Quella campana è una realtà tutt’altro che omogenea: con ciò non ci si
limita a ricorrere ancora una volta ad una metafora meramente descrittiva,
quella della “pelle di leopardo”, che ha contribuito a far evolvere lo
studio dello sviluppo nel Mezzogiorno, e che ormai dovrebbe far parte del
patrimonio acquisito (e consolidato) degli studi sul Sud. Si introduce invece un
elemento di elaborazione concettuale e di spiegazione.
Se per quel che riguarda l’analisi socioeconomica del Meridione la
disomogeneità degli ambiti regionali (ma anche provinciali) non farebbe
notizia, per lo studio della criminalità organizzata nella sua relazione con il
sottosistema economico in particolare e con la società nel suo complesso,
questa idea non si è ancora affermata del tutto, e soprattutto va in
controtendenza rispetto a certi luoghi comuni sulle mafie nel Sud.
Disomogeneità: questo termine va considerato in più sensi nella
ricostruzione del “caso Campania”.
Si ha infatti prima di tutto una difformità geografica: il fenomeno
camorrista non è lo stesso e non fa registrare la stessa intensità in tutti i
comuni campani. Si deve rilevare inoltre una discontinuità temporale:
tutt’altro che piaga immutabile della regione, la camorra manifesta spiccate
alternanze di intensità in vari momenti storici più o meno remoti. Vi è poi
una disomogeneità operazionale, perché nello stesso luogo e nello
stesso momento possono essere attivi, anche con notevole visibilità, più
gruppi nel complesso rispondenti a modelli di organizzazione camorristi, che però
operano con modalità diverse e diverse finalità. Infine si deve notare una
differenziazione settoriale delle pratiche di infiltrazione camorrista
nell’economia legale: essa è rilevante in alcuni ambiti imprenditoriali e non
in altri.
Prima di proporre un’interpretazione di questa disomogeneità è il caso di
ancorare la situazione campana ad alcuni indicatori tratti dal 30° Rapporto
sulla situazione sociale del paese del Censis (1996). Queste misurazioni
statistiche forniscono un quadro di riferimento quanto possibile oggettivo nel
quale disporre le testimonianze che verranno presentate nelle sezioni
successive.
Nella graduatoria regionale costruita sulla base della presenza sul
territorio dei soggetti economici, la Campania occupa il 18° posto su 20
regioni (indice sintetico pari a 44,1). La seguono altre due regioni di quello
che abbiamo definito Sud del Sud, ovvero Calabria e Sicilia; la precede con poco
distacco la Puglia. Nel breve periodo la situazione della Campania rispetto al
quadro nazionale risulta stazionaria, in quanto essa occupava la stessa
posizione nella graduatoria del 1993 (identiche posizioni in classifica
occupavano anche le altre regioni citate).
Ad un livello di risoluzione provinciale, la situazione appare più
articolata e dinamica. Il rating provinciale della concentrazione dei soggetti
economici rivela infatti che mentre le province di Avellino, Caserta, Benevento
e Napoli (nell’ordine) si trovano nel segmento basso della classifica
(posizionate rispettivamente al 79°, 81°, 82° e 91° posto), Salerno si pone
nel segmento medio-basso (al 71° posto), scavalcando due capoluoghi di regione
come Bari e Cagliari. E’ confermata nei fatti una differenziazione interna della
regione che, pur appartenendo al mezzogiorno più critico, presenta realtà di
medio sviluppo.
Ma la differenziazione la si rileva anche per quel che riguarda le tendenze
nel breve periodo. Tre delle province campane, ovvero Salerno, Benevento e
Caserta, hanno fatto registrare un miglioramento della loro posizione in
graduatoria dal 1993 al 1996 (sono passate, rispettivamente, dal 73° al 71°
posto, dall’84° all’82° e dall’85° all’81°), mentre Avellino e Napoli hanno
fatto registrare un leggero calo (passando rispettivamente dal 78° al 79°
posto e dell’89° al 91°).
In sintesi, dal punto di vista economico gli indicatori statistici da un lato
confermano che la Campania non solo appartiene al Mezzogiorno, ma anche a quella
fascia più problematica del meridione che è stata definita, in ambito Censis,
Sud del Sud; dall’altro fanno registrare all’interno dei confini regionali
diversi livelli di crescita economica e soprattutto diverse tendenze evolutive.
Per quel che riguarda la quantificazione statistica delle attività criminose
attribuibili alle organizzazioni criminali, non v’è dubbio che la situazione
campana sia ancora preoccupante e ciò è facilmente deducibile dalla tabella
1, che riporta i dati (nazionali e regionali) relativi agli omicidi per
motivi di mafia e ai reati di associazione di tipo mafioso (art. 416/bis c.p.).
Tab. 1 – Reati di tipo mafioso denunciati
dalle forze dell’ordine in Italia e in Campania, 1995
Tipi di reato | Campania | Italia | ||
. | v.a. | per 100.000 abitanti | v.a. | per 100.000 abitanti |
Omicidi per motivi di mafia, camorra, ‘ndrangheta |
113 | 1,96 | 240 | 0,42 |
Associazione di tipo mafioso |
41 | 0,71 | 200 | 0,35 |
Fonte: Elaborazione Censis su dati Istat
La Campania nel suo complesso presenta valori sensibilmente più alti di
quelli nazionali rapportati alla popolazione. E’ questo comunque un dato che va
scorporato a livello provinciale per cogliere le differenziazioni interne
rispetto a questi crimini, che costituiscono un primo indice della presenza ed
operatività di organizzazioni criminali.
Dai dati riportati nella tabella
2 risulta nettamente la concentrazione delle attività camorristiche nella
provincia di Napoli, e in misura minore in quella di Salerno e di Caserta;
mentre episodi tutto sommato sporadici si rilevano nelle restanti province.
Tab. 2 – Reati di tipo mafioso denunciati
dalle forze dell’ordine nelle province della Campania, 1995
Province |
CE |
BN |
NA |
AV |
SA |
Totale regionale |
Omicidi per motivi di mafia, camorra, ‘ndrangheta, v.a. |
23 |
1 |
87 |
1 |
1 |
113 |
Associazione di tipo mafioso, v.a. |
3 |
2 |
24 |
3 |
9 |
41 |
Fonte: Istat
Ma è opportuno valutare anche un gruppo di altri reati che possono essere
considerati “spie” dell’attività di organizzazioni criminali, delitti
peraltro che incidono in modo più diretto sull’ambito economico. Si tratta dei
furti di merci su automezzi pesanti, delle rapine di autoveicoli pesanti
trasportanti merci, degli attentati dinamitardi e/o incendiari, degli incendi
dolosi e delle estorsioni.
Un primo confronto tra il livello nazionale e quello regionale (tab.
3) offre dati diversificati: relativamente ad alcuni tipi di reati si rileva
una situazione più grave della regione rispetto ai dati nazionali. In Campania
sono significativamente più frequenti le rapine di automezzi pesanti
trasportanti merci, cioè dei TIR (attività per lo più controllata da gruppi
camorristi, che spesso rivendono le merci rubate in supermercati e negozi di
loro proprietà, o comunque controllati), e le estorsioni (quest’ultimo dato
assume una gravità anche maggiore se si considera che solo una piccola parte
delle estorsioni viene denunciata).
Tab. 3 – Reati connessi ad attività della
criminalità organizzata denunciati dalle forze dell’ordine in Italia ed in
Campania, 1995
. | Italia | Campania | ||
. |
v.a. |
Per 100.000 abitanti |
v.a. |
Per 100.000 abitanti |
Furti di merci su automezzi pesanti |
749 | 1,31 | 49 | 0,85 |
Rapine di automezzi pesanti trasportanti merci |
955 | 1,67 | 312 | 5,41 |
Attentati dinamitardi e/o incendiari |
1.355 | 2,36 | 60 | 1,04 |
Incendi dolosi | 8.402 | 14,65 | 440 | 7,64 |
Estorsioni | 3.261 | 5,69 | 465 | 8,07 |
Fonte: Elaborazione Censis su dati Istat
Ma una scomposizione dei dati a livello provinciale rivela una netta
concentrazione dei reati summenzionati nelle tre province con più rilevante
presenza camorrista, nell’ordine Napoli, Caserta e Salerno (tab.
4).
Tab. 4 – Ripartizione
provinciale dei reati denunciati dalle forze dell’ordine connessi ad attività
della criminalità organizzata, 1995
Province |
CE |
BN |
NA |
AV |
SA |
Furti di merci su automezzi pesanti |
1 | 0 | 41 | 1 | 6 |
Rapine di automezzi pesanti trasportanti merci |
34 | 2 | 261 | 0 | 15 |
Attentati dinamitardi e/o incendiari |
13 | 1 | 33 | 7 | 6 |
Incendi dolosi | 43 | 38 | 254 | 47 | 58 |
Estorsioni | 53 | 40 | 244 | 28 | 100 |
Fonte: Istat
Dall’esame incrociato tra i dati relativi all’andamento economico e quelli
relativi alla criminalità organizzata consegue insomma un’apparente
contraddizione. Mentre le province che tradizionalmente avevano una maggiore
capacità ed articolazione produttiva (specie nei settori agro-alimentare,
manifatturiero, terziario e turistico) sono quelle storicamente colpite dal
fenomeno camorristico (e ci riferiamo a Caserta, Napoli, e in misura
relativamente minore Salerno, che pure ha ospitato capi camorristi del calibro
di Carmine Alfieri e Pasquale Galasso), zone tradizionalmente meno sviluppate,
in quanto appartenenti a quelle aree montane che Rossi Doria definiva
“l’osso del paese”, sono oggi indenni dal fenomeno camorrista, e, nel
caso di Avellino, si avvalgono di questa differenza per spingere il proprio
sviluppo economico.
La contraddizione è tale solo se si dà per buona la vecchia equivalenza
sottosviluppo=mafia (o camorra, o ‘ndrangheta). E’ evidente che tale
formulazione va riletta, alla luce di una visione ormai meno appiattita e
stereotipata del Sud e delle sue dinamiche socioeconomiche. Lavori di
ricostruzione storica e analisi economiche provviste di maggiore capacità di
risoluzione hanno dimostrato l’esistenza di alcune dinamiche di interazione
tra economia e criminalità organizzata che non è agevole sintetizzare con
una formula, ma che possono essere colte attraverso i punti sottoelencati.
- La criminalità organizzata nasce in Campania (come in Calabria e in
Sicilia) in quelle province che alla metà del secolo scorso facevano
registrare una maggiore vivacità economica; essa origina dalle
aree agricole del Casertano, specie dalle zone dell'”oro rosso”
(produzione di pomodori) e da quelle ortofrutticole dalla cintura vesuviana,
nonché dai lembi più produttivi della provincia di Salerno (Agro
Nocerino-Sarnese). - La camorra ha sempre avuto una vocazione imprenditoriale, prima nel
settore dell’intermediazione (controllo dei mercati ortofrutticoli), poi in
quello edilizio, infine in quello delle opere pubbliche e della grande
distribuzione; essa non aveva quindi modo di attecchire in realtà troppo
arretrate dal punto di vista economico. - La camorra non è stata in grado di penetrare aree provviste di
benessere derivante da attività economiche ad essa aliene (Penisola
Sorrentina, isole del golfo di Napoli, basate sul turismo; distretto
industriale di Solofra in provincia di Avellino). - La camorra si è sempre avvalsa di collusioni col sistema politico
campano, che giocava un ruolo strategico in determinati ambiti economici
(edilizia, opere pubbliche). In questo scambio i clan camorristi
contribuivano all’elezione di politici tramite pacchetti di voti non
maggioritari, ma di peso significativo. - La camorra prospera in ambiti economici nei quali non vigono le leggi
di mercato: essa è infatti nata nel settore del commercio
ortofrutticolo, nel quale i mediatori camorristi imponevano monopoli di
fatto e controllavano i prezzi tramite intimidazione e violenza, e poi è
cresciuta nel settore edilizio, che attraverso varie strategie
(intimidazione con attentati, controllo dei subappalti, monopolio delle cave
di ghiaia, dei cementifici e del movimento terra, controllo dei trasporti)
veniva sottoposto ad un regime di prezzi predefiniti e pilotati. Non è mai
riuscita invece a radicarsi permanentemente, e ad operare con i suoi metodi
classici, nel settore manifatturiero, nel quale il mercato è meno
localizzato e/o soggetto ad un controllo politico.
L’insieme di queste dinamiche spiega perché oggi la camorra sia più
presente nelle tre province costiere, di cui però ha ormai limitato la capacità
di ulteriore sviluppo (con l’eccezione di Salerno, che, a differenza di Napoli e
Caserta, è solo parzialmente toccata dal fenomeno) e meno nelle due aree
interne, delle quali una, cioè Benevento, fa parte del meridione marginale ma
“non violento”, mentre l’altra, Avellino, ha fatto della sua
sostanziale indennità dall’infezione camorrista un elemento di potenziamento
del proprio sviluppo.
Insomma, per innescarsi la camorra ha avuto bisogno all’inizio della sua
storia di ambienti economicamente vivaci. Ma gradualmente la vitalità
produttiva delle aree più intensamente colpite dal fenomeno camorrista
risultava sempre più compromessa, finché oggi si deve riscontrare che,
all’interno dello stesso quadro regionale, sono le aree indenni a far registrare
i dati più positivi.