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giovedì, Maggio 2, 2024
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Stupro di Palermo, è caccia su Telegram ai video della violenza: “Pago bene”

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In seguito alla violenza sessuale di gruppo avvenuta a Palermo è partita la caccia ai video dello stupro.

La caccia al video 

Da qualche giorno il numero dei gruppi Telegram creati ammontava a 3, di cui due pubblici e uno privato. Questi, soltanto all’inizio contavano tra 12mila e 14mila iscritti. Ad oggi i gruppi Telegram in azione sono circa una decina e le intenzioni che lo gestiscono sono caratterizzate da una crescente pericolosità per chi decide di entrarci.

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La terribile vicenda dello stupro di gruppo a Palermo continua ad infiammare il dibattito social. Con derive, in alcuni casi, molto pericolose. Le foto dei profili Facebook dei giovani finiti nell’inchiesta sono state postate e condivise con migliaia di visualizzazioni. Commenti pieni d’odio su ogni piattaforma – da Fb a Twitter, da Instagram a TikTok – ma anche curiosità morbosa.

Su Telegram in poche ore si sono formati tre gruppi, due pubblici e uno privato, che inizialmente contavano tra 12mila e 14mila iscritti, ma che adesso si sono dimezzati, con l’unico obiettivo di trovare il video dello stupro di gruppo di cui è stata vittima la ragazza di 19 anni.

Cosa rischia chi entra nei gruppi Telegram?

La Polizia Postale, offre una serie di delucidazioni in merito alle ripercussioni mosse dall’irragionevole comportamento, ad oggi, ottemperato dalla gran parte di persone venute a conoscenza dello stupro di gruppo che ha coinvolto una ragazza 19enne di Palermo. La Polizia Postale inizia con l’identificazione della natura di questi gruppi; questi sono dedicati alla diffusione di link di spam o di pornografia, o di tecniche di phishing per entrare in possesso dei dati personali di chi vi accede.

Il furto dei propri dati personali e l’abolizione di un regime di privacy, però, non sono le uniche conseguenze verso le quali si imbattono le persone pervase da questa malsana curiosità. Condividere, così come ricercare un contenuto intriso di violenza e atti illeciti al di là della metodologia e della piattaforma social prescelta, costituisce un vero e proprio reato. La matrice che punisce condivisione e ricerca ha alla sua base, come colpa, la diffusione del contenuto. Contare sull’anonimato del proprio account è da escludere, in quanto, in casi gravi come questo che riguardano uno stupro, a collaborare sono anche coloro che gestiscono la piattaforma e che possono quindi risalire ai dati del diffusore.

 

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