L’eterno Peter Pan ritorna a Sanremo. Il palco dell’Ariston è stato incantato, durante la terza serata del Festival andata in onda giovedì 13 febbraio, da uno dei miti intramontabili della canzone italiana: Edoardo Bennato.
Il “menestrello” per eccellenza, il più rock di tutti i cantautori italiani è salito sul palco con la sua canzone sfacciata e irriverente, persino nei confronti della sua stessa condizione di cantautore: Sono solo canzonette. E’ una brano che ha segnato al tempo stesso l’esordio della sua grande carriera artistica e musicale. Non a caso, infatti, l’album è ispirato alla figura fantastica e sognatrice di Peter Pan. Si tratta di un brano che ha “scosso” l’hit parade nel 1980 e che ha fatto “volare” numerose generazioni. Un pezzo che grida “basta” a qualsiasi presa di posizione politica o sociale che rischia di “bloccare” l’arte della musica.
Sono solo canzonette: un brano anti-establishment
Del resto lo stesso Carlo Conti, affiancato dalle tre co-conduttrici Miriam Leone, Katia Follesa ed Elettra Lamborghini, ha annunciato l’arrivo del cantante flegreo sul palco come un’occasione per “tornare con i piedi per terra“. Insomma, l’esordio di Bennato all’Ariston ha quasi simboleggiato uno “stacco” rispetto alle altre canzoni in gara. Il celeberrimo brano di Edoardo è infatti una musica da non prendere troppo sul serio, e che riflette l’idea di una musica che non può essere imprigionata in nessun castello di carta messo in piedi dai media e dall’opinione pubblica, soprattutto durante i giorni del festival.
Nata nel 1980 quasi per caso da una battuta scherzosa del cantante Enzo Jannacci su un mixer in studio, Sono solo canzonette è una canzone che gioca in primis proprio sul posto che la figura del cantautore occupa nel mondo, oltre che sul suo ruolo. In una strofa Bennato canta infatti “non potrò mai diventare direttore generale“, e che “nella sua categoria è tutta gente poco seria di cui non ci si può fidare“. Una frase che quasi sminuisce il valore del suo lavoro davanti alla grande folla di politici, “di ministri e deputati“.
E poi, Bennato continua a cantare: “Io di risposte non ne ho, Io faccio solo rock ‘n roll“. E’ forse proprio in queste brevi strofe che si esprime in maniera più evidente l’animo trasgressivo e pungente del cantante. Nonostante le esortazioni del mondo che ci circonda a schierarci su questo o quell’argomento, Edoardo non si stanca mai di battersi per la libertà musicale. All’interno del brano, infatti, il cantautore canta che la sua voce non deve essere sempre portatrice di verità o di soluzioni razionali.
Negli anni Ottanta infatti la canzone di Bennato fu utilizzata per attaccare una parte del PCI, ma in generale per criticare qualunque ideologia o forza politica che intenda piegare al suo servizio l’arte della musica. Bennato canta proprio per il piacere di cantare, e a fine canzone il testo fa “Ma lasciatemi sfogare, Non mettetemi alle strette, O con quanto fiato in gola vi urlerò ‘Non c’è paura’. Ma che politica, che cultura, Sono solo canzonette“.
In arrivo su Rai Uno il docufilm Sono solo canzonette: un omaggio a Edoardo Bennato
L’esibizione del cantautore partenopeo all’Ariston ha rappresentato anche una grande occasione per annunciare l’imminente esordio del docu-film dal titolo, appunto, “Sono solo canzonette“, che andrà in onda mercoledì 19 febbraio in prima serata su Rai Uno. Si tratta di una pellicola di circa un’ora e mezza diretta da Stefano Salvati e prodotta da Rai Documentari e Daimon Film che ripercorre tutte le tappe di una carriera musicale e artistica incredibile. Viene infatti narrata una storia lunga e molto complessa, fatta di tanti “alti” come anche di qualche “basso”. Una vita di idee brillanti, durante la quale Bennato ha messo in campo un’instancabile ricerca del proprio “io” artistico, resa possibile anche grazie ad un pizzico di “follia”.
Questo viaggio inedito lungo la parabola umana e artistica di Bennato è stato possibile anche grazie alle tante testimonianze di amici e artisti che hanno avuto l’opportunità di lavorare a stretto contatto con il genio del rock italiano durante tutta la sua carriera. Si pensi a Jovanotti, Ligabue, Paolo Conti, Mogol e Max Pezzali. Infatti il docu-film mostra sin dall’inizio una serie di immagini e video privati, interviste esclusive, e persino tantissimi contenuti speciali realizzati grazie all’intelligenza artificiale, ricostruendo così alcuni momenti purtroppo privi di documentazione visiva. Insomma, si trattano di una serie di materiali inediti con l’obiettivo di ricostruire l’intera gavetta musicale di Edoardo.
Tra Napoli e Milano
Nato nella periferia di Napoli ovest, precisamente a Bagnoli, il 23 luglio 1946, Bennato ha mostrato di essere sin da bambino un prodigio della musica, ammaliato dai grandi artisti rock anglosassoni, tra cui Bob Dylan, Chuck Berry ed Elvis Presley. Terminato il liceo, il suo amore per la musica lo portarono poi a trasferirsi durante la metà degli anni Sessanta da Napoli a Milano. Qui le sue doti gli permisero di entrare ben presto nella cerchia di Lucio Battisti e di frequentare le case discografiche della città. Tuttavia le difficoltà che il giovane partenopeo incontrò nel capoluogo milanese non furono poche. Infatti il suo stile troppo innovativo non piaceva. Non mancarono infatti in questo periodo i finti sorrisi dei discografici che lo invitavano a tornare “domani…magari dopodomani…magari tra un mese!“. Questo clima spinse ben presto Bennato a lasciare Milano.
Gli anni Settanta: la strada verso un successo stellare
Così si trasferì a Londra, capitale europea indiscussa del rock, dove iniziò a suonare per le strade come “one man band”. Dopo qualche mese Bennato fece il suo ritorno in Italia, ormai radicalmente cambiato. Era ormai un cantautore inseparabile dalla sua chitarra, dalla sua armonica, dal kazoo e dal tamburello a pedale. Aveva dunque coniato una nuova “immagine” di artista. E aveva inoltre un ciclone di idee che avrebbe ben presto riversato in una serie di album che hanno segnato l’inizio del suo successo. Nel 1973 esordì con l’album Non farti cadere le braccia, espressione della sua grande abilità nel fondere testi intelligenti con sonorità del tutto innovative. Poi nel 1975 e nel 1976 fu la volta rispettivamente di Io che non sono l’imperatore e La Torre di Babele, dove Edoardo Bennato affinò sempre più la sua vena satirica nei confronti del potere e della società contemporanea.
Successivamente il 1977 fu l’anno del debutto di Burattino senza fili, album ispirato chiaramente alla favola di Pinocchio. Ne fanno parte infatti una serie di brani ormai iconici, come Mangiafuoco, Tu grillo parlante, Il gatto e la volpe, e tanti altri. L’incredibile successo riscosso con questi album lo spinsero poi a compiere un’impresa molto rischiosa: dopo qualche anno, nel 1980, pubblicò Uffa! Uffa! e Sono solo canzonette a distanza di qualche settimana l’uno dall’altro. Quest’ultimo contiene inoltre al suo interno una serie di brani destinati a non passare mai di moda che si rifanno alla storia di Peter Pan. Ad esempio, L’isola che non c’è, Il rock di Capitan Uncino, Rockcoccodrillo, e moltissimi altri ancora. Non a caso infatti l’album divenne presto uno dei più venduti di tutta la storia musicale italiana.
Gli anni Ottanta: anni di sperimentazioni
Gli anni Ottanta proseguono con altre sperimentazioni. E’ arrivato un bastimento del 1983 e Kaiwanna del 1985 sono infatti album nati dalla collaborazione con altri artisti di spicco nella scena della musica italiana. Così man mano arrivò a riempire gli stadi di mezza Italia, consacrandosi come uno dei top player del cantautorato italiano. Poi nel 1990 compose con Gianna Nannini un altro album destinato a diventare ben presto l’inno ufficiale dei Mondiali di Calcio in Italia: Un’estate italiana.
Nonostante negli anni Novanta abbia vissuto un calo di popolarità, Bennato non ha mai smesso di cantare. La sua vena satirica e il suo rock sono rimasti sempre vivi, senza mai passare di moda. Del resto la sua fiorente produzione musicale ne fa uno dei cantanti più poliedrici e visionari della storia musicale italiana dal dopoguerra ad oggi. Bennato è infatti autore di numerose canzoni ormai divenute un tutt’uno con la memoria collettiva italiana, grazie alla quale non verrà mai dimenticato. Del resto fondere popolarità e qualità, come ha saputo fare a lungo, è una prerogativa solo dei grandi talenti.