All’interno del Rione Berlingieri, Luigi Carella, noto come “Gigino a Gallina”, non solo gestiva lo spaccio di sostanze stupefacenti, ma generava anche forti tensioni tra gli affiliati del clan Licciardi. E’ quanto emerge dall’ordinanza di custodia cautelare che ha portato all’esecuzione di 22 misure restrittive a carico di elementi attigui al clan Licciardi. Diverse intercettazioni rivelano il malcontento di Salvatore Montanino, che si lamentava della gestione autoritaria di Carella: “Questi pensano solo ai cazzi loro”.
Le frizioni erano tali che gli affiliati si rivolgevano a Paolo Abbatiello, vertice del clan, per mediare e ridurre le richieste di Carella. Montanino raccontava a Salvatore Sapio: “Ho parlato con lo zio… il ragazzo vuole bene a noi… vuole bene alla famiglia nostra…”, evidenziando come fosse necessario l’intervento del capo per risolvere le dispute interne.
Non mancavano le imboscate e le richieste di chiarimenti su affari importanti. Carella aveva preso accordi con altri referenti del clan e con imprenditori legati al territorio vesuviano.
Dai colloqui intercettati emerge chiaramente che, nonostante il controllo rigido di Carella, la sua autorità era spesso contestata dagli affiliati locali. Montanino si mostrava esasperato: “Non fa stare bene a nessuno”, confermando la necessità di Abbatiello come arbitro delle controversie.
L’indagine conferma il ruolo centrale di Carella nel clan Licciardi, ma anche le dinamiche interne di potere, contraddistinte da richieste di denaro, imboscate e la gestione dei rapporti tra le diverse articolazioni criminali.
