Colpo di scena sul caso della movida rumorosa a Napoli. La IV Sezione Civile del Tribunale di Napoli ha cancellato l’ordinanza del 28 gennaio 2025, secondo la quale il Comune di Napoli avrebbe dovuto “adottare tutte le misure necessarie a riportare le immissioni per cui è procedimento al di sotto della soglia della normale tollerabilità“, condannando le parti resistenti a “pagare la somma di euro 500 a ciascuno dei ricorrenti per ogni giorno di ritardo a decorrere dal 30° giorno successivo alla notificazione della presente ordinanza“.
Il Tribunale: “Non ci sono certificati medici che attestino un danno alla salute“
Infatti il collegio ha accolto le tesi degli avvocati dei proprietari dei bar e dei locali del centro storico di Napoli, i quali hanno rilevato l’insussistenza dei presupposti per la presentazione di un ricorso d’urgenza, da parte dei residenti in Vico Quercia. “I ricorrenti non hanno adeguatamente allegato, prima ancora che provato, la ricorrenza, per ciascuno degli stessi, del pericolo di danno alla salute derivante dalle lamentate immissioni acustiche addebitate all’attività posta in essere dai locali citati in giudizio“, argomenta il Tribunale, rilevando l’inesistenza di “certificati medici che attestino che i ricorrenti, da quando sono iniziate le denunciate immissioni, abbiano subito un peggioramento delle loro condizioni di salute“.
In definitiva, “di scarso valore ai fini probatori” – dunque assolutamente generiche – sarebbero le testimonianze del ricorso cautelare apportate dai residenti a gennaio. “I ricorrenti hanno rappresentato unicamente la generica possibile lesione del diritto alla salute, come conseguenza notoria della presenza di locali notturni in un centro abitato, nulla specificando in merito alla propria condizione particolare, asseritamente messa in pericolo dall’attività dei resistenti (i gestori del locali, n.d.r.) e dall’indifferenza del Comune“, scrivono in definitiva i giudici.
Ma non è tutto. Gli avvocati hanno infatti messo in discussione l’incombenza del pericolo, visto che già nel 2020 i residenti che si sono appellati al tribunale si erano riversati nelle strade del centro storico, quando furono rilasciate ben 35 autorizzazioni ai locali della movida. “Dunque le immissioni delle quali si lamentano i ricorrenti hanno avuto inizio con ogni probabilità all’incirca 4 anni fa“, hanno scritto i giudici.
Il Comitato Vivibilità Cittadina annuncia battaglia
Ma adesso per i residenti arriva un’amara sorpresa: dovranno infatti liquidare ben due terzi delle spese di lite ai gestori dei locali. Il restante un terzo sarà invece a carico di Palazzo San Giacomo. E il Comitato Vivibilità Cittadina non è rimasto in silenzio di fronte al verdetto del Tribunale. Giovanni Citarella, membro del comitato, ha infatti commentato la vicenda come “un grave passo indietro nella tutela della salute dei cittadini di Vico Quercia“.
Ormai la battaglia è ufficialmente aperta: “Con questa nuova decisione la IV Sezione Civile smentisce oltre dieci anni di giurisprudenza sulla materia della medesima sezione del Tribunale di Napoli, affermando che l’esposizione a immissioni acustiche intollerabili — pur accertata e superiore ai limiti di legge — non è sufficiente a dimostrare un danno grave alla salute. Le condizioni di vita in Vico Quercia sono note: il rumore è continuo, insopportabile e rende le abitazioni praticamente inabitabili, causando effetti concreti e visibili sulla salute degli abitanti“, tuona in una nota il Comitato.
Del resto, “numerose pronunce di Tribunali e Corti di Appello del Nord Italia, in contesti con minori criticità ambientali rispetto a Napoli, hanno sempre ribadito e ribadiscono l’urgenza di intervenire per fermare le lesioni al diritto alla salute derivanti da rumori notturni molesti. Lo stesso vale per la giurisprudenza della Cassazione – si legge ancora nella nota – sia civile che penale che ormai è costante. Ci rammarica constatare che la IV sezione del Tribunale di Napoli si sia discostato da una linea giuridica consolidata, arrecando un grave danno ai cittadini che di fatto vengono abbandonati a loro stessi. Una posizione tanto più sorprendente considerando che lo stesso Comune di Napoli non aveva impugnato il provvedimento originario, riconoscendone la fondatezza“.