Quando finiscono le lacrime, restano le parole. Nel loro strazio, quelle di Luana Moresco cercano di ricordare quel che non c’è più della sua vita. Quel bel ragazzo, guascone e simpatico, europeista come lei, che chiamava Tonino facendolo sorridere, ma che nell’anagrafe fredda dell’ospedale di Hautepierre, dove Strasburgo incontra la sua prima periferia, è segnato come Antonio Megalizzi, 29 anni, italiano.Luana, assieme ai genitori del giovane cronista dell’emittente radio Europhonica, abbattuto come fosse un animale nella notte di martedì, resterà a Strasburgo finché l’autorità giudiziaria francese non darà il nulla-osta al rimpatrio del corpo.
Le sue parole arrivano al telefono del padre: «Sono molto provata da questo incubo. Sto veramente male. Non l’accetto e non l’accetterò mai. Un essere umano, una persona non può accettare una cosa come questa, un dolore così. Non ero pronta per una prova come questa. Adesso voglio rimanere accanto ad Antonio fino alla fine. Non c’è altro che possa fare, solo stare vicino a lui fino alla fine». Le parole sciolgono la disperazione della ragazza che fin dai primi minuti seguiti all’attentato aveva capito che era successo qualcosa al suo Antonio.
Lo aveva capito parlando con chi era con lui, due amiche e un collega, che si erano dovuti rifugiare sotto i tavoli di un bar per sfuggire alla furia stragista. «Voglio dedicargli ogni momento. Non auguro a nessuno, nemmeno al peggior nemico, di provare quello che sto provando io». Per tre giorni lei gli ha carezzato la testa nella speranza di un miracolo, di un recupero, di un segno dal cielo, anche piccolo.
Ma niente, Antonio non si è mai ripreso e quando l’ultimo respiro è arrivato nonostante l’attività delle macchine per tenerlo in vita, le è rimasto solo di piangere.
Quando le nebbie del dolore più acuto si sciolgono, Luana ha parole anche per chi ha provato a salvarlo: «Ringrazio i medici e tutto il personale dell’ospedale. Ci sono stati vicini con discrezione e grande umanità».
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