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venerdì, Aprile 19, 2024
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Fratelli sì, ma non globali

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Ieri abbiamo pubblicato su queste pagine una e-mail arrivata alla redazione del sito all’indirizzo [email protected], inviata da un cittadino di qualiano, un ragazzo poco più che ventenne, il suo Nick è Ramses; alcuni lo conoscono dato che è un assiduo frequentatore del forum Vox Populi. La sua e-mail era molto dura, non abbiamo alterato per nessuna ragione i contenuti, tranne che per alcune righe di iniziali che si riferivano alla sua presentazione che indicavano suoi i dati anagrafici. La sua rabbia evidenzia che tra i giovani e i giovanissimi si sta diffondendo un rancore verso il sistema non solo italiano, ma verso tutto l’apparato politico occidentale (il G8 per intenderci); alimentato ancora di più dagli ultimi avvenimenti di Genova.
La nostra opinione è chiaramente orientata verso la condanna ai movimenti che hanno approfittato delle condizioni di caos (mal gestite) per “violentare” non solo l’intera città di Genova, ma l’intero movimento: globalizzatore e non; utilizzando la violenza più spietata hanno ottenuto esclusivamente il fallimento della protesta, senza apportare il benchè minimo contriubuto all’apertura del dialogo con le parti “deboli” che si sentono esclusi ed emarginati dal processo di globalizzazione, ma soprattutto la delegittimazione da parte del popolo.
Ci sentiamo di riportare un articolo comparso in questi giorni su un giornale nazionale, che a nostro parere, offre una visione realistica di tutti gli “elementi” che ruotano intorno al fenomeno della globalizzazione: i G8, la Chiesa e i movimenti di protesta.

Franco Cardini

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«La grande industria ha creato quel mercato mondiale che la scoperta dell’America aveva preparato. Il mercato mondiale ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni. La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria… la borghesia trascina nella civiltà anche le nazioni più barbare…».
Senza dubbio gran parte del «popolo di Seattle» reagirebbe indignato ad affermazioni del genere. Peccato: perché esse sono contenute in un documento nel quale molti del movimento no-global dovrebbero riconoscersi: il Manifesto del partito comunista di Karl Marx.
Coerenti con i loro princìpi ideologici anche adesso che non amano più ostentarli, politici come D’Alema e Fassino non hanno esitato, anche di recente, ad esprimere la loro scarsa simpatia per i manifestanti anti-G8 che peraltro la sinistra – in gran parte per strumentali motivi antiberlusconiani – sta compatta se non proprio concorde appoggiando. Fassino, anzi, ricordando il «Proletari di tutto il mondo unitevi», ha sottolineato alludendo a quelli dei Centri Sociali che Marx di proletari parlava, non di straccioni. La sinistra più rigorosamente postmarxista – non quindi quella libertaria e pittoresca alla Bertinotti – non ha mancato, sia pure in modo molto soft, di prendere le distanze dal Lumpenproletariat, il «proletariato straccione» che rischia con la sua violenza di mettere in cattiva luce tutto il movimento anti-G8. Preoccupazione del resto legittima: perché le preoccupazioni sull’andamento del meeting genovese dei «grandi» e dei loro oppositori sta mettendo in luce la questione più importante. Che cosa stanno decidendo, o ratificando, i «grandi»? E che cosa chiedono, invece, i loro contestatori? Su ciò, le idee dell’opinione pubblica sono poche ma confuse: e i mass media stanno facendo di tutto per non informarla.
Già. «Proletari di tutto il mondo, unitevi», diceva il vecchio Marx. Il fatto è che, con la globalizzazione, i proletari si presentano divisi e frazionati come mai prima d’ora; e a unirsi sembra proprio che siano stati invece gli sfruttatori, i capitalisti, comunque i gestori delle ricchezze e delle risorse del mondo. I quali, con le organizzazioni finanziarie e tecnologiche multinazionali, stanno attuando a loro vantaggio anche un’altra parte notevole del programma marxiano: la progressiva abolizione dello Stato. Il probabile futuro del mondo appare come una società senza Stato: ma in cui le classi sociali siano invece rigorosamente stratificate, e la ricchezza concentrata in un ristretto giro di padroni della terra, dominati su un debole e ristretto ceto medio e su un immenso proletariato.
È il risultato del «destino dell’Occidente». Il primo passo della globalizzazione – aveva ragione, il vecchio Marx – fu, all’inizio dell’età moderna, la scoperta del Nuovo mondo e l’abbattimento di ogni compartimento-stagno civile e culturale dinanzi alle navi e ai cannoni dell’Occidente. Nei nostri tempi si sta compiendo solo l’ultimo, definitivo atto, di un processo di globalizzazione avviato mezzo millennio fa.
Ma tale processo aveva a sua volta un precedente, senza il quale forse non si sarebbe mai neppure avviato. La vocazione ecumenica cristiana, la spinta della società sui credenti nel Cristo a predicare il Vangelo in tutto il mondo e a far di tutta l’umanità un solo gregge sotto un solo pastore. Che poi tale processo storico si sia compiuto contemporaneamente a quello della desacralizzazione, cioè della laicizzazione del mondo occidentale che ne era portatore, è un’altra delle molte contraddizioni dei quali la storia è piena. Ma ora che tutta la terra è unita, sia pure dal punto di vista e sotto il controllo di quel 17% circa dei suoi abitanti in prevalenza occidentali e settentrionali del globo che ne controllano le risorse, la più grande, potente e diffusa fra le Chiese cristiane, la cattolica – tanto occidentale da portare (e fino a ieri lo faceva con orgoglio) l’aggettivo di ”romana” -, si trova in una paradossale situazione.
Molti dei capi della Chiesa cattolica attuale, e gran parte dei suoi fedeli, appartengono ai quattro quinti non-privilegiati del mondo: all’Africa e all’America latina soprattutto. Il Papa stesso proviene dall’Europa orientale ex-socialista, «dalla parte povera del mondo ricco», ed è vescovo di Roma, capitale d’un paese che appartiene – come la Spagna, la Grecia, i Balcani – all’Europa mediterranea, «il sud del nord».
Ricordiamo il fatale trinomio rivoluzionario: libertà-uguaglianza-fratellanza. Vecchi miti, vecchie aspirazioni. Da circa due millenni le Chiese cristiane si sono impegnate – in un cammino storico non privo di contraddizioni e di pagine oscure – all’affermazione della fratellanza universale. Dinanzi ad esse, negli ultimi due secoli si sono andati affermando due tipi di ideali laici che hanno portato avanti, invece, la libertà o l’uguaglianza. Due valori difficili da far convivere. La battaglia di chi sognava l’uguaglianza universale, il socialismo, è finita negli orrori della tirannia e ha salvato solo qualche rottame. Quella di chi voleva imporre la libertà sembra oggi aver trionfato: ma il prezzo che per questo è stato pagato è quello che Edward N. Luttwak ha definito, in un libro ormai celebre, «la dittatura del capitalismo». Il turboliberismo selvaggio e gli eccessi della globalizzazione hanno fatto venire allo scoperto una realtà che molti occidentali neppure immaginavano: un mondo profondamente ingiusto, segnato da sperequazioni profonde e, in ultima analisi, da un equilibrio planetario profondamente ingiusto e iniquo.
È la violenza d’un mercato gestito da élites private insofferenti di limiti e di controlli quella che i capi di governo e di stato cercano o dovrebbero cercare di arginare e di regolamentare. È al governo della globalizzazione che bisogna arrivare: il che si consegue non certo attraverso le kermesse dei G8, bensì attraverso il lavoro quotidiano dei governi e delle organizzazioni internazionali come l’Onu e la Fao; attraverso la dura e quotidiana lotta dei governi espressi dai popoli e di essi rappresentanti di non farsi cancellare dalla faccia della terra e di non farsi ridurre a comitati d’affari dei «poteri forti» privati delle multinazionali.
La Chiesa cattolica non può certo appoggiare la violenza delle «tute bianche». Anche perché si tratta di una violenza sospetta: che, stornando l’attenzione dell’opinione pubblica dai veri problemi del mondo, fa il gioco degli sfruttatori. Ma la Chiesa – tanto per i suoi ideali umanitari e comunitari quanto per la stessa struttura sociale e geoetnica dei suoi fedeli – non può non stare al fianco degli sfruttati contro gli sfruttatori. Anche se ciò implica che la lotta contro la globalizzazione faccia venire al pettine i nodi della storia dell’Occidente, di cui il cristianesimo è parte. E soprattutto il nodo principale: la contraddizione tra la conclamata volontà umanitaria, tollerantistica e progressista da una parte, di cui gli occidentali hanno tanto amato rivestire le loro intenzioni, e la sostanza materiata di dura volontà di potenza ormai ridotta al suo puro nucleo strutturale – la privatizzazione dei beni, la gestione dell’economia, la prometeica tensione verso l’illimitato progresso teconologico – ch’è il dèmone faustiano che da sempre li possiede e li domina.

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