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Minacciò la mamma di Gelsomina Verde, la Dda apre un’inchiesta

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Omicidio di Gelsomina Verde: nella giornata di mercoledì il gup di Napoli Valentina Giovanniello, accogliendo la richiesta dei pm Maurizio de Marco e Stefania Di Dona, ha condannato a trent’anni di reclusione in primo grado, al termine del processo celebratosi con rito abbreviato, Luigi De Lucia e Pasquale Rinaldi, alias o “Vichingo”. I due erano accusati di aver scortato e seguito – con l’arma utilizzata per il delitto –  l’auto su cui viaggiava la ragazza a bordo della quale si trovava anche una terza persona facente parte del commando che rapì Mina portandola nel luogo dove poi fu uccisa.

La sentenza emessa non trova il favore il fratello di “Mina”, Francesco Verde, che a InterNapoli afferma: «Non sono soddisfatto. Si sapeva da un vita che queste persone c’entravano con la morte di Gelsomina, ma sono state arrestate soltanto nel 2023. Per tanti anni sono rimasti fuori dal carcere».

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La storia di Gelsomina Verde

L’omicidio di Gelsomina Verde è quello che ha colpito di più durante la prima faida di Scampia che insanguinò buona parte dell’area Nord di Napoli tra l’autunno del 2004 e l’inverno 2005. La ragazza, all’epoca 21enne, fu sequestrata da tre uomini ritenuti appartenenti al clan Di Lauro che volevano sapere da lei dove si trovasse Gennaro Notturno, detto “o’ sarracino”,  facente parte degli “Scissionisti” che si contrapposero proprio ai Di Lauro in quella sanguinosa guerra di camorra e con il quale Gelsomina aveva avuto una breve relazione.

Gelsomina non sapeva dove si trovasse “o’ sarracino”,  ma nonostante cercasse di convincerli venne creduta dai suoi aguzzini che, convinti del contrario, la torturarono brutalmente prima di ucciderla e bruciare il cadavere all’interno della sua auto. Riconosciuto dalla giustizia come colui che premette il grilletto è stato Ugo De Lucia, cugino di Luigi, già condannato all’ergastolo e Pietro Esposito quest’ultimo diventato poi collaboratore di giustizia.

Le parole del fratello di Gelsomina

Il fratello di Gelsomina, afferma: «Non sono soddisfatto. Si sapeva da un vita che queste persone c’entravano con la morte di Gelsomina, ma sono state arrestate soltanto nel 2023. Per tanti anni sono rimasti fuori dal carcere. Soltanto grazie alle dichiarazioni di alcuni pentiti si è arrivati a tale sentenza».  Inoltre, aggiunge Francesco, «gli imputati hanno scelto il rito abbreviato. Potrebbero anche usufruire di benefici e uscire tra meno di vent’anni. Io non me la prendo certo con il giudice e il pm, che hanno dato il massimo della pena, ma con i legislatori. Nei fatti, l’ergastolo lo sta scontando soltanto Mina e lo stiamo scontando noi familiari. In più, visto che sono passati vent’anni dal delitto – prosegue Francesco Verde – per i condannati è caduta l’aggravante delle armi che avrebbe potuto prevedere una pena anche superiore ai 5 anni». 

La denuncia di minacce alla mamma di Gelsomina

Anna Lucarelli, la mamma di Gelsomina Verde, ha denunciato di aver subìto nei mesi scorsi minacce durante il processo da parte del padre di uno degli imputati. Secondo quanto afferma Francesco, tale soggetto avrebbe detto alla mamma della vittima che sarebbe diventato il suo «incubo» e che le avrebbe «fatto la fine» di sua «figlia». Da quanto risulta, l’autore di tali presunte minacce sarebbe stato arrestato per altri reati. Dopo la denuncia della madre di Gelsomina Verde, il fascicolo è ora in mano al pm della Dda Giugliano. Durante il processo di mercoledì, alla lettura della sentenza, Anna Lucarelli ha inveito contro uno dei due imputati collegati in videoconferenza.

Il riconoscimento di vittima innocente

Gelsomina, dopo un iter non poco travagliato, è stata riconosciuta vittima innocente. «Abbiamo vinto questa battaglia. Ho portato il caso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e la Corte di Appello ci ha dato ragione».

Francesco, un passato in carcere che si è lasciato alle spalle cambiando totalmente vita, è arrabbiato. «Su di noi sono state dette tante cose, ma ora voglio togliermi dei sassolini dalle scarpe. Dopo le ultime novità, è giunto il momento che il Comune di Napoli intitoli quanto una strada o una piazza a mia a Gelsomina, che è vittima innocente come persone illustri quali Giovanni Falcone, Paolo Borsellino o Raffaele Granata ucciso dalla camorra per essersi ribellato al pizzo. Se il Comune si è costituito parte civile nel processo, allora faccia qualcosa di concreto che tenga vivo il suo ricordo».

Gelsomina è andata incontro a un destino atroce, come ricorda Francesco. «Le hanno rotto le dita, spaccato i denti e spezzato il piede destro, l’unica cosa che mi ha permesso di riconoscerla quando il suo cadavere carbonizzato. Non meritava una fine così. Conosceva persone di entrambe le fazioni che si facevano allora la guerra soltanto perché faceva volontariato e doposcuola e voleva dare una speranza di un futuro ai ragazzini destinati ad avere una vita segnata come i loro parenti. Di certo non faceva parte di nessuno dei gruppi contrapposti. Lei non tornerà, ma noi abbiamo riacquistato dignità. Vogliamo andare avanti a testa alta. Più lo facciamo, più i responsabili si piegheranno». 

 

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Antonio Sabbatino
Antonio Sabbatinohttp://InterNapoli.it
Iscritto all'Albo dei pubblicisti dall'ottobre 2012, ho sviluppato nel corso degli anni diverse competenze frutto dell’esperienza sul campo in ambito politico, sociale, della cronaca, sia bianca che nera. Sono stato conduttore radiofonico di programmi musicali presso Radioattiva, radio web napoletana e redattore e collaboratore di diverse testate online. Attualmente sono inviato per InterNapoli.it che rappresenta una delle realtà più dinamiche del panorama giornalistico napoletano, campano, la neonata testata Tell che approfondisce i grandi temi politico-sociali a più livelli e Comunicare il Sociale rivista specializzata di Terzo Settore. Vincitore di diversi premi giornalistici locali e nazionali, sono mosso sempre dalla curiosità: il vero sale di questo mestiere.
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