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venerdì, Marzo 29, 2024
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LA DROGA DEI «DISPERATI», ECCO L’ULTIMO BUSINESS DELLA CAMORRA
Il «cobret», ottenuto con l’eroina tagliata, invade i Comuni del Giuglianese

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GIUGLIANO. La pallina, grigiastra, viene posata su un pezzetto di carta argentata. Si brucia con un accendino. Un fil di fumo sale con un sinuoso giro di spirale; basta una cannuccia per aspirarlo. E la fantasia napoletana ribattezza un antico gioco orientale: è ’o cobrèt, il piccolo cobra. La droga oppiacea, prevalentemente costruita con gli scarti dell’eroina, che a Hong Kong chiamavano “la coda del drago”, alcuni decenni fa. La droga di cui nessun altro, in Italia, parla o sa. A fatica si ritrova in una riga di cronaca napoletana, all’ennesimo arresto del piccolo Ciro, quindicenne che evade continuamente dalle carceri. “Ha rubato per procurarsi il cobret”.
Gli adulti spostano l’accento, diventa una parola piana come la maggior parte delle parole italiane. Ma quello del cobret è un fenomeno quasi interamente napoletano, o meglio dell’area metropolitana a nord di Napoli, radicato nei quartieri ( e nei comuni) dove tanta gioventù non ha niente da fare tutto il giorno e la droga la consuma in modo molto diverso dall’ecstasy, che serve, il sabato sera, in discoteca, a scaricare le tensioni di una settimana piena.
Per un giovane su quattro, consumatore di cobret, il serpentello non è droga pesante come l’eroina. Per questo, la soglia di consapevolezza di chi ne fa uso è bassa: il cobret viene percepito più o meno come una “canna” (nella quale, a volte, viene inserito), lontanissimo dalle paure che ancora suscita il “buco”. Invece dà presto dipendenza fisica. E il suo basso costo, che si aggira intorno ai dieci euro, è alla portata dei minorenni, dei disoccupati. “È stata una manovra di marketing geniale della narcomafia”, spiegano gli operatori del centro ricerca e documentazione sulle tossicodipendenze di Quarto dell’Asl Napoli 2



IL CASO.
Paola M. abita a Giugliano, nel rione Casacelle. Da un anno e mezzo, due anni, ha percepito un cambiamento nello stile di vita del fratello, consumatore di droghe leggere e, occasionalmente, di qualche tiro di cocaina, che nel quartiere gira a fiumi e di cui chiunque, di tanto in tanto, può raccogliere qualche briciola. Il fratello, poco più di vent’anni, ha cominciato a mostrare segni di nervosismo in circostanze rituali: nella sua famiglia, di origine lucana, le tradizioni vanno rispettate. Per esempio, l’anno scorso, a Natale, è sparito poco prima del cenone della Vigilia, dopo aver consegnato il regalo alla mamma e alla fidanzata. È tornato tardissimo, e senza guardare in faccia nessuno se n’è andato a dormire. “Alla scoperta si arriva troppo tardi, si perde troppo tempo, la paura è troppo forte… Se sei fortunato, recuperi. Gli avevo sempre detto: “Se usi l’eroina ti ammazzo”, e una sera che in bagno gli avevo visto le pupille strette, lui mi ha detto: “Ma no, è un effetto della luce, non vedi?”. Ci ho voluto credere”. I segnali si moltiplicano, la paura di affrontare il problema, invece di diminuire, aumenta: “Quando rientrava tardi, mi chiudevo in bagno per non vedere come stava”.
Lui nega il consumo, i familiari negano la realtà. “Finché un amico che aveva perduto da poco la madre, dopo averla curata a lungo, mi disse: tutto quello che è possibile fare, lo devi fare. Per te. Se no, come potresti continuare a vivere se succedesse qualcosa? Allora ho deciso di agire, l’ho affrontato”. Oggi Sergio e la sorella, la fidanzata, la madre, hanno cominciato a parlare. Ma non è, non può essere ancora una storia a lieto fine. Sergio, che in passato è riuscito persino a truccare esami tossicologici, si trova in un percorso accidentato, nel quale bisogna accettare e accogliere anche “fasi di dipendenza”.



EROINA DA ANNUSARE. “Il problema del cobret è che quelli che lo assumono non si aspettano astinenza, così alla crisi ci arrivano molto presto, e violentemente”, confermano i sanitari del Dipartimento Tossicodipendenze dell’Asl Napoli 2 di Pozzuoli: “Qualche anno fa, cominciammo a vedere qualcosa che non andava, ma i ragazzi rispondevano: è la canna del Duemila, stiamo fumando, non stiamo facendo niente di male, noi non capivamo neppure il nome, ma ci siamo informati, e abbiamo capito che era un modo per portare l’eroina in un contesto in cui sarebbe stato rifiutato il buco. Questa sostanza è stata molto sottovalutata dai consumatori, per il fatto che non andava in vena. Però è scontato il passaggio alla dipendenza fisica, in tre anni arrivano a bucarsi”. Si bucano di eroina, ma se non hanno abbastanza soldi si bucano anche con il cobret, molto più difficile da sciogliere perché pieno di sostanze di scarto e cristallizzato, e molto più tossico “.
Sul cobret girano molte leggende metropolitane. Sostanza poco conosciuta, mitizzata o sottovalutata, se ne sa benissimo, invece, il percorso che negli ultimi anni ne ha fatto un fenomeno locale – Napoli e dintorni – attualmente molto diffuso.
Nasce meno di dieci anni fa come ’a robba de’ nire, nel Casertano e nelle altre zone dove gli extracomunitari africani vanno a cercare lavoro nella raccolta del pomodoro. Chi non trova lavoro legale, resta impigliato in quello illegale. Un affaruccio in più per i “tagliatori” di piccole partite di eroina. Su cento dosi tagliate, dieci dosi di cobret. Si diffonde localmente, Giugliano ne è invasa. Dal Casertano è penetrata nella zona flegrea, ai confini della città. Il salto a Napoli lo fa nella zona della Stazione Centrale, e per parecchi anni è “robba” principalmente da prostituti e puttane.



INDAGINI DIFFICILI
. La polizia stenta a percepire il fenomeno, perché delle sostanze che si inalano non resta traccia. Una ragazza di Melito, per convincere il giovane marito ad ammettere l’uso quotidiano di cobret, ha dovuto infilare le mani nel water, dove ha recuperato la sfoglia sottile di carta argentata usata per accenderla.
Da due anni e mezzo, la polizia scientifica e il laboratorio di analisi registrano i sequestri di bustine di plastica con cristalli di cobret, a loro volta inserite in ovuli facili da ingoiare in caso di fermo.



CONSUMI&MERCATI.
“L’ecstasy di qualche domenica può essere abbandonata, l’eroina di qualche puntura non può essere abbandonata con la stessa facilità”. Il dirigente di polizia della Narcotici di via Medina, sinteticamente, fotografa così le ragioni del successo del cobret. E anche della sua invisibilità. Il mercato dell’eroina, a Napoli, è stabile, e il cobret ha contribuito alla sua stabilità. Conferma la polizia che la mafia guadagna, più di tutto, con l’eroina, sostanza che aiuta anche il reclutamento. Eroina, meno cara, e cocaina sono speculari, in questo contratto: se devi sparare hai bisogno di tirare, specie se sei minorenne. La cocaina azzera la paura, ma il down successivo si “cura” con cobret, barbiturici e benzodiazepine. Con superalcolici.
Il “policonsumo” è, ma la maggior parte dei media ignorano questa realtà, la nuova frontiera del narcomercato. Spiegano ancora gli “specialisti” del centro di Quarto dell’Asl Napoli 2: “Da noi l’organizzazione della vita è molto legata al tempo vuoto, una sostanza fumata ha l’effetto di alterare la percezione e di sedare, aiuta molto di più a occupare un tempo vuoto, l’ecstasy è più usata nel tempo che viene accumulato nella settimana e sfogato nel fine settimana”. Ma, a Giugliano, a Pozzuoli come a Tradate o Quarto Oggiaro, i ragazzi decidono la sostanza da usare nella piazza, nella socializzazione territoriale del “branco”. I mercati locali acquistano un profilo più importante. L’intervento sociale dovrebbe cercare di comprendere le nuove figure di consumatori eclettici, che non si sentono “tossici”. Il mercato lo sa bene: L’uso del cobret è diventato capillare soprattutto tra i giovanissimi. La narcomafia è più attenta delle istituzioni ai giovani, conosce i loro bisogni e gli disegna addosso la sostanza che meglio si adatta al contesto in cui vivono.

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