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domenica, Maggio 5, 2024
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Donna uccisa, la figlia riconosce l’assassino

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Un rom, etnia bosniaca. Si chiama Franko Hadzovic, 33 anni: è l’uomo fermato nell’ambito dell’inchiesta per l’omicidio di Piera Calanna, travolta e ammazzata dal ladro che aveva appena rubato l’auto della figlia Lisa Odierno. È proprio lei – al momento unica testimone oculare dell’accaduto – ad aver riconosciuto in Franko Hadzovic l’uomo che mercoledì trasformò in tragedia un banale furto d’auto. Il fermo è scattato per i gravi indizi relativi ai reati di rapina e omicidio aggravato. L’altro ieri era scattata la caccia a due rom: la scorsa notte Franko Hadzovic è stato bloccato in un camper a Castelvolturno, ben lontano dal campo 3 di Giugliano dov’è la sua casa, nella quale vive con moglie e sette figli. L’ultima, di appena 12 giorni, era tra le braccia della mamma ieri, sotto il sole battente, davanti alla caserma dei carabinieri a Giugliano. L’arresto di Hadzovic viene considerato dagli inquirenti un primo obiettivo raggiunto. Adesso si cerca di individuare il complice: il procuratore aggiunto Mancuso lancia un appello ricordando che l’episodio «potrebbe aver avuto altri testi, forse in quel momento inconsapevoli da quanto stava avvenendo. Sarebbe molto rilevante che queste persone si presentassero per dare il proprio contributo, utile per l’individuazione del complice». Hadzovic è stato fermato dai carabinieri di Giugliano, con il capitano De Biase e il tenente Russo, coordinati dal comandante del gruppo Castello di Cisterna, il colonnello Aldo Saltalamacchia e dal colonnello Gaetano Maruccia, comandante provinciale. A coordinare l’inchiesta l’aggiunto Paolo Mancuso e i sostituti Fini e Sanseverino. Riserbo assoluto degli inquirenti: tutto è affidato a un comunicato della Procura firmato da Mancuso. Sulle modalità dell’arresto gli inquirenti parlano di «fermo casuale» del camper sul quale era l’uomo, da parte dei carabinieri che, fin dai momenti successivi all’uccisione di Piera Calanna, hanno messo in azione anche unità cinofile, elicotteri e unità speciali «Cio», la compagnia di intervento operativo. E Marco Minniti, viceministro dell’Interno rileva che l’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità da parte di forze di polizia e magistratura «è testimoniata dalla individuazione in tempi rapidissimi del presunto omicida della signora che ha subito la rapina dell’auto a Giugliano. Vicende che colpiscono, profondamente dolorose, sarebbe giusto prevenire questi reati. Nulla potrà restituire alla famiglia la signora». Tutto sarebbe avvenuto la scorsa notte dunque. Ma davanti alla caserma dei carabinieri di Giugliano la moglie di Hadzovic, Vasuia, afferma di essere lì, in attesa del marito, dalle 10 di giovedì. Probabilmente il controllo dei carabinieri è stato fatto nella notte tra mercoledì e giovedì e questo avrebbe una sua logica: la fuga nella notte subito dopo l’uccisione della povera Piera Calanna. Al momento, secondo gli inquirenti, il principale elemento di colpevolezza a carico di Franko Hadzovic è rappresentato dal riconoscimento, prima fotografico, successivamente personale, fatto da Lisa Odierno. La ragazza, secondo indiscrezioni, lo avrebbe riconosciuto dagli abiti, dalla maglietta e soprattutto dall’orologio, pare d’oro, che aveva al polso. Di contro la moglie di Hadzovic dichiara che il marito, mercoledì, si è svegliato alle 12 e insieme sono andati a fare spese. E forse in questo vi sono le discordanze con la versione del marito che hanno portato all’individuazione da parte di Lisa Odierno. Nato Sarajevo nel 1974, Franko Hadzovic aveva utilizzato due diverse identità in passato: Fadil e Ferid e con lo stesso cognome, Hadzovic; sposato da 10 anni è in Italia dal 1993 e la sua posizione è quella di clandestino. Al suo attivo ha collezionato sei arresti per furto, ricettazione, furto a Pomezia e a Baiano, e dai carabinieri di Qualiano per violazione delle norme sull’immigrazione. Ufficialmente dice di essere un commerciante di
maurizio cerino




«No al perdono, non basterebbe l’ergastolo»

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Quarto. «E adesso buttate la chiave»: è il titolo della prima pagina di questa mattina del «Notiziario news dei comuni flegrei» del quale è editore Vittorio Odierno, marito di Piera Calanna, uccisa dal ladro d’auto in fuga. È un titolo che racchiude il pensiero della famiglia. E in redazione i familiari parlano con i cronisti: «Il nostro dubbio – spiega Vittorio Odierno – è che il meritevole lavoro svolto dalla forze dell’ordine venga poi vanificato dalle smagliature della giustizia. Questo è il motivo del titolo della prima pagina. Buttate la chiave perché non esca con una qualsivoglia agevolazione. Niente ci potrà ripagare dopo quello che è avvenuto, neanche l’ergastolo – prosegue l’uomo – ma spero che quello che ora avverrà, non mi faccia venire la voglia di dire che è troppo poco». Accanto al padre i due figli, Benny, 27 anni e Lisa, 25. Se possibile è ancora più stravolta, ma accetta di rispondere: «Sì l’ho riconosciuto, ma inizialmente mi rifiutavo di ammettere a me stessa di ritrovarmi di fronte all’assassino di mamma – ha detto, mentre i suoi occhi, arrossatissimi, ridiventano lucidi – Quando ho visto arrivare mio fratello, ho acquistato sicurezza. Ho detto che dovevo accettare questa realtà. E allora l’ho visto, l’ho guardato: “È lui” ho detto al capitano». I carabinieri sono stati presenze importanti per l’intera famiglia: «I due colonnelli, Maruccia e Saltalamacchia, sono stati sempre vicino a noi: tutte persone che per tre giorni non hanno dormito – dicono a turno Vittorio e Benny – e non l’hanno fatto certo per lo stipendio, ma perché credono in quello che fanno. Salvo poi il richio di veder vanificato tutto il loro lavoro. E non è giusto questo nemmeno per loro». Parlare di perdono è impossibile: «Nemmeno davanti a una confessione potremmo perdonare» dice Vittorio. E Benny incalza: «Si fosse trattato di un investimento, di uno che ti travolge perché sta cercando di salvare una vita umana, lo potremmo capire e perdonare. Ma questo è un omicidio». E Lisa: «Lui poteva fuggire con l’auto, davanti era libero. Avevamo capito che l’auto era persa, non avevamo alcuna intenzione se non sfogare la nostra rabbia. Perché è andato a retromarcia?». L’interrompono: i carabinieri richiedono la sua presenza in caserma: devono rilevare le sue impronte palmari. Buon segno: significa che hanno qualcosa da comparare. I Ris forse hanno trovato già una traccia.
m.cer.






Paura e rabbia fra i rom «Tira aria di vendetta»



Giugliano. La casa di Franko è stamberga di strega, assopita sotto alberi di un afrore da discarica. Non sta in nessun campo di nomadi, giace isolata in area Asi qui a Giugliano lungo lo stradone invaso da processioni di camion che sostano ogni giorno in attesa di vomitare tonnellate di rifiuti gocciolanti veleno. Ha il tetto di legno, la casetta di Franko. E la staccionata tutt’intorno. Il «giardino» è solo erbaccia, spelacchiata e invasa da due vecchie auto di grossa cilindrata che hanno sapori di ferro e ruggine. «No lui, vi giuro non essere stato lui», assicura Olga, la cugina bionda e ventenne che tiene a bada sei creaturine sedute a girotondo attorno a un tavolo su tre gambe. Senti, dov’è Franko? «Franko… carabinieri… – cantilena la ragazza – Franko via dai ieri. Moglie sta con lui». Moglie con lui. Dai carabinieri. «Anche io ho perso un familiare investito da un’auto. So il dolore che si prova. L’altra mattina, quando è successo il fatto della signora uccisa, Franko marito a casa con me e i nostri figli. Noi lì da tredici anni. State prendendo un abbaglio. Lui servizievole. Lui aiutava me a rassettare stanze. Carabinieri se lo sono tenuto in caserma per due giorni e due notti: è giusto questo, signori?»: Vasuia non si dà pace. Piange. Si dispera. Racconta. Giura. Lei è pelle rugosa, di chi nella miseria invecchia presto e male. Meno di trent’anni, ne dimostra quasi il doppio. E ha già sette figli. L’ultima creatura, l’ha partorita dodici giorni fa. E adesso se la tiene qui, appesa a tracolla come una borsa per la spesa, da troppe ore sotto il sole che brucia davanti alla sede dei carabinieri. «Che vuol dire un dente d’oro? – recita un antico detto rom – che sono un capo ma solo a metà. Che vuol dire due orecchini? Che sono il capo. Per l’eternità». Paura fra i rom. Si cerca una Opel bianca, forse quella del complice. Ehi tu, sai dov’è quell’auto? Dicci dov’è, subito. Tira aria di caccia alla volpe. Una caccia indiscriminata, illogica, ingiusta. «E pericolosissima – fa notare Mimmo Di Gennaro, dirigente dell’Opera Nomadi di Giugliano – perché può innescare voglia di vendette e aggiungere tragedia a tragedia. Giusto punire se c’è un colpevole, ma guai a castigare a casaccio». Accuse terribili. La notizia sulle (presunte) colpe di Franko figlio di Sammar arriva veloce come un pugno al campo numero 3 di Giugliano city. C’era aria di festa, fino a un attimo fa. E su cenere bollente abbruniscono a spiedo due agnellini e una porchetta. «Stasera – racconta il capofamiglia – volevamo festeggiare il compleanno di mio figlio Gabriel, che oggi compie due anni. Siete tutti invitati a cena. Se però mai più la faremo, la nostra cena di agnellini e porchetta». Ma no, ma quale cena. Spegni lo spiedo, che vuoi festeggiare con quest’aria che tira? Volano «sentenze» da brividi. Dicono che è stato riconosciuto. E che ha balbettato nel rispondere. E perchè stava scappando? Difenderlo è difficile. Difendersi sembra impossibile. E chi non c’entra, si sente sotto accusa. Perchè è un’accusa quest’aria che tira. Angelo, rom nato in Italia, prova a ragionare: «Da qualche sera a Giugliano, appena si fa buio, preferiamo allontanarci. In tanti. Senza sapere bene perchè». Fugge per paura, la folla di rom che non c’entra. Per quest’aria brutta che tira. Per il terrore di imbrogliarsi se gli inquirenti fanno troppe domande. Perchè nel loro pensare prima si scappa e poi ci si chiede casomai il perchè. Bahlef, capo dei rom, i tuoi figli hanno morsi sulle mani. «Colpa dei topi. Di notte non perdonano». Quanti siete in questo inferno? «Seicento, musulmani, da sette anni». Ascolta, c’è un progetto. «Non ti credo». Come sopravvivi? «Facevo mercatino. Ce lo hanno chiuso». Come sopravvivi? «Vendevo il rame, mi hanno multato». Non mi hai risposto. «No no, ti ho risposto». A Giugliano, come nell’area metropolitana di Napoli, cresce senza identità la quarta generazione di bambini rom nati in Italia. Sono centinaia, mai registrati dalle istituzioni. Fantasmi da terzo millennio. Uno schiaffo in faccia ai diritti civili. E da tempo la droga ha invaso i campi nomadi. Droga fetentona, che sballa il cervello e fa litigare i mariti con le mogli. Pure se si hanno sette figli da crescere. Dice il papà di Gabriel, sorridendo mite: «Tempo fa sullo stradone un italiano investì e uccise un bambino rom. Piangemmo disperati, ma nessuno si è sognato di pensare che gli italiani uccidono i bimbi rom. Capisci che voglio dire?». Capire. Distinguere. Dice l’Opera Nomadi: «Piena fiducia in chi indaga. Però ci sembra strano che un rom vada a rubare un’auto proprio nella zona in cui vive. C’è un loro detto che afferma: «Mai sporcare in casa tua. Il cattivo odore ti resterà tutto addosso».

enzo ciaccio




il mattino 19 maggio 2007

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