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STORIA DELLA CITTA’ DI QUALIANO

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Le notizie sono tratte dal volume di Giovanni Sabatino
“Ipotesi storico-urbanistiche sull’origine e sullo sviluppo della città di Qualiano”

1986, pag.15 e segg.

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edito per la collana Civiltà dall’ Istituto di Studi Atellani

Ente Morale

80027 – Frattamaggiore (NA) – Via Padre M. Vergara, 13 – tel. e fax 081-8801750


Le ipotesi storiche sull’origine di Qualiano vengono avvalorate e confortate da svariati ritrovamenti archeologici che lasciano supporre, senza ombra di dubbio, il ruolo e la funzione del borgo romano di Collana, soprattutto se viene proiettato in quel fenomeno che investì tutti i centri della Campania e meridionali dominati da colonie greche prima e poi romane.

Difatti, Qualiano dista pochi chilometri dalla colonia greca di Cuma: teatro di durissimi scontri tra le popolazioni italiche, per l’egemonia del mare, mezzo di scambio e di commercio con il resto dell’Europa.

Storicamente, conosciamo la tragica fine dell’egemonia greca sulla città di Cuma, avvenuta nel 334 a.C. ad opera dei Romani, che da Capua – grosso centro romano – giungevano a Cuma, per poi proseguire via mare. Di conseguenza, questa nuova realtà politica d’espansione della nascente civiltà romana, interessò anche Qualiano, data la sua posizione geografica, essendo punto nodale per raggiungere Cuma da Capua e da Roma. Di questo tracciato viario ne è testimone l’antica strada Consolare Campana, che congiungeva Capua-Aversa-Pozzuoli.

La lettura del territorio limitrofo a Qualiano, quale l’agro Aversano e quello Giuglianese, inoltre, ci introduce in una definita realtà territoriale: la primitiva destinazione agricola della zona, era sistemata con la tipica forma a scacchiera della centuratio romana (formazione di lotti regolari di terreno: quadrato o rettangolare). Difatti basta osservare la planimetria di alcuni centri confinanti con Qualiano, quali Giugliano, Villarricca, etc. per concretizzare visivamente quanto detto. Questa tecnica di sistemazione del territorio rurale, riportata dalla scala urbana, era tipico del periodo romano. […]

Qualiano, per la sua posizione geografica, dicevamo, non poteva essere esclusa da quanto succedeva nelle vicine zone e quindi in qualche modo dovette assistere e partecipare direttamente o indirettamente agli scontri tra le popolazioni italiche che si contendevano la città greca di Cuma.

Recenti resti archeologici fanno, inoltre, supporre che Qualiano fosse un modesto centro prediletto da una parte del patriziato romano, che trovava in questi luoghi un clima salubre e una florida vegetazione (su questo tema è opportuno leggere quanto scrisse lo storico Tito Livio, che decantò le ricchezze naturali di tutto l’agro Giuglianese).

Resti venuti alla luce, occasionalmente da scavi eseguiti per la edificazione di modeste costruzioni, hanno portato in superficie statue acefale, resti architettonici di costruzioni, pavimentazioni in mosaico colorato, murazioni in opus reticulatum ed in opus latericium: tipica tecnica costruttiva del periodo di splendore dell’impero Augusteo (30 a.C. al 14 d.C.); enormi vasi di creta: tipici contenitori per la conservazione di derrate alimentari (grano, orzo, etc.), ed altri oggetti della civiltà romana, una cisterna, per la conservazione d’acqua, a forma rettangolare (m. 3,00 x 12,00 e profonda oltre 5,00) con copertura in volta a botte e paramenti in opus reticulatum (blocchetti di tufo squadrati sisetmati in ordine obliquo) ed opus latericium (formati da soli mattoni). Le pareti per oltre m. 2,00 risultano rivestite da intonaco levigato ben conservato. […]

Tali testimonianze sono venute alla luce interessando una zona urbana unitaria: l’area in oggetto corrisponde
agli spazi che gravitano nella località S. Pietro ad Aram. In questa area urbana fino a pochi anni fa si poteva
ammirare un complesso di pozzi, per il rifornimento d’acqua: di chiara tecnica romana, in mattoni di creta
finemente lavorati – disposti a coltello – formavano dei mirabili archi a tutto sesto. Altri piccoli pozzi sono emersi sempre nello stesso ambito urbano; così come un grande abbeveratoio, all’altezza dell’attuale P.zza Kennedy, lato IM.E.

Altre testimonianze sono venute alla luce interessando aree isolate dalla tomba a cassa in blocchi di tufo alle cisterne per la raccolta di acqua, ad una villa rustica, rinvenuta nel febbraio 1971 nella proprietà Marrazzo- Palma in località Pioppitello, a ridosso dell’attuale Via A. Palumbo, di notevole interesse archeologico.

[…]

Queste realtà archeologiche lasciano supporre che Qualiano fosse un centro di obbligato stazionamento per le legioni dei soldati romani che scendevano dal nord (Capua, Roma) per poi proseguire verso Cuma e quindi continuare per via mare o viceversa.

Infine, fino a pochi anni fa, nei pressi del ponte Surriento si potevano ammirare i resti del tracciato dell’acquedotto romano che alimentava la vicina colonia di Cuma (l’opera muraria è riprodotta anche da V. Franceschini nel quadro <11 ponte) eseguito nel 1851). Nel 1954, durante i lavori per la realizzazione del primo intervento di case popolari, furono scoperte ventidue tombe del II-III secolo a.C. Erano di forma rettangolare a cassa e costruite con blocchi di tufo: materiale che abbonda nell'intera zona flegrea e giuglianese. In esse furono rinvenute delle anforette di svariate misure, varie suppellettili, tra cui lacrimatoi e delle ossa umane: tali sepolture sono del tipo tombe a fossa. In merito alla cultura delle tombe a fossa è bene ricordare l'uso dell'inumazione. Essa consisteva nel disporre il cadavere supino con le braccia disposte lungo i fianchi e con il capo rivolto ad est. In queste tombe venivano posti oggetti di creta o di metallo che costituivano il corredo funebre. Tra questi, i più numerosi erano i vasi di teracotta, talvolta rivestiti di vernice nera più o meno brillante, talvolta impregnati di ossido di piombo per imitare la lucentezza dei vasi metallici. Tra questi vasi è bene ricordare: il cratere che serviva a mescolare l'acqua con il vino; l'oionocho brocca per versare il vino; il kantaros che conteneva l'acqua. Dagli scavi effettuati non sono venuti alla luce ne mura di difesa, ne altra struttura con lo stesso scopo, da ciò traspare che il casale di Qualiano sorgeva su di un'area sicura e priva di pericoli, pur se frequenti erano le incursioni saracene e normanne. Il casale godeva tranquillità e garanzia da uno stato precostituito: l'impero romano, anche se in decadenza, del IV e V sec. d.C. A conclusione di questa prima parte di ricerche, possiamo affermare che sul territorio di Qualiano già nel IV sec. a.C. registriamo la presenza, seppure isolata, del popolo sannita, mentre la costituzione di un vero centro o villaggio la possiamo fare risalire al III sec. a.C. con la presenza del popolo osco-sannita, che raggiunse la massima importanza e crescita urbana nel IV o V sec. d.C., durante il periodo di decadenza romana. Qualiano dal 1340 al 1 805 fu feudo del Monastero di S. Chiara di Napoli, dal 1806 al 1835 fece parte del comune di Villaricca, dal 1836 divenne comune autonomo. I periodi storici che si susseguirono in questo arco di tempo: da quello Angioino-Aragonese, quello del vice regno spagnolo: ('500 e '600) interessano relativamente il modesto agglomerato di Qualiano; mentre notevole rilevanza, sotto il profilo urbanistico, ebbe il secondo periodo Borbonico, 1815-1860. Risulta opportuno, per comprendere il modesto e marginale ruolo che Qualiano ebbe prima dell'intervento borbonico, quale feudo del monastero di S. Chiara di Napoli, riportare il risultato delle ricerche effettuate presso la Biblioteca Provinciale Francescana. Dalle ricerche risulta che solo il periodo che va dal 1724 al 1794 è documentato nei libri contabili riservati alle entrate ed uscite del monastero: l'unica fonte dalla quale compare il feudo di Qualiano. Esso contribuiva modestamente con pochi ducati, data la eseguita dei suoi contribuenti distinti in due categorie: una per censo e l'altra per pigioni. Per la cronaca riportiamo di seguito un elenco di contribuenti che vanno dal 1724 al 1727: Rendite in Qualiano dal censo di Domenico Taglialatela, Frecciaruolo Nicola, Domenico Cacciapuoto, Cesare Aversana, Giovan Battista Maione. Una certa importanza riveste il complesso edilizio realizzato nel feudo di Qualiano nel periodo che va dal 1791 al 1794 da parte del Monastero di S Chiara e che era costituito da: — macello; — molino; — forno; — maccaroneria; — osteria. Di esso oggi non rimane traccia alcuna. L'unica testimonianza arrivata a noi consiste in un disegno conservato presso la Biblioteca Provinciale Francescana di Napoli, costituito da un solo prospetto, dal quale si legge che detto complesso si affacciava su di una strada e si articolava in due locali a piano terra con i relativi primo piano ed un terzo locale a piano terra, nel quale si apriva un androne che consentiva l'accesso in un cortile comune all'intero complesso... In questa realtà illuministica, come dicevamo, per il territorio, operata dai regnanti borbonici, Qualiano ne trasse non pochi benefici. In virtù del mutato atteggiamento culturale nei riguardi della periferia da parte dei Borboni, in Qualiano, per opera di Ferdinando II, fu realizzato un importante asse stradale che collegava l'intero territorio comunale nei suoi confini ovest e sud-est. La costruzione della strada, fu voluta, come potremmo ipotizzare, dall'esigenza di poter viaggiare comodamente per raggiungere la tenuta di caccia in località Masseria del Principe di proprietà del fratello (?) di Ferdinando II. Essa si articolava con un andamento rettilineo e maestoso per la presenza di alberi di platani ai lati dell'asse viario, e, comunica con Marano a sud-ovest e Pozzuoli ad ovest. Nella sua esecuzione, come dicevamo, per esigenze di linearità, le cave, per l'estrazione del tufo preesistenti alla costruzione, furono colmate nell'attuale località Ponte delle cave o del monte. Essendo Ferdinando II un fervente cattolico, nella costruzione della strada, all'altezza della chiesa parrocchiale, fece abbattere un gruppo di case che impedivano la visione della stessa; operando, con un termine urbanistico attuale, un'operazione di sventramento urbano, certamente non disastroso come quelli provocati nel secolo XIX e parte del XX. Il mirabile ponte detto di Surriento fu opera di Ferdinando II, data l'epoca, è un'opera pregevole d'ingegneria; consta di tre arcate a tutto sesto, finemente lavorato, con cubi di trachite misto a blocchi di tufo giallo e mattoni di argilla. A testimonianza dell'opera, il re fece porre una lapide marmorea (ancora oggi conservata) composta da un blocco di trachite, incorporante una lastra marmorea bianca, recante la seguente iscrizione: VIAM AB ACRO IULIANO USQUE PUTEOLOS CAMPANA/VI OB HONOR ROM. NOMI- NIS DICTAM AD EXERCENDA GOMMERÒ. OPIMAE CIRCUIVI REGIONIS CUM ORA MARITI/VIA FERDINANDUS II UTR.SIC.REX. STRAV/T PER IX PASUUM M/UÀ PONTEM QUE REGIA MUNIFICENTIAE TESTE M PRAERUPTIS IMPOSUIT AN MDCCCL (Ferdinando II re delle Due Sicilie, fece costruire per nove miglia la Via da Giugliano a Pozzuoli detta Campana, per l'onore dei Romani, per i rapporti commerciali della circostante fertile regione col mare e sulle rovine gettò un ponte a testimonianza della regale munificenza - nell'anno 1850) Anche una stupenda croce di ghisa, distrutta da un violento temporale che si abbatté su Qualiano intorno agli anni '60, che sovrastava il timpano della chiesa, fu un dono del Re Ferdinando II. Essa era composta e una struttura intagliata che portava incastrato, a quattro estremità, le corone reali. Per chiarezza di ricerca e di studio effettuato sulla figura del fratello del re Ferdinando II, bisogna dire che il re aveva una famiglia composta da diversi fratelli e sorelle, ognuno godeva di particolare autonomia per cui la loro condotta sociale e culturale non sempre era consona al proprio rango sociale; è risultato impossibile individuare con certezza e conoscere il nome e la vita del fratello del re, che visse in parte nella sua tenuta di Qualiano. La dimora, seppure trasformata, esistente nella località Masseria del Principe, per alterne e incomprensibili vicende, è divenuta proprietà privata. Oggi, poiché è stata alterata ed ampliata nel s-segno originario, si è dissolto quel valore di sapore storico che infondeva l'intera area agricola nel contempo è scomparsa una testimonianza emblematica di un edificio ottocentesco esistente nel territorio comunale di Qualiano. A Qualiano, sino a tutt'oggi, esiste una sola chiesa, originariamente ad unica navata, dedicata a S. Magno fino a che, nell'anno 1346, come abbiamo rilevato, fu dedicata a S. Stefano. Nell'anno 1647 subì un primo intervento di restauro conservativo e divenne parrocchia; ossia acquistò l'autonomia da altre chiese anche se contava appena 200 anime. Nel 1893, all'unica navata centrale vennero aggiunte e due navate laterali, ad opera del canonico Antonio Vigliaccio. Essa si sviluppa su pianta a Croce Latina con transetto circolare'. La navata centrale ha una copertura a capriata lignea con cassettone, mentre le navate laterali sono coperte da volte a botte. Le colonne che sorreggono le navate laterali sono rivestite da volute di stucco Di particolare pregio artistico sono le quattro tele raffiguranti immagini di Santi, fra cui Santo Stefano, San Magno e forse San Nullo: databili intorno alla prima metà del XVIII secolo. L'impianto architettonico nel suo complesso (dalla chiesa al campanile) riflettono uno stile neoclassico tipico: volumi rigorosi e monumentali. "...negli anni in cui fu cooperatore del parroco di Qualiano (1878-1896) don Antonio Migliaccio ebbe modo di constatare che la vecchia chiesa del paese aveva bisogno di urgenti restauri e anche di essere ampliata, perché il numero della popolazione era in costante aumento. In 80 anni era passata da/ pumi 800 abitanti, ai circa, 2000. Ma dove trovare i fondi necessari P La chiesa parrocchiale, oltre i restauri, aveva bisogno di essere ampliata, per questo motivo don Antonio con lettera del 18 aprile 1887 chiedeva al municipio di Qua Ha no la concessione di alcune centinaia di metri quadrati attorno al vecchio edificio per affrontare il nuovo progetto. Il municipio approvò la richiesta, affidando il progetto e la direziono dei lavori all'ing. Giovanni Au- letta, cognato del conte Sifola di Qua/iano. Qualche tempo dopo, don Antonio fu agevolato nel suo compito di restauratore della Casa di Dio perché suo padre Raffaele, con decreto reale del 5 gennaio 1888, fu nominato sindaco del comune di Qua Ha no per il triennio 1888-1 890... Come Dio volle, dopo nove anni dell' inizio dei lavori, al chiesa parrocchiale rinnovata e quasi rifatta, bella, simmetrica, decorosa, fu benedetta e riaperta al culto..."


(da F. Germani, Una Quercia annosa, Napoli 1982, pp.31 e ss.)

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