Nella rappresentazione folkloristica e superficiale della nostra città anche le morti di Arcangelo Correra, Santo Romano e Emanuele Tufano rischiano di essere dissipate in una tragica predestinazione. Le ricostruzioni degli inquirenti, seppure necessarie ad accertare fatti e circostanze, si prestano, inconsapevolmente, ad un’assoluzione di una parte della cittadinanza benpensante.
Una citta che cambia volto
Le giovani vittime e i colpevoli sembrano condividere un tragico destino dei figli di Napoli, città intimamente violenta resa tale dalle idiosincrasie socio-economiche. In questo clima di spaesamento etico, la nostra città sta cambiando volto a partire dai suoi marciapiedi. Napoli è diventa la meta di un turismo mangereccio e predatorio: la dimostrazione è il proliferare di attività ristorative e alberghiere nel centro storico le stesse che impongono una diaspora ai suoi abitanti. Proprio gli storici residenti subiscono l’allontanamento senza poter porsi in dialettica con i cambiamenti imposti dalla turistificazione.
Napoli tra giorno e la notte
Così Napoli appare pittoresca da mattina a sera tra pizzerie affollate, pasticcerie opulente, monumenti e chiese malmesse, fino ai suoi alloggi incastonati nei palazzi storici, spesso sventrati dalle speculazioni edilizie. Durante il giorno Parthenope appare come un parco giochi affollato da personaggi caratteristici, ammiccanti prede degli smartphone.
La notte di Napoli, però, è tutt’altra cosa. La città torna oggetto del desiderio dei giovani napoletani, anche di quelli che dalla provincia peregrinano fino ai quartieri del centro storico. Marginalizzati dal precariato e dalla noia diurna dello smartphone, tornano presenti in carne e ossa quando gli adulti, fiaccati dal lavoro altrettanto precario, si ritirano. In questo momento avviene una scissione sociale-esistenziale tra gli adulti e i giovani.
I giovani tornano in strada
Tenuti fuori dal processo decisionale sul destino della loro città, i ragazzi si riappropriano dei marciapiedi e delle strade. L’assalto ai baretti, alle vinerie e ai locali testimonia uno spunto di affermazione esistenziale da parte dei ragazzi, ma l’atteggiamento di fruizione resta confuso. Parlano, mangiano, bevono, si innamorano e, spesso contro ogni forma vitalistica, si aggrediscono. C’è in alcuni una forte istanza di affermazione violenta che non è mai la premessa del disagio, bensì, il sintomo finale.
Il possesso di vestiti costosi, di un’arma, di un veicolo potente sono simulacri dell’insoddisfazione che alla fine possiede colui o colei che acquista il prodotto. Avere un’arma a Napoli può rispondere sia alle esigenze di affermazione che a quelle di difesa, entrambe sottendono un pericolo. Il ribaltamento così è completo: si è schiavi dagli oggetti posseduti.
A Napoli si muore di noia
Arcangelo muore per un colpo partito all’improvviso, Santo viene centrato da un proiettile esploso da un suo coetaneo dopo una lite ed Emanuele cade morto sull’asfalto nello scontro tra babygang. La nostra città deve fare i conti con questi tre giovani morti in meno di venti giorni.
Così le istituzioni tentano di dare risposte legalitarie, come la presenza delle forze dell’ordine e l’installazione delle videocamere, ma non ascoltano le vere istanze sottaciute da vittime e presunti carnefici. A Napoli si muore di noia, quella stessa che non può essere colmata dalla proiezione sui social di una vita artefatta e inquinata dall’estetica della potenza e dall’affermazione.
Il martire e il peccatore
La ricerca dei colpevoli di un delitto è sacrosanta ma rischia di avere una mera funzione rassicuratrice. Invece siamo noi, i meno giovani e più anziani, ad aver creato i presupposti all’insensatezza del piombo o delle lame. Si arrestano i responsabili delle ingiustificabili violenze: il mostro viene identificato e dato in pasto alla pubblica piazza nel tentativo di esorcizzare il male in una classica dinamica cattolica del martire e del peccatore. Tutto questo ci assolve, ci tranquillizza e ci fa credere che il caos resti fuori la nostra porta di casa. Ma è nell’attesa notturna di un nostro caro che quella paura della violenza deflagra nel nostro sentire.
I giovani nel deserto dell’arrivismo
Ai più giovani abbiamo consegnato una quotidianità scandita dall’arrivismo e dal risultato economico ad ogni costo: l’affermazione viene prima di tutto. La giovane età è un momento di sano spaesamento in cui tutti abbiamo cercato i nostri riferimenti e modelli comportamentali. Oggi in questa ricerca i ragazzi, però, vedono adulti ipnotizzati dai dispositivi e storditi dalle piattaforme delle tv. Così l’unica risposta è la fuga dalle case e, proprio in quel viaggio notturno, può materializzarsi la tragedia. Abbiamo costruito una società in cui la cultura, se non redditizia e sfruttata, è inutile e decorativa. Il peso culturale e sociale è dato da un punto di vista quantitativo: soldi, visibilità e successo.
Il resto è deserto. Così, è tra le dune che i giovani si sentono marginalizzati e tentano di riaffermarsi, perché la forza biologica bussa con i pugni sulla porta della loro coscienza. Spesso i ragazzi iniziano a morire quando ci disinteressiamo a loro, salvo poi commentare in modo pietistico o inutilmente giudicante i loro gesti: in realtà sembra non interessarci la loro sorte perché vogliamo solo far notare il simulacro della nostra morale. Delle morti di Arcangelo, Santo, Emanuele, Francesco Pio Maimone, Giovanbattista Cutolo e di tanti altri siamo tutti colpevoli perché siamo intimamente disinteressati oppure la nostra attenzione dura il tempo di un post sui social.