Un unico colpo di pistola con il corpo poi caricato su un’auto e lasciato in una strada del Don Guanella. Questa la morte di Domenico Gargiulo ‘sicc e penniell’, esecuzione che ha visto in azione la joint venture criminale tra i Licciardi e i Sautto-Ciccarelli del Parco Verde di Caivano. Quell’omicidio è stato ricostruito nell’ordinanza eseguita questa mattina dagli uomini della squadra mobile nei confronti di otto persone tra cui il reggente dei Licciardi per il Don Guanella, Antonio Bruno detto Michelò, e Gennaro Sautto dell’omonimo gruppo di Caivano. Gargiulo era già scampato a due agguati, uno clamoroso in cui perse la vita l’innocente Lino Romano e l’altro alle Case celesti e in quel caso provvidenziale fu un difetto di funzionamento dell’arma che avrebbe dovuto finirlo.
L’omicidio di Gargiulo al Don Guanella
E’ il 6 settembre del 2019 quando Gargiulo esce di casa per una commissione al Don Guanella. Non tornerà più: il giorno dopo i parenti, non riuscendo più a contattarlo, sporgono denuncia di scomparsa presso il commissariato di Scampia. Il corpo di ‘sicc e penniell’ verrà trovato dopo qualche ora in viale Zuccarini nel bagagliaio di una Ford C-Max. Nella zona però vi sono alcune telecamere che immortalano il passaggio di Gargiulo con la sua Ypsilon e della Ford. Successivamente le telecamere immortalano i passaggi di diverse persone in scooter, tra questi vengono identificati Vincenzo Pernice e Vincenzo Caiazzo, indicati dalla Procura come gli esecutori del delitto. Tra i primi a parlare di questo delitto vi è stato il collaboratore di giustizia Vincenzo Iuorio che ha spiegato:«Gargiulo mi disse che gli Abbinante volevano ucciderlo come responsabile delle Case celesti ed era la vendetta per l’assassinio del cugino di Bastone, Roberto Ursillo. So che Abbinante volevano ucciderlo perchè il figlio e i nipoti avevano preso l’ergastolo per la morte di Lino Romano (Gargiulo doveva essere la vittima designata ndr)». Iuorio poi racconta che alcune ore dopo il delitto fu convocato da Bruno presso la sua abitazione:«Arrivo sotto il palazzo e appena arrivo lui mi fa: ‘Fratm’, mi baciò sulla bocca e disse ‘Si frat a me’. Credo che Antonio Bruno volesse rassicurarmi che era tutto apposto e che non dovevo preoccuparmi. Era un chiaro segno del suo coinvolgimento nel delitto». Gennaro Sautto era all’estero ma per il collaboratore di giustizia era un modo per crearsi un alibi.