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L’ORO DI NAPOLI

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A volte ritornano, a distanza di anni. Era il lontano 1992 quando la Procura di Napoli con l’inchiesta “Adelphi” ricostruiva, per la prima volta in Italia, i contorni di una vera e propria holding criminale dedita allo smaltimento abusivo dei rifiuti. Titolari dell’inchiesta erano i pubblici ministeri Giuseppe Narducci e Aldo Policastro, che scoprirono un connubio tra fratelli massoni appartenenti a logge toscane, boss casalesi e imprenditori aversani: una consorteria mafiosa che deteneva il controllo sulle attività di raccolta, trasporto e smaltimento di rifiuti nella zona. Il processo, conclusosi con alcuni arresti, prosciolse l’imputato Cipriano Chianese, avvocato e imprenditore che per anni aveva gestito la Setri, società specializzata nel trasporto di rifiuti speciali dall’estero al territorio di Giugliano-Villaricca (Comuni che occupano la zona nord della provincia di Napoli).
Eppure, dopo 14 anni, gli atti di quell’inchiesta, confluiti per intero in una nuova indagine della Dia di Napoli, hanno infine portato al fermo di Chianese. Il primo arresto “eccellente” nella lotta all’ecomafia.



L’accordo con il clan
. Lo scorso 4 gennaio il 56enne avvocato e imprenditore di Parete (Caserta), è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione e violazione di sigilli, perché coinvolto nelle attività di smaltimento illecito di rifiuti gestite dal clan dei Casalesi.
Non è stato un caso che l’ordinanza di custodia cautelare emessa nei suoi confronti sia stata firmata, tra gli altri, dal pm della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Narducci, la memoria storica del primo processo che lo vide imputato, nel 1992.
Secondo gli investigatori, dal 1988 al 1996, Chianese avrebbe agevolato le attività del clan camorristico guidato prima da Antonio Bardellino, poi da Francesco Schiavone detto ‘Sandokan’, da Francesco Bidognetti e da Vincenzo De Falco, avvalendosi di una duplice veste: in qualità di imprenditore, avrebbe agito come trasportatore ed intermediario per la gestione dei rifiuti (nocivi e non); come avvocato avrebbe sfruttato i mandati difensivi per veicolare messaggi tra i singoli partecipanti alle attività mafiose e i vertici del clan. Secondo l’accusa, Chianese avrebbe peraltro offerto i suoi uffici per lo svolgimento di riunioni tra gli affiliati.
L’indagine, che prosegue quella del 1992, ha acquisito anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, secondo i quali Chianese avrebbe sfruttato la sua vicinanza al clan dei Casalesi per appropriarsi – a basso costo – di terreni e fabbricati, ottenendo inoltre il sostegno del gruppo camorristico durante le politiche del 1994 (si presentò nelle liste di Forza Italia, ma non fu eletto) e il permesso di smaltire i rifiuti.


Nessuno escluso. In questa seconda fase dell’inchiesta, la Dia è riuscita a fare piena luce sui contatti tra Camorra, massoneria, colletti bianchi, politici ed industriali disinvolti.
Le centinaia di fascicoli al vaglio della Procura, interi faldoni di documenti riguardanti l’attività di Chianese, descrivono uno scenario ramificato: emergono tracce dei rapporti che l’avvocato-imprenditore ha avuto per anni con «alte personalità» della burocrazia regionale, delle province di Napoli e Caserta e degli apparati investigativi. La Procura sta inoltre vagliando la natura degli incontri occasionali tra l’avvocato casertano e un agente del Sisde.
Tra i filoni dell’inchiesta si riaffaccia anche il nome di Licio Gelli, l’ex “maestro venerabile” della loggia massonica P2, che la Procura di Napoli, già nel 1992, aveva individuato come capo della cupola finanziaria e camorristica che gestiva il business dello smaltimento.


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Provvedimenti d’urgenza. Tra i 25 indagati dalla Procura compare anche il nome di Giulio Facchi, ex sub-commissario per l’emergenza rifiuti nella Regione (la Campania vive quest’emergenza già da 12 anni). Anche per lui era stato richiesto l’arresto, ma il gip lo ha rigettato per mancanza di esigenze cautelari (Facchi non è più sub-commissario). Il suo nome è legato a quello di Chianese per via delle cave X e Z, discariche abusive in località Scafarea, a Giugliano (Na), di proprietà della Resit, società gestita dall’imprenditore arrestato, ed acquisite dal Commissariato di Governo durante l’emergenza rifiuti del 2003. Impianti che sarebbero dovuti essere chiusi e bonificati e che invece – come emerge dalle indagini – dal 2001 al 2003 hanno proseguito le loro attività di smaltimento con modalità illegali e senza le necessarie garanzie di tutela ambientale. Secondo gli inquirenti, l’ex sub-commissario avrebbe emesso provvedimenti a favore della Resit – rendendosi colpevole di truffa e falso ideologico – per una spesa superiore a 37 milioni di euro, 17 dei quali sarebbero stati «effettivamente liquidati e corrisposti». Accuse rispedite al mittente dallo stesso Facchi, in un’intervista rilasciata all’edizione napoletana de «la Repubblica»: «Sono certo del mio operato e delle cose che ho fatto, e sono convinto che i provvedimenti adottati fossero tutti assolutamente corretti. In questi anni – aggiunge – la Camorra ha tentato di inserirsi nella partita rifiuti, è vero. Ma ha trovato vita dura spesso e volentieri a causa della mia presenza». Nel merito Giulio Facchi chiarisce: «I “corvi della politica”, che ora mi attaccano, dovrebbero ricordarsi quando, nel 2001, dicevano che a Napoli si affogava nei rifiuti perché Facchi non individuava nuove discariche. Ecco, la Resit ha contribuito a risolvere quell’emergenza. È vero che il proprietario ci ha guadagnato, ma ci avrebbe guadagnato anche il proprietario di una eventuale, diversa, discarica».


PEPPE RUGGIERO – NARCOMAFIE Febbraio 2006

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