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Funerale Martina Carbonaro, il Vescovo Battaglia in lacrime: “Nessuna ragazza deve avere paura di amare e di dire basta”

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È stato accolto da un lungo applauso all’arrivo in chiesa, ad Afragola, il feretro di Martina Carbonaro, la ragazza di 14 anni uccisa dal suo ex fidanzato, “Martina sei la figlia di tutti noi”, hanno urlato alcune donne, mentre altre persone hanno inveito contro Alessio, l’ex della ragazza, che da mercoledì è rinchiuso in carcere.

Alla cerimonia sono presenti, tra gli altri, il sottosegretario Pina Castiello ed il prefetto di Napoli, Michele di Bari. Ad accogliere la bara bianca è stato il sindaco di Afragola, Antonio Pannone. E mentre il feretro varcava la porta della chiesa in tanti hanno urlato “Giustizia, giustizia “.

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“È il momento del dolore. E noi siamo qui a pregare la con Martina. Uniamoci a questa comunità che sta vivendo un momento di grande dolore”. Lo ha detto l’arcivescovo di Napoli, il cardinale Domenico Battaglia, che presiede la messa dei funerali di Martina Carbonaro, la ragazza di 14 anni, uccisa dal suo ex fidanzato Alessio Tucci. In chiesa, ad Afragola, sono presenti anche i compagni di scuola della 14enne. In tanti indossano una maglia bianca con la foto della ragazza e la scritta ‘Martina vive”.

L’OMELIA DI DON MIMMO BATTAGLIA

Fratelli e sorelle,

oggi siamo qui – e il cuore ci pesa come non mai – per consegnare alla misericordia del Padre il corpo fragile, giovane, bellissimo e ferito di Martina. Martina aveva 14 anni. Un’età che dovrebbe profumare di futuro, di sogni, di primi battiti d’amore, di scoperte lente, dolci, di passi ancora incerti eppure pieni di vita. E invece oggi siamo qui a piangere, con la sua mamma, con il suo papà, con la sua famiglia, con gli amici, con tutta una comunità stordita, spezzata, incredula. E dinanzi a questo dolore straziante, ogni parola umana si fa piccola, povera, fragile. Perché c’è un punto in cui le parole degli uomini si fermano. Si spezzano. E solo la Parola di Dio può continuare a parlare. Non perché cancella il dolore. Ma perché gli dà un senso, lo attraversa, facendo scorgere dietro l’assurdo la certezza di una vita che non muore e che nessuna pietra mortifera potrà mai occultare e distruggere.

Oggi il Vangelo ci parla di resurrezione. Ci parla di speranza. E lo fa non per allontanarci dal dolore, non per negarci le lacrime, non per dirci che va tutto bene. No. Gesù non ha mai detto che il dolore non esiste. Ma ci ha promesso che non avrà l’ultima parola. E così ci prende per mano. Camminando dentro la nostra notte, dentro questo silenzio fatto di domande senza risposta, dentro questa ferita che si è spalancata in noi con la morte di Martina. Una ferita che urla. Che spacca il fiato. Che rende difficile anche il solo respirare. Una ferita che chiede giustizia, ma che soprattutto reclama consolazione. Gesù dice: “Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore, vivrà.” Lo dice a Marta, mentre piange la morte del fratello Lazzaro. Lo dice in mezzo al pianto. Non fuori dal pianto. E ancora, a quella madre distrutta dal dolore, dice: “Non piangere… non è morta, ma dorme.” Lo dice tenendo per mano la morte, e trasformandola in attesa. In passaggio. In soglia. Verso la vita. E così anche quest’oggi a questa famiglia disperata, a questa comunità stordita e in lacrime sussurra: “Non è finita. La vita non finisce. Martina dorme. E sarà svegliata.” Perché la morte non ha l’ultima parola. Perché la parola ultima – quella definitiva – è quella dell’amore, della vita, della Resurrezione.

Sorelle e fratelli miei, amici di Martina, noi oggi non possiamo cancellare il dolore. Ma possiamo custodirlo dentro una speranza più grande. La speranza che nasce dal Cristo risorto, vivo. Una speranza che ha il sapore delle lacrime, ma anche della pace. Che non nega la croce, ma la trasfigura. Deponendo la nostra disperazione ai piedi del sepolcro vuoto di Cristo. Perché se Gesù è risorto, allora Martina è viva. E vive nel cuore di Dio. Nel suo abbraccio eterno. E un giorno – lo crediamo con tutto il cuore – la rivedremo. La rivedremo viva. Felice. E le sue ferite saranno guarite. E le nostre lacrime saranno asciugate. E quel che oggi sembra la fine, sarà l’inizio di un nuovo giorno senza tramonto.

Cara mamma Fiorenza, caro papà Marcello, lo so benissimo che queste parole, oggi, non sono consolazioni facili. Sono una promessa che ci supera, e che ci sfida. Perché il dolore per Martina è troppo grande. È un grido. Un pugno. È una domanda senza risposta. È l’abisso. Ma proprio lì, nell’abisso, Dio non si ritrae. Non vi lascia. Allo stesso modo di come non ha lasciato Martina che oggi è custodita nel suo cuore, lì dove nessuna violenza potrà mai raggiungerla, e dove la felicità che desiderava nei suoi sogni di adolescente, immaginando il suo futuro, le viene donata in abbondanza dal Dio della vita.

E da lì quest’oggi ci parla, da lì ci chiede non solo lacrime, ma anche verità. Non solo dolore, ma coraggio. Perché il dolore di oggi ci impone di dire, senza paura, senza ambiguità, una parola netta:

Martina è morta per mano della violenza. È morta per mano di un ragazzo che non ha saputo reggere un rifiuto, un limite, una libertà, togliendo il futuro non solo a Martina ma anche a se stesso! Martina è morta per un’idea malata dell’amore. Un’idea ancora troppo diffusa, troppo tollerata, troppo silenziosa.

Fratelli e sorelle, questa è la tragedia che sta attraversando i nostri adolescenti e non di meno gli adulti. Una generazione che spesso cresce senza mappe, senza guida, senza veri riferimenti. Una generazione smarrita, sola, connessa eppure disconnessa dalla vita vera.

E permettetemi di dire una parola, soprattutto ai ragazzi, di dire la mia preoccupazione soprattutto per quelli che non sanno più gestire la rabbia, che confondono il controllo con l’affetto, che pensano ancora che amare significhi possedere. Che vedono la donna come qualcosa da ottenere, da tenere, da non perdere mai. Che se vengono lasciati si sentono umiliati, feriti, e trasformano il dolore in odio. Un odio che uccide. È femminicidio. Chiamiamolo con il suo nome. Non è follia. Non è gelosia. Non è un raptus. È il frutto amaro di un’educazione che ha fallito. Di un linguaggio che normalizza la violenza. Di un silenzio colpevole!

E allora, oggi, accanto al dolore, io sento il dovere di dire: Basta. Basta parole deboli. Basta giustificazioni.

E vorrei dire ai ragazzi qui presenti, agli amici di Martina e ai giovani di questa nostra terra: fate in modo che questa morte non sia vana. Trasformate le vostre lacrime in impegno, il vostro dolore in una rabbia pacifica, capace di costruire e rovesciare le sorti di questo nostro sistema violento e malato.

E lo dico soprattutto a voi, ragazzi: stanate dentro di voi quei pensieri distorti riguardo all’amore, guardate in faccia le vostre ferite e difficoltà, liberatevi dall’idea del possesso, imparate a gestire la frustrazione, chiedete aiuto quando dinanzi a un “no” la rabbia vi divora, ve ne prego, lasciatevi aiutare in questo! Non restate soli! Non affidate solo ai social le vostre emozioni: non bastano un post o una storia per guarire un cuore che grida. Cercate il coraggio di dare fiducia a chi può davvero ascoltarvi. Affidatevi a quegli adulti che ci sono – e ci sono davvero: i docenti delle scuole, gli educatori delle nostre parrocchie, i tanti professionisti competenti che potete incontrare sul vostro cammino. Chiedete aiuto, prima che sia troppo tardi. Le emozioni hanno bisogno di spazi veri, di parole dette guardandosi negli occhi, di mani che sanno accogliere. C’è una rete viva e forte che può sostenervi, molto più vera di qualsiasi connessione digitale.

Oggi, davanti a Martina, dobbiamo assumerci tutti una responsabilità collettiva. Oggi, davanti a lei, dobbiamo impegnarci affinché a tutti, piccoli e grandi, sia chiaro che l’amore non è possesso. L’amore non è controllo. L’amore non è dipendenza. L’amore vero rende liberi. L’amore vero non trattiene, non costringe, non punisce. Se amare ti fa male, non è amore. Se per amore devi annullarti, non è amore. Se per amore arrivi a fare del male, non è amore ma solo violenza. E la violenza non è mai giustificabile. Mai.

E voglio parlare anche agli adulti. A noi. Genitori, educatori, preti, formatori, politici. Che mondo stiamo costruendo per questi ragazzi? Che strumenti diamo loro per leggere le emozioni, per affrontare la delusione, per attraversare la frustrazione? Come li stiamo accompagnando a diventare uomini e donne capaci di rispetto, di tenerezza, di libertà? Non possiamo più rimandare. Non possiamo più dire “succede agli altri”. È successo qui. A Martina. A 14 anni. E questo deve bastare.

Martina ora è nel grembo di Dio. Ma il suo sangue grida. E grida giustizia, grida verità, grida un cambiamento che non possiamo più rinviare. Facciamo in modo che la sua morte non cada nel vuoto. Che la sua bellezza diventi seme. Che la sua memoria diventi impegno.

A te, Martina, oggi consegniamo il nostro amore, un amore che non muore, come non muori tu che nel Dio d’amore continui a vivere e a camminare con noi. Nel tuo nome – e nel nome di troppe, infinite donne – giuriamo di non tacere più. Mai più silenzio complice. Mai più indifferenza travestita da normalità.

A te, ai tuoi genitori, ai tuoi amici, al tuo sorriso spezzato, promettiamo un’altra storia. Un mondo dove nessuna ragazza debba più aver paura di amare. Dove dire “basta” non sia una condanna, ma un diritto. Dove essere donna sia una festa, non una minaccia. Un mondo dove ogni adolescente – maschio o femmina – impari che amare è donarsi. Non possedere. Non ferire. Non uccidere. Un mondo dove la libertà non spaventi, ma educhi. Dove il cuore sia formato, non deformato. Dove la forza sia tenerezza, dove la vita abbia finalmente l’ultima parola, dove l’amore, quello vero, sia più forte di ogni violenza.

Amen.

«Non siamo qui per pregare per Martina. Siamo qui per pregare con Martina. Vogliamo unirci tutti alla famiglia, alla comunità nel dolore. Dinanzi a questa morte possiamo professare la fede» ha detto il cardinale Mimmo Battaglia a inizio celebrazione.

Tanta gente sta affollando l’esterno e l’interno della chiesa, per dare l’ultimo saluto alla ragazzina. Molti non conoscevano la 14enne ma sono andati al funerale per far sentire la loro vicinanza alla famiglia: “Poteva essere mia figlia”, dice una mamma. Alcuni indossano una maglia col volto di Martina, altri hanno affisso striscioni e palloncini.

Ad Afragola è stato proclamato il lutto cittadino.Il sindaco di Afragola, Antonio Pannone, “facendosi interprete del dolore di tutta la comunità afragolese”, ha firmato l’ordinanza con cui è stato proclamato il lutto cittadino per l’intera giornata di domani. “Si invita tutta la cittadinanza a unirsi al cordoglio per questa gravissima e incolmabile perdita, stringendosi intorno ai familiari e agli amici di Martina”, si legge in una nota del Comune.

“Ho colpito Martina mentre era in ginocchio”: la confessione di Alessio Tucci

Il primo colpo l’ha raggiunta alla nuca, quando lei si era girata di spalle per evitare un abbraccio. Un colpo violento, sferrato con una pietra, che però non è stato fatale. Martina Carbonaro si è accasciata sulle gambe, in ginocchio, una mano sulla testa ferita e l’altra a cercare sostegno su una colonna. Poi, almeno altri due colpi sono seguiti. Quindi l’agonia, la cui durata potrà essere determinata solo dai medici. Sono questi i primi riscontri emersi nell’indagine sul tragico omicidio avvenuto ad Afragola, resi noti a poche ore dalla conclusione dell’autopsia.

I consulenti incaricati dell’esame medico-legale avranno a disposizione circa un mese per rispondere a una serie di quesiti fondamentali: l’orario del decesso, il numero preciso dei colpi ricevuti e il livello di resistenza che Martina è riuscita a opporre. Nel frattempo, il corpo della giovane è stato restituito alla famiglia per i funerali, che si terranno oggi alle 15 nella basilica di Sant’Antonio ad Afragola.

Dai primi accertamenti sul corpo, e anche dalle dichiarazioni rese venerdì scorso da Alessio Tucci, il 19enne ex fidanzato, davanti al gip del Tribunale di Napoli Nord, emergono nuovi particolari sulle modalità dell’omicidio. Dopo il primo colpo, Martina è crollata in ginocchio. Successivamente, altri due colpi l’hanno raggiunta in pieno volto, segno che l’aggressore potrebbe essersi portato davanti a lei per colpirla frontalmente.

Questo dettaglio aggrava ulteriormente la posizione del giovane, accusato di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà. “Mi vergogno, non ero in me – ha dichiarato Tucci al giudice –. L’ho colpita quando era di spalle, lei si è accasciata verso il muro. Altri due colpi. Ed è rovinata a terra. A questo punto ho cominciato a urlare il suo nome. La chiamavo: ‘Martina, Martina’, ho cercato di sollevarla, ma era ormai morta”.

La versione fornita dall’indagato, però, appare in contrasto con quanto ipotizzato nelle prime fasi delle indagini. Resta infatti la possibilità che Martina, appena 14 anni, fosse ancora viva quando è stata lasciata all’interno del rudere dell’ex stadio Moccia di Afragola. Si sospetta che respirasse ancora quando è stata coperta da detriti e da un vecchio armadio. Ma per avere conferme, bisognerà attendere i risultati definitivi dell’autopsia.

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Antonio Mangione
Antonio Mangionehttp://www.internapoli.it
Giornalista pubblicita iscritto dalll'ottobre 2010 all'albo dei Pubblicisti, ho iniziato questo lavoro nel 2008 scrivendo con testate locali come AbbiAbbè e InterNapoli.it. Poi sono stato corrispondente e redattore per 4 anni per il quotidiano Cronache di Napoli dove mi sono occupato di cronaca, attualità e politica fino al 2014. Poi ho collaborato con testate sportive come PerSempreNapoli.it e diverse testate televisive. Dal 2014 sono caporedattore della testata giornalistica InterNapoli.it e collaboro con il quotidiano Il Roma