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TRA SACRO E PROFANO, IL RITO DEI PENITENTI A Guardia Sanframondi

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Lunedì 25 Agosto 2003

Nel piccolo paese del Sannio sono arrivati in più di centomila per una cerimonia unica al mondo. Bassolino promette: presto un museo




DALL’INVIATO DEL «MATTINO» A GUARDIA SANFRAMONDI

FRANCO MANCUSI





Alle prime luci dell’alba il sipario si è già alzato sulla scena della festa. Tutto è pronto, alle 6 del mattino, per il Grande Evento. Dopo sette anni di fervida attesa, Guardia Sanframondi rivive il rito collettivo della penitenza, in onore della protettrice Madonna Assunta. E mentre i vigili urbani sbarrano le vie di accesso al paese, battenti, flagellanti e figuranti cominciano a radunarsi nelle postazioni strategiche. Pronti per animare, ancora una volta, la famosa processione-spettacolo che li proietterà sotto i riflettori dell’opinione pubblica internazionale, nel bene e nel male. Nel bene – tanto – di una manifestazione che ha dimostrato di non conoscere l’usura del tempo, conservando la forza di una energia misteriosa trasmessa, dal medioevo, da padre in figlio. Nel male – tantissimo – di una invadenza crescente del villaggio globale, di mass media sempre più aggressivi, delle televisioni che hanno trasformato il sacrificio corale dei battenti in un business pseudo-culturale, trasformando i riti della penitenza in una espressione di marketing intollerabile.
Le strade, quando appena il sole concede un filo di luce, sono già brulicanti di protagonisti e spettatori: molti sono arrivati di notte per accaparrarsi i posti migliori. Balconi e terrazzi sono prenotati da tempo. L’abitato di Guardia Sanframondi è pieno, zeppo. La settimana dedicata all’Assunta è l’occasione per il ritorno degli emigranti in famiglia. Da ferragosto non c’è una sola camera vuota. La popolazione si è triplicata, da seimila è cresciuta a ventimila abitanti. Basta girare nei vicoli del borgo antico per immergersi nel clima dei giorni di festa. L’antico dialetto di casa viene scandito in mille, diverse risonanze dallo strano slang (americano, francese, tedesco, portoghese) che di volta in volta punteggia i dialoghi fra ospiti e residenti. Fino a venti anni fa per la comunità di Guardia l’emigrazione verso le metropoli del nord Europa o dell’America è rimasta l’industria portante. Oggi il quadro economico si sta uniformando e l’appuntamento dell’Assunta alimenta in molti il sogno segreto di un ritorno definitivo nel paesino di origine. E il Governatore Bassolino, ieri presente alla festa, promette la creazione di un museo, a Guardia, e di un centro-studi per le tradizioni popolari del Sannio.
Ma torniamo alla rappresentazione. Per prima cosa gli organizzatori dei quattro rioni storici (Croce, Portella, Piazza, Fontanella) hanno preparato le scene dei Misteri, duecento quadri viventi che rappresentano il filo conduttore narrante della processione. È questa la prima, incredibile prova di una regia occulta misteriosa, che riesce a far muovere all’unisono improvvisati santi, madonne, re, condottieri, paggi, in un lento ma solenne incedere di figure essenziali per creare la giusta atmosfera del corteo, che si completa con le lunghissime teorie dei flagellanti e dei battenti. Suggestioni subito forti. Per animare gli scenari spontanei (momenti della storia sacra, rappresentazioni della vita dei santi, ma anche episodi significativi di fede e testimonianze civili, come il sacrificio di Salvo D’Acquisto, il coraggio di padre Kolbe, il martirio dell’arcivescovo Romero) sono stati mobilitati i componenti di tutte, ma proprio tutte le famiglie guardiesi. In campo, per un giorno, scendono uomini, donne, anziani, bambini. E ancora, contadini, artigiani, professionisti, tutti chiamati a recitare i personaggi della rappresentazione, talmente compresi nei rispettivi ruoli da apparire come statue in carne e ossa, da un capo all’altro del corteo, che si esaurirà soltanto a pomeriggio inoltrato.
Alle 9, quando i primi figuranti entrano in chiesa per la cerimonia religiosa, non c’è più lo spazio per muovere un passo. La celebrazione della messa rappresenta il primo atto della liturgia propiziatoria. Quest’anno il sacrificio dei battenti capita al momento giusto per debellare i disastri della siccità e degli incendi, che proprio negli ultimi giorni hanno devastato le colline sulle quali sorge il centro antico di Guardia Sanframondi. L’altra mattina, in verità, la pioggia è tornata dopo tre mesi di afa asfissiante. Ma si è trattato di un breve temporale, passeggero. Il fuoco, invece, ha distrutto gran parte del verde delle colline che circondano il centro abitato. Quando il corteo entra nel vivo, la partecipazione è corale, l’emozione è incontenibile, le invocazioni salgono alle stelle. La lunga trafila dei penitenti, incappucciati in un saio bianco, procede lentamente, in un clima surreale, accompagnato dai sussulti, più che dai commenti della folla. I battenti si percuotono il petto, fino a farlo sanguinare, con uno strumento di penitenza eufemisticamente chiamato «spugna»: un pezzo di sughero, protetto con uno strato di cera, dal quale fuoriescono 33 (come gli anni di Cristo) o più punte di spilli. Per alleviare il dolore delle piaghe, gli aghi sono bagnati continuamente con vino purissimo. Qualcuno si colpisce sul lato mancino, dalla parte del cuore, qualche altro si batte sull’intero torace. I flagellanti, invece, usano catene e fruste di lamine acuminate, per fustigarsi a sangue le spalle. Tutti i penitenti stringono nella mano sinistra un piccolo crocifisso, o un’immaginetta della Vergine protettrice, per sentirsi incoraggiati nella meditazione, nella preghiera e nel dolore.
A mezzogiorno, sotto i raggi cocenti del sole, siamo nel pieno dell’Evento. Il corteo, uscito dalla chiesa parrocchiale, si snoda attraverso le stradine dei quattro rioni. Ora è il momento della grande rappresentazione: telecamere, macchinine fotografiche, video amatoriali sembrano impazzite. La ressa ritarda il passo della processione. I battenti seguono l’immagine del San Girolamo penitente: non è possibile stabilire quanti saranno, certo molti di più dei cinquecento indicati dalle locandine e dai programmi distribuiti, anche via Internet, alla vigilia della manifestazione. La processione attraversa Porta di Santo e punta nel cuore del centro storico. Alle 14 un colpo secco di mortaretto annuncia, dalla sommità del castello medievale, l’uscita dell’Assunta. È un momento di particolare solennità. Battenti, flagellanti, figuranti, molti piangendo cadono in ginocchio e si segnano con la croce. Qualche turista fa lo stesso. La statua è portata a braccia da un manipolo di fedeli che hanno sborsato una cospicua offerta per conquistare il privilegio. Sulla via del ritorno, al centro fra il castello e la fontana dell’olmo, l’incontro della Madonna con i battenti. L’appuntamento di straordinario pathos: intrisi di sangue vivo, segnati profondamente dalle piaghe sul petto, i penitenti scaricano le residue energie, fisiche e nervose, inginocchiandosi, pregando, invocando a voce sempre più alta la Vergine, intensificando il ritmo dei colpi, accentuando l’emozione dei presenti, in un clima di bolgia incontrollabile.
Qualcuno cede e si lascia andare nelle invocazioni, molti turisti svengono per l’impressione del sangue che schizza sul bianco dei cappucci. Per le autoambulanze disposte dal Comune è il momento degli interventi frenetici. Chi non è abituato alla rappresentazione cerca di scansarsi, temendo il peggio. La processione sbanda, si divide. Poi il razionale riprende il sopravvento, il pubblico applaude, battenti e figuranti si disperdono in tanti rivoli diretti verso i rioni del centro storico. Nella chiesa madre, alle 18, saranno gli stessi protagonisti, tornati negli abiti civili di ogni giorno, a riconsegnare la statua ai sacerdoti, già pronti per la messa che conclude la lunga celebrazione. È il rito finale liberatorio, una sorta di ringraziamento corale. L’epilogo ideale di una giornata che ancora una volta ha polarizzato l’attenzione del mondo, in un mix stupefacente di fede religiosa, tradizione popolare, business turistico e attrazione spettacolare.

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IL MATTINO 25 AGOSTO 2003

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