La Sicilia rompe il silenzio e interviene concretamente sul diritto all’aborto. L’Assemblea Regionale ha approvato, all’interno del disegno di legge 738 per il riordino del sistema sanitario, una norma destinata a fare storia: obbligare le aziende sanitarie pubbliche a garantire la presenza di personale non obiettore di coscienza nei reparti dove si pratica l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG).
Una decisione forte, nata dalla necessità di dare piena attuazione alla legge 194 del 1978, che garantisce il diritto all’aborto in Italia, ma che in Sicilia – come mostrano i dati del Ministero della Salute – spesso resta lettera morta. Nell’isola, infatti, solo il 47,3% delle strutture ospedaliere dotate di ostetricia e ginecologia pratica l’IVG, contro una media nazionale del 61,1%.
Le percentuali di obiettori sono altissime: 81,5% tra i ginecologi, 73,1% tra gli anestesisti, 86,1% nel personale non medico. A Messina, addirittura, non esiste alcun medico disponibile a praticare l’aborto, mentre a Trapani ce n’è uno solo.
I contenuti della norma: tre punti chiave
L’articolo 3 della legge prevede:
- Reparti IVG obbligatori in tutte le aziende sanitarie regionali dove non siano già presenti, per una copertura territoriale omogenea;
- Assunzione vincolata: nei nuovi concorsi dovrà essere specificata la richiesta di personale non obiettore;
- Clausola risolutiva: se un medico assunto come non obiettore cambia successivamente posizione, l’azienda potrà risolvere il contratto e sostituirlo tempestivamente.
Un voto segreto, un segnale politico
La norma è stata approvata con 27 voti favorevoli e 21 contrari, grazie al voto segreto che ha permesso anche ad alcuni deputati della maggioranza di centrodestra di sostenere la misura. L’emendamento è stato presentato da Dario Safina (PD), che ha parlato di “una battaglia di civiltà e un traguardo storico per la sanità siciliana”.
Ancora in ritardo sull’aborto farmacologico
Resta però un’altra criticità: la mancata applicazione delle linee guida nazionali sulla RU486. La Regione Sicilia, infatti, non ha mai autorizzato la somministrazione della pillola abortiva nei consultori e negli ambulatori, come previsto dalla circolare del Ministero della Salute del 2020. Un limite che continua a rendere difficile l’accesso a un metodo meno invasivo e più facilmente fruibile dalle donne che vivono lontano dai grandi centri.
Una norma che potrebbe fare scuola
La misura siciliana è tra le prime in Italia ad affrontare strutturalmente l’impatto dell’obiezione di coscienza sull’accesso all’aborto. Un possibile precedente per altre regioni, ma anche un banco di prova sul bilanciamento tra diritti individuali – come l’obiezione – e diritti collettivi, come quello all’assistenza sanitaria.
È una tappa importante, forse controversa, ma necessaria per chi ogni giorno si scontra con un sistema che, di fatto, nega un diritto riconosciuto dalla legge da quasi cinquant’anni.