Riconosciuti i benefici economici per la mamma di Gianluca Cimminiello, il tatuatore ucciso il 2 febbraio 2010 a Casavatore e per questa dichiarata vittima innocente di camorra vista la matrice del delitto. A esprimersi in favore della richiesta di Nunzia Rizzo, madre di Gianluca, la X Sezione del Tribunale di Napoli, con la sentenza emessa dal giudice Marcello Amura il 9 gennaio scorso.
La vicenda
È opportuno ricostruire l’intricata vicenda. Un anno dopo il delitto di Gianluca, la signora Nunzia Rizzo presentò in data 7 febbraio 2011 un’istanza al Ministero dell’Interno, tramite la Prefettura di Napoli, per vedersi riconosciuti i benefici economici, in termine tecnico “speciale elargizione, rendita vitalizia, speciale rendita vitalizia” per le vittime della criminalità organizzata, (oltre alle vittime di terrorismo), previste dalle leggi numero 466/1980, 302/1990, 407/1998 e 206/2004.
In data 6 maggio 2022, però, la richiesta della Rizzo fu rigettata dal Ministero dell’Interno perchè – come viene ricordato nella sentenza anche del 9 gennaio scorso che ha dato ragione alla Rizzo – la mamma di Gianluca venne ritenuta, per via di alcune parentele del marito, Luigi Cimminiello, ossia il papà di Gianluca e non quelli della mamma del tatuatore, differenza fondamentale, “persona non estranea ad ambienti delinquenziali in quanto ritenuta affine di 4° grado con soggetti gravati da precedenti penali”. Motivo? Secondo diverse informative delle Questure di Napoli, Arezzo e Catanzaro, rievocate anch’esse nella recente sentenza di gennaio, emerse come “numerosi familiari della signora Rizzo Nunzia sono gravati da molteplici pregiudizi penali (tra i quali condanne per rapina in concorso, ricettazione in concorso, evasione, violazione al TU n.309/1990 in tema di detenzione e spaccio di stupefacenti, violazione alle norme doganali, associazione per delinquere finalizzata al furto continuato in concorso, violazione degli obblighi di assistenza familiare e atti di libidine violenti, ecc.)”; secondo il decreto di rigetto del 6 maggio 2022 tutto ciò faceva “emergere un contesto familiare i cui comportamenti denotato una illegalità diffusa, tale da non poter ritenere la completa estraneità (dell’interessata) ad ambienti e rapporti delinquenziali, considerato che nell’ambito familiare risultano soggetti pregiudicati per reati che, sebbene non siano ostativi” sono comunque “potenzialmente rilevanti per quanto riguarda la vicinanza della signora Rizzo Nunzia agli ambienti delinquenziali”.
Il decreto di rigetto del 2022 richiamava il rapporto di affinità entro il 4° grado, nello specifico i nipoti del marito, Luigi Cimminiello, con soggetti cui erano state applicate misure di prevenzione.
La lontananza dal coniuge, la sentenza della Consulta e il riconoscimento dei benefici
Ma la famiglia Cimminiello, tramite il legale difensore Gianni Zara, si è opposta al decreto ricordando come il rapporto conflittuale e assolutamente non idilliaco all’interno del nucleo familiare abbia portato alla separazione di Nunzia Rizzo con Luigi Cimminiello a partire dal 30 giugno del 1983 interrompendo al contempo anche ogni contatto con i nipoti di Luigi Cimminiello, compresi quelli condannati per alcuni reati. Per tale motivo, l’avvocato Zara ha sollevato “l’incostituzionalità” dell’articolo 2- quinquies, comma 1, lettera a), del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151” riguardanti Misure urgenti in materia di prevenzione e accertamento di reati, di contrasto alla criminalità organizzata e all’immigrazione clandestina”.
Dunque, l’estraneità del rapporto tra i coniugi Cimminiello e la mancata “valutazione e ponderazione degli argomenti difensivi addotti” da Nunzia Rizzo rispetto ai problemi nella sfera familiare ha portato lo scorso 9 gennaio la Decima Sezione del Tribunale di Napoli ad accogliere “la domanda proposta” dalla madre di Gianluca Cimminiello nei confronti del Ministero dell’Interno dichiarando “l’insussistenza dell’ulteriore motivo ostativo, prefigurato nell’impugnato decreto di diniego, di cui all’art.2 quinques comma 1 lettera a del D.L. n.151 del 2008 in ragione di quanto statuito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.122/2024” e “afferma l’obbligo del convenuto Ministero dell’Interno di procedere ad una nuova valutazione dell’istanza presentata dall’attrice in data 7 febbraio 2011 alla luce
degli accertamenti”.
Non è tutto. La sentenza del giudice Marcello Amura “condanna il convenuto Ministero dell’Interno alla refusione delle spese di lite nei confronti dell’attrice Rizzo Nunzia che si liquidano in euro 8.000,00 per onorari, oltre rimborso spese esenti documentate, rimborso forfettario per spese generali nella misura del 15% degli onorari, iva e cpa, con attribuzione al difensore dichiaratosi antistatario”.
Fattore importante per il ribaltamento di quanto decretato dal Ministero il 6 maggio 2022, la sentenza della Consulta numero 122 del luglio scorso che ha cancellato dall’ordinamento quanto previsto dalla norma sul quarto grado di parentela.
Il commento di Susy Cimminiello
Soddisfatta ma consapevole che ci sarà ancora da battagliare è Susy Cimminiello, la sorella di Gianluca. «Anche nel decreto di rigetto – ricorda Susy – era precisato che Gianluca vittima aveva tutti i requisiti della vittima innocente. Al contrario, il requisito di estraneità a nostra madre non l’avevano per questioni di parentele, lo voglio ribadire, di nostro padre» dal quale Nunzia si era appunto separata nel 1983 (l’ex marito morì poi in Belgio).
Susy aggiunge: «Fu preso un grande abbaglio dal Ministero dell’Interno, può capitare perché loro sono dei burocrati e si sono ritrovati davanti delle pratiche da sbrigare. In tutti modi, abbiamo tentato far capire che su mia madre non era stata applicate le leggi sulle parentele sino al quarto grado. I reati commessi da parenti di quarto grado non erano peraltro neanche ostativi e legati alla criminalità organizzata».
Ma non è finita, afferma sempre la sorella di Gianluca: «Nella sentenza il giudice ha ricordato come sia necessario l’adozione di un altro provvedimento relativo alla terminologia “estraneità” che può essere interpretato in diversi modi. Noi non ci siamo messi contro lo Stato ma abbiamo risposto a un loro attacco, ingiusto, alle loro insinuazioni e anche alla violenza legata alla scrittura dei provvedimenti. Vivere in alcune zone significa per tante vittime di questi territori avere una colpa non loro. Noi siamo famiglie pure e quindi dovevamo essere abbracciate, abbiamo lottato contro un colosso, ossia lo Stato».
Le condanne per omicidio
Per l’omicidio di Gianluca Cimminiello sono stati condannati Vincenzo Russo, con sentenza definitiva emanata dalla Corte di Cassazione in data 18 maggio 2018, Arcangelo Abete e Raffaele Aprea, con sentenza definitiva emanata dalla Corte di Cassazione in data 15 ottobre 2021.