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“Devono buttare la chiave”, dolore e rabbia per la morte di Martina Carbonaro

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Martina era una ragazza casa e chiesa, ingenua. Com’è possibile che per essere uscita una volta di casa con le amiche non abbia più fatto ritorno?”. A pronunciare queste parole, con la voce spezzata dal dolore, è Vincenzo, cugino della madre di Martina Carbonaro. Si trova nei pressi dell’ex campo di calcio Moccia di Afragola, dove poche ore prima è stato ritrovato il corpo senza vita della 14enne scomparsa lunedì pomeriggio.

L’aria è densa di dolore e incredulità. La zona è transennata, gli inquirenti al lavoro, ma attorno cresce una folla composta da parenti, amici, semplici cittadini che faticano a comprendere l’orrore appena scoperto. Vincenzo, scosso e furioso, non trattiene la rabbia verso chi avrebbe strappato Martina alla vita: “Devono buttare le chiavi. Adda murì“, grida, riferendosi ad Alessio Tucci, il 19enne accusato dell’omicidio.

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Accanto al dolore dei familiari, colpisce in modo particolare il ricordo di un’amichetta di Martina, arrivata sul posto con un mazzo di fiori in mano e lo sguardo perso. Di Tucci, la giovane dice poche parole, ma significative: “Martina diceva che era un bravo ragazzo, io li vedevo bene assieme. Poi non so perché la storia tra di loro è finita…“.

Parole semplici, che raccontano la fiducia, forse l’illusione, di una ragazzina di 14 anni, convinta che chi aveva accanto fosse davvero una brava persona. Una fiducia tradita nel modo più atroce.

Intanto, le indagini proseguono serrate. Gli inquirenti stanno ricostruendo le ultime ore di Martina, i suoi contatti, i suoi spostamenti. L’intera comunità di Afragola si stringe attorno alla famiglia, mentre il dolore si mescola alla rabbia, e la domanda che tutti si pongono – “perché?” – rimane, per ora, senza risposta.

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