi di prestare soccorso nella zona? «Tirarsi indietro non si deve e non si può, verrebbe meno il senso del nostro mestiere. Ma è evidente che non si può andare avanti all’infinito in questo clima di tensione. Anche dare assistenza ai tossicodipendenti in overdose è diventato un compito difficile. Molti vanno a bucarsi in una palazzina abbandonata del quadrivio di Secondigliano: un rudere a rischio crollo, i muri pieni di crepe, il tetto che dà l’impressione di venir giù da un momento all’altro, nel quale non si può entrare senza l’aiuto dei vigili del fuoco».


PAOLA PEREZ






Ogni giorno 500mila euro gli affari della supercosca



Tutto questo baccano di sicuro non gli fa piacere. Negli anni, Paolo Di Lauro ha fatto di tutto per restare nell’ombra, al punto che alcuni pentiti riferiscono di non averlo mai visto neppure in faccia. Latitante dal 2002, mai condannato per associazione mafiosa, conosciuto con l’appello di «Ciruzzo ’o milionario», Di Lauro vede ora il suo nome quotidianamente accostato alle notizie di morte provenienti dalla periferia settentrionale di Napoli. E dunque diventa inevitabile provare a capirci di più su questa organizzazione delineata dagli investigatori come assai ramificata, capace di intascare con gli stupefacenti qualcosa come 500mila euro al giorno. Una macchina da soldi il cui ingranaggio si è inceppato e attorno alla quale qualcuno scalpita nell’intento di subentrare al suo storico comandante. Su ciò che sta accadendo a Scampia e dintorni è chiaro solo il punto di partenza: è in atto una guerra all’interno del clan per il controllo del mercato della droga. Ma l’organigramma delle fazioni in lotta non è definito: proprio in questo momento, e a suon di omicidi, i gruppi si stanno formando e vengono strette alleanze. Dunque l’unico punto di riferimento resta l’inchiesta del pm Giovanni Corona sfociata nel processo tuttora in corso davanti alla quarta sezione penale. Prima che la faida sconvolgesse gli equilibri, la cosca era strutturata, secondo gli inquirenti, su quattro «livelli operativi» diretti a gestire nel modo migliore il commercio di sostanze stupefacenti: il primo composto dai promotori dell’associazione, il secondo dagli affiliati deputati a trattare l’acquisto e il confezionamento della droga, il terzo dai «capi piazza», incaricati di controllare l’andamento degli affari, l’ultimo livello rappresentato dagli spacciatori. La faida degli ultimi giorni ha modificato profondamente i due piani più bassi della piramide, facendo sì che alcuni spacciatori e «capi piazza» venissero uccisi o comunque estromessi dall’affare. Anche la composizione dei gruppi di fuoco si starebbe modificando, si parla addirittura dell’impiego di killer albanesi. Ma appare assai probabile che le scosse telluriche di questi mesi stiano scuotendo anche i vertici dell’organizzazione e con essa i suoi capi. Paolo Di Lauro, assicura l’ultimo pentito ad averne parlato, l’ex padrino di Forcella Luigi Giuliano, va considerato un boss a tutti gli effetti, nonostante una fedina penale quasi immune da pregiudizi. Ma da tempo è lontano dal territorio. Si sospetta che, durante la sua perdurante latitanza, sul campo sia rimasto a rappresentarlo qualcuno a lui molto vicino ma forse non dotato dello stesso carisma criminale. Altri presunti capi sono in cella. Come uno dei figli di «Ciruzzo», Vincenzo, di 29 anni, arrestato agli inizi di aprile a Chivasso, in provincia di Torino, dove si nascondeva in una mansarda. E come il cognato di Di Lauro, Enrico D’Avanzo, di 45 anni, sorpreso nel gennaio del 2003 a Terracina, in un residence dove si rifugiava portando con sé numerosi telefonini e molto contante. Questi due arresti, uniti alla lunga fuga del «Milionario», potrebbero aver dato la stura alla fibrillazione sfociata nella catena di omicidi di questo ultimo periodo. Qualcuno potrebbe aver messo in discussione la leadership storica, scatenando la guerra. d.d.p.




IL MTTINO 22 NOVEMBRE 2004

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